Il mercato senza lavoro

Un saggio di Ferruccio Pelos colmo di dati che fanno chiarezza su tutte le figure contrattuali e le articolazioni dell'occupazione, e anche un'analisi dei processi evolutivi derivati dai mutamenti sociali ed economici. Con prefazione di Pierre Carniti e postfazione di Luigi Di Marco

Perché leggere questo saggio di Ferruccio Pelos? Innanzi tutto perché il libro contiene una descrizione accurata e aggiornata del mercato del lavoro, delle sue parti solari ma anche di tutte le sue piaghe e contorsioni, in ogni loro articolazione. E’ una fotografia, ma anche un racconto che rende evidenti le dinamiche che ne hanno determinato la trasformazione e, a seconda dei punti di vista, una maggiore articolazione o la disarticolazione. La tesi del libro è esplicita: assistiamo a un progressivo arretramento della quota di occupazione tutelata dovuta al calo strutturale della domanda di lavoro, all’aumento del lavoro atipico, alla diffusione capillare del lavoro autonomo senza tutele e del lavoro sommerso, all’aumento della popolazione attiva.

 

Come si vede le cause sono molte e convergenti, ma con determinazione l’autore indica e documenta nella caduta della domanda la causa prima. Tutti i regimi di impiego sono posti sotto osservazione: occupati a tempo indeterminato, occupati a tempo determinato,  lavoratori interinali e somministrati, lavoratori part time (determinato e indeterminato), occupati con contratti non standard (lavoro a progetto, collaborazione occasionale, collaborazione coordinata e continuativa, lavoro intermittente o a chiamata, job sharing, contratti di inserimento), occupati con contratti di formazione e lavoro (apprendistato, contratti di formazione e lavoro propriamente detti, stage e tirocini formativi). E poi i regimi di lavoro specifici, come quelli relativi al popolo delle partite Iva, ormai dilagate, tra le 400.000 false, cioè delle quali sono titolari lavoratori attivi a tempo pieno con un solo datore di lavoro, e vere, fino ad essere ormai il doppio di quelle della Francia, della Germania o della Gran Bretagna: 5,5 milioni quelle operative, il 25% circa degli occupati. Come se non bastasse completano il quadro le informazioni sulla non applicazione “consensuale” dei contratti collettivi nazionali nelle piccole e piccolissime imprese. E i giovani NEET, cioè quelli fuori dai circuiti del lavoro e della formazione, che nel 2010 erano 2.110.000, cioè più del 50% dei giovani attivi fino a 29 anni. Guardate, ci dice insomma Ferruccio Pelos con la forza dei numeri, che il mercato del lavoro ha già raggiunto, sul lato dell’offerta, un livello altissimo di flessibilità. Sia in entrata che in uscita: siamo ormai a 2,8 milioni di precari e a tre milioni di disoccupati.

 

In un contesto siffatto, le risorse destinate alla legislazione di supporto per il governo del mercato del lavoro, alle politiche previdenziali, agli strumenti di integrazione e sostegno del reddito vengono ridimensionate: accordo sulle pensioni ed “esodati” sono lì a ricordarcelo. Emergono le contraddizioni, le insufficienze, le lacune  delle norme di revisione delle tutele e delle garanzie sociali che hanno accompagnato gli interventi “di riforma” del mercato del lavoro. Ma non solo: Pelos ci racconta anche il ridimensionamento delle funzioni ispettive del ministero del Lavoro e lo smembramento della rete dei servizi per l’impiego, l’azione migliore che avesse promosso alla fine degli anni ’80 il ministro del lavoro Tiziano Treu, offerta all’approssimazione e alla volontarietà dell’impegno delle Regioni e delle Province.

 

Il tutto avviene in una lunga stagione di grandi difficoltà economiche. La crisi ormai morde  in profondità e il conflitto tra politiche di contenimento della spesa e risorse da destinare allo sviluppo è ancora irrisolto. La nostra struttura produttiva, fatta in larghissima parte da piccole e micro imprese, scricchiola paurosamente, si salvano le medie e grandi imprese tecnologicamente avanzate e con una forte propensione all’esportazione. E  la globalizzazione, ormai difficilmente arrestabile, somma i suoi effetti perversi, per quanto concerne l’occupazione, a quelli prodotti dalla crisi. Deverticalizzazione, decentramento, delocalizzazione, spacchettamento dei cicli, reti di sub fornitura, questo è il linguaggio che la mondializzazione degli scambi oggi  impone a tutte le associazioni di rappresentanza e ai governi.

 

Possiamo trarre qualche insegnamento dal lavoro di Ferruccio Pelos? Io direi di sì, soprattutto badando al sodo, cioè a ciò che emerge con forza. Nel libro i suggerimenti sono formulati in modo molto educato: come tutti gli ex sindacalisti che si ritengono in qualche modo e sempre in servizio attivo, Ferruccio Pelos teme che ogni accenno critico all’operato del sindacato possa essere scambiato come un tentativo di intervenire sugli assetti interni del medesimo. Così si fa prudente, ma serve a poco perché per lui parla il suo lavoro.

 

Benché anche io sia un ex sindacalista, la penso e la dico così. La stagione relativa all’intervento legislativo o contrattuale sull’offerta di lavoro va considerata conclusa. Penso si sia andati già oltre e che non raramente – anche all’interno del sindacato - sia stata confusa la flessibilità del lavoro, il cui impiego e conseguenze vanno  controllate e governate, con la precarietà del lavoro. Ora il problema è quello della domanda di lavoro e semmai di una sua riduzione e diversa distribuzione. Cioè è quello della crescita, della ripresa, dello sviluppo. Con buona pace di Beppe Grillo che invoca invece la decrescita – sia pure sotto la formula “non inquinare, non consumare inutilmente, non produrre cose dannose per persone, cose e animali” -, come se questi non fossero già anni di decrescita, e come se questa da anni non fosse anch’essa all’origine del malessere sociale così diffuso e dal quale il suo movimento trae alimento.

 

E poi ci sono da fare i conti con la globalizzazione, per quanto possibile. Il problema non è accettare o rifiutare la globalizzazione, scelta a noi non data. E’ che la globalizzazione cambia i rapporti di potere e dunque le condizioni e le caratteristiche dello “scontro di  classe”. L’interlocutore imprenditoriale, diversamente da quanto avvenuto nei secoli precedenti, può sottrarsi quando vuole allo scontro e alla mediazione legislativa o contrattuale, e trasportare altrove le sue imprese, i suoi sistemi organizzativi e tecnologici. Ci sono elementi, condizioni che rendano più difficoltosa, che riducano una così forte possibilità di autonomia dei manager e delle imprese? Forse bisognerebbe studiare e tentare di riprodurre il modello Volkswagen o comunque di quelle aziende che non sembrano allettate dai possibili vantaggi della delocalizzazione, e probabilmente si scoprirebbe che decisive sono l’innovazione, le tecnologie, la produttività, la qualità del prodotto. Forse andrebbe modificato drasticamente il ruolo delle organizzazioni sindacali internazionali, cedendo loro una parte del potere contrattuale oggi esercitato pressoché esclusivamente in ambiti nazionali. Forse occorrerebbe spingere i governi a praticare più adeguate politiche economiche e sociali di reciprocità. Non lo so, non sta a me individuare le strategie più efficaci. Ma di certo non si può continuare a dichiarare il problema senza pensare ad una modifica radicale del modo di essere e di fare del sindacato. Non si può continuare con le inutili e dannose sceneggiate tra Cisl/Uil e Cgil nelle quali ciascun sindacato si ritaglia – in alcune vertenze cosiddette emblematiche e particolarmente visibili, perché nel restante universo sindacale si va d’amore e d’accordo - un ruolo di comodo che giustifica ideologie vecchie di un secolo ma che lascia l’iniziativa e dunque le decisioni totalmente nelle mani dell’impresa. Non si deve. Così si accelera solo il declino.

 

Ferruccio Pelos

Il mercato senza lavoro – Crisi, occupazione e tutele oggi in Italia

Prefazione di Pierre Carniti - Postfazione di Luigi Di Marco
Edizioni Lavoro - pp. 193 - € 20

Venerdì, 15. Marzo 2013
 

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