Il 'Minsky moment' della finanza internazionale

La crisi in atto può essere spiegata utilizzando le teorie di Hyman Minsky, economista poco popolare tra i colleghi perché sosteneva che i mercati sono intrinsecamente instabili

Quante altre crisi finanziarie dovranno ancora accadere nel mondo prima che le intuizioni di Hyman Minsky (1919-1996) sulla loro origine vengano considerate una teoria meritevole di essere recepita nei manuali e insegnata nei corsi di economia politica e di ingegneria finanziaria? Fino a quando ciò non accadrà, difficilmente credo che le istituzioni e i manager preposti alla stabilità economica comprenderanno le vere ed ultime ragioni di questi fenomeni, così da poterli affrontare nelle prossime occasioni con tempestività, persistenza e adeguati strumenti. 

 

L’articolo di prima pagina del 18 agosto, dedicato a Minsky dal Wall Street Journal, fa seguito ad altri apparsi sulla piazza finanziaria di Londra (l’Economist del 15 marzo scorso, il Sunday Times del 12 agosto, e il Financial Times del 17 agosto e successivamente del Guardian del 22 agosto) sembra incominciare a riconoscergli quel credito che avrebbe meritato da tempo. In queste ultime settimane, nelle Borse valori di New York e di Londra il termine "Minsky moment" è sulla bocca di tutti gli operatori, e sta ad indicare che è giunto il punto di svolta nella fiducia sulla rimborsabilità dei debiti.

 

Hyman Minsky (economista americano, ma anche un po' italiano di adozione) ha passato molti anni della sua vita a studiare i mercati finanziari e a cercare di convincere i suoi colleghi imbevuti di «libero mercato», prima a Chicago, poi a Berkely e infine alla Washington University di Saint Louis, che questi mercati sono intrinsecamente instabili. E tali sono non certo per delle ragioni «irrazionali», bensì in virtù dei comportamenti «razionali» ispirati al tornaconto dei soggetti che vi operano.

 

La visione di Minsky, alimentata da una profonda conoscenza interna delle istituzioni, si basa sul fatto che in periodi di stabilità i soggetti debitori abbassano la percezione del rischio e si indebitano.

Più lungo è il periodo di stabilità, più i soggetti assumono rischi crescenti, fino a quando arriva il momento che il flusso di cassa generato dai loro patrimoni non è più in grado di far fronte ai debiti contratti.

 

Secondo Minsky, nel mercato si vengono a formare tre tipi di operatori.

Il primo è costituito da operatori con posizioni ‘coperte’, ossia operatori prudenti, che sono sempre nella condizione di poter pagare gli interessi e rimborsare le quote capitali senza particolari problemi.

 

Il secondo è costituito da operatori che danno luogo a posizioni ‘speculative’, cioè operatori che vengono a trovarsi nella condizione di riuscire a pagare gli interessi ma non di rimborsare il capitale presto a prestito. Questi operatori sono quindi esposti al rischio di insolvenza se non ottengono un rifinanziamento delle loro posizioni; in questa situazione vengono spesso a trovarsi anche le imprese industriali all’inizio dei loro investimenti, in quanto questi richiedono del tempo prima che generino redditi netti positivi, superiori cioè al servizio del debito. Il risultato è un crescente grado di indebitamento e una continua diminuzione di capitale netto reale. Minsky fa osservare che basta un aumento dei tassi di interesse non previsto per far passare una posizione da «coperta» a «speculativa»; oppure una mancata crescita economica (non prevista), per dar luogo ad una discesa dei redditi operativi e ad un aumento dei tassi di interesse. Il grado di fragilità finanziario di un sistema economico è quindi definito dall’importanza assunta dalle posizioni ‘speculative’. In Minsky gli aspetti reali e finanziari si intrecciano, e ciò che ci ha ripetutamente insegnato è di guardare all’economia dal punto di vista della borsa, e precisamente di colui che presta denaro.

 

Il terzo tipo di operatore Minsky lo definisce ultraspeculatore, poichè è un operatore che si fa prestare denaro per investimenti su cui spera espressamente di realizzare dei guadagni in conto capitale, pagando nel contempo gli interessi attraverso nuovi prestiti oppure vendendo (quando

costretto) attività liquide.

 

Ciò che la Borsa americana (ma non solo) sta sperimentando oggi è una crisi da insolvenza, alimentata dalla seconda ma soprattutto dalla terza tipologia di operatori, e non da liquidità come nelle precedenti esperienze. E' una crisi connessa all’eccessivo ed articolato indebitamento sui mutui immobiliari, ed è incominciata proprio nel momento (il cosiddetto "Minsky moment") in cui i prestatori di denaro hanno percepito il sopravvenire di un rischio eccessivo, il rischio cioè che diverse famiglie e parecchi operatori finanziari americani non potessero far fronte ai loro impegni debitori.

 

Se in questi giorni Minsky fosse ancora fra di noi riunirebbe i suoi seguaci sparsi nelle università italiane (Bergamo, Siena, Trieste, Milano Cattolica, Roma e Ancona), aprendo l’incontro con: «Ah, ve lo avevo detto!», e ricorderebbe subito i passi pertinenti dei suoi lavori . E concluderebbe asserendo che i prestatori di ultima istanza (le banche centrali) non avrebbero dovuto aspettare che il mercato si autoregolasse, e sosterrebbe quanto di fatto sta facendo la Federal Reserve americana, che pompa liquidità e abbassa il tasso ufficiale di sconto, ma indicherebbe anche la necessità da parte del governo di sorvegliare sui rischi di caduta dei consumi, e quindi della domanda di merci e servizi. Ammonirebbe altresì che le banche centrali dovrebbero attrezzarsi per valutare attentamente e quotidianamente, con azioni selettive, le varie posizioni debitorie. Allo stesso tempo sarebbe di nuovo preoccupato, perché la pulizia dal mercato dei piccoli mostri della finanza creativa, dei presunti genietti che riescono ad infilare nelle tasche di milioni di cittadini - attraverso le banche e le altre istituzioni finanziarie - pacchetti di derivati (composti da un po' di subprime, un po' di credito al consumo, un po' di private equità) è in ogni caso momentanea, in quanto questi si ripresenteranno presto di nuovo nelle piazza finanziarie ad operare secondo i propri tornaconti individuali.

 

Questo ci ha insegnato Minsky. La sua teoria però non è a tutt’oggi ancora accreditata negli ambienti ufficiali (forse perchè asserisce che "la stabilità alimenta l'instabilità" - un mantra non popolare in mercati che tendono al rialzo?), anche se gli articoli sui sancta sanctorum dei media della finanza mondiale fanno ben sperare.

Martedì, 25. Settembre 2007
 

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