Perché leggere questo saggio di Ferruccio Pelos? Innanzi tutto perché il libro contiene una descrizione accurata e aggiornata del mercato del lavoro, delle sue parti solari ma anche di tutte le sue piaghe e contorsioni, in ogni loro articolazione. E una fotografia, ma anche un racconto che rende evidenti le dinamiche che ne hanno determinato la trasformazione e, a seconda dei punti di vista, una maggiore articolazione o la disarticolazione. La tesi del libro è esplicita: assistiamo a un progressivo arretramento della quota di occupazione tutelata dovuta al calo strutturale della domanda di lavoro, allaumento del lavoro atipico, alla diffusione capillare del lavoro autonomo senza tutele e del lavoro sommerso, allaumento della popolazione attiva.
Come si vede le cause sono molte e convergenti, ma con determinazione lautore indica e documenta nella caduta della domanda la causa prima. Tutti i regimi di impiego sono posti sotto osservazione: occupati a tempo indeterminato, occupati a tempo determinato, lavoratori interinali e somministrati, lavoratori part time (determinato e indeterminato), occupati con contratti non standard (lavoro a progetto, collaborazione occasionale, collaborazione coordinata e continuativa, lavoro intermittente o a chiamata, job sharing, contratti di inserimento), occupati con contratti di formazione e lavoro (apprendistato, contratti di formazione e lavoro propriamente detti, stage e tirocini formativi). E poi i regimi di lavoro specifici, come quelli relativi al popolo delle partite Iva, ormai dilagate, tra le 400.000 false, cioè delle quali sono titolari lavoratori attivi a tempo pieno con un solo datore di lavoro, e vere, fino ad essere ormai il doppio di quelle della Francia, della Germania o della Gran Bretagna: 5,5 milioni quelle operative, il 25% circa degli occupati. Come se non bastasse completano il quadro le informazioni sulla non applicazione consensuale dei contratti collettivi nazionali nelle piccole e piccolissime imprese. E i giovani NEET, cioè quelli fuori dai circuiti del lavoro e della formazione, che nel 2010 erano 2.110.000, cioè più del 50% dei giovani attivi fino a 29 anni. Guardate, ci dice insomma Ferruccio Pelos con la forza dei numeri, che il mercato del lavoro ha già raggiunto, sul lato dellofferta, un livello altissimo di flessibilità. Sia in entrata che in uscita: siamo ormai a 2,8 milioni di precari e a tre milioni di disoccupati.
In un contesto siffatto, le risorse destinate alla legislazione di supporto per il governo del mercato del lavoro, alle politiche previdenziali, agli strumenti di integrazione e sostegno del reddito vengono ridimensionate: accordo sulle pensioni ed esodati sono lì a ricordarcelo. Emergono le contraddizioni, le insufficienze, le lacune delle norme di revisione delle tutele e delle garanzie sociali che hanno accompagnato gli interventi di riforma del mercato del lavoro. Ma non solo: Pelos ci racconta anche il ridimensionamento delle funzioni ispettive del ministero del Lavoro e lo smembramento della rete dei servizi per limpiego, lazione migliore che avesse promosso alla fine degli anni 80 il ministro del lavoro Tiziano Treu, offerta allapprossimazione e alla volontarietà dellimpegno delle Regioni e delle Province.
Il tutto avviene in una lunga stagione di grandi difficoltà economiche. La crisi ormai morde in profondità e il conflitto tra politiche di contenimento della spesa e risorse da destinare allo sviluppo è ancora irrisolto. La nostra struttura produttiva, fatta in larghissima parte da piccole e micro imprese, scricchiola paurosamente, si salvano le medie e grandi imprese tecnologicamente avanzate e con una forte propensione allesportazione. E la globalizzazione, ormai difficilmente arrestabile, somma i suoi effetti perversi, per quanto concerne loccupazione, a quelli prodotti dalla crisi. Deverticalizzazione, decentramento, delocalizzazione, spacchettamento dei cicli, reti di sub fornitura, questo è il linguaggio che la mondializzazione degli scambi oggi impone a tutte le associazioni di rappresentanza e ai governi.
Possiamo trarre qualche insegnamento dal lavoro di Ferruccio Pelos? Io direi di sì, soprattutto badando al sodo, cioè a ciò che emerge con forza. Nel libro i suggerimenti sono formulati in modo molto educato: come tutti gli ex sindacalisti che si ritengono in qualche modo e sempre in servizio attivo, Ferruccio Pelos teme che ogni accenno critico alloperato del sindacato possa essere scambiato come un tentativo di intervenire sugli assetti interni del medesimo. Così si fa prudente, ma serve a poco perché per lui parla il suo lavoro.
Benché anche io sia un ex sindacalista, la penso e la dico così. La stagione relativa allintervento legislativo o contrattuale sullofferta di lavoro va considerata conclusa. Penso si sia andati già oltre e che non raramente anche allinterno del sindacato - sia stata confusa la flessibilità del lavoro, il cui impiego e conseguenze vanno controllate e governate, con la precarietà del lavoro. Ora il problema è quello della domanda di lavoro e semmai di una sua riduzione e diversa distribuzione. Cioè è quello della crescita, della ripresa, dello sviluppo. Con buona pace di Beppe Grillo che invoca invece la decrescita sia pure sotto la formula non inquinare, non consumare inutilmente, non produrre cose dannose per persone, cose e animali -, come se questi non fossero già anni di decrescita, e come se questa da anni non fosse anchessa allorigine del malessere sociale così diffuso e dal quale il suo movimento trae alimento.
E poi ci sono da fare i conti con la globalizzazione, per quanto possibile. Il problema non è accettare o rifiutare la globalizzazione, scelta a noi non data. E che la globalizzazione cambia i rapporti di potere e dunque le condizioni e le caratteristiche dello scontro di classe. Linterlocutore imprenditoriale, diversamente da quanto avvenuto nei secoli precedenti, può sottrarsi quando vuole allo scontro e alla mediazione legislativa o contrattuale, e trasportare altrove le sue imprese, i suoi sistemi organizzativi e tecnologici. Ci sono elementi, condizioni che rendano più difficoltosa, che riducano una così forte possibilità di autonomia dei manager e delle imprese? Forse bisognerebbe studiare e tentare di riprodurre il modello Volkswagen o comunque di quelle aziende che non sembrano allettate dai possibili vantaggi della delocalizzazione, e probabilmente si scoprirebbe che decisive sono linnovazione, le tecnologie, la produttività, la qualità del prodotto. Forse andrebbe modificato drasticamente il ruolo delle organizzazioni sindacali internazionali, cedendo loro una parte del potere contrattuale oggi esercitato pressoché esclusivamente in ambiti nazionali. Forse occorrerebbe spingere i governi a praticare più adeguate politiche economiche e sociali di reciprocità. Non lo so, non sta a me individuare le strategie più efficaci. Ma di certo non si può continuare a dichiarare il problema senza pensare ad una modifica radicale del modo di essere e di fare del sindacato. Non si può continuare con le inutili e dannose sceneggiate tra Cisl/Uil e Cgil nelle quali ciascun sindacato si ritaglia in alcune vertenze cosiddette emblematiche e particolarmente visibili, perché nel restante universo sindacale si va damore e daccordo - un ruolo di comodo che giustifica ideologie vecchie di un secolo ma che lascia liniziativa e dunque le decisioni totalmente nelle mani dellimpresa. Non si deve. Così si accelera solo il declino.
Ferruccio Pelos
Il mercato senza lavoro Crisi, occupazione e tutele oggi in Italia
Prefazione di Pierre Carniti - Postfazione di Luigi Di Marco
Edizioni Lavoro - pp. 193 - 20