Il governo giulivo tra debiti e crescita zero

Più tardi prenderà atto della situazione allarmante, più sarà doloroso porvi rimedio
"Come accade in tutti gli affari un po’ imbrogliati", dice Manzoni a proposito delle disavventure di Renzo costretto a fuggire dal milanese ed a rifugiarsi nel bergamasco, le difficoltà all’inizio si presentano all’ingrosso e poi "vengono fuori per minuto". Su questa osservazione di Manzoni dovrebbe riflettere il ministro dell’Economia che, dopo mesi di giuliva sottovalutazione dei problemi, si trova ora nell'incomoda posizione di dover riconoscere che lo stato di salute dell’economia italiana tende a farsi sempre più allarmante.

L’Istat ha reso noto che nei primi sei mesi dell’anno il Pil è cresciuto solo dello 0,2 per cento ed è persino probabile che nel secondo semestre le cose possano andare anche peggio. Infatti a giugno il fatturato industriale è letteralmente crollato. Il calo tendenziale è stato del 7,7 per cento. Si è quindi completamente dissolta quella che a maggio era stata contrabbandata come l’inizio di una ripresa della congiuntura. A giugno, infatti, il fatturato ha registrato una crescita dello 0,3 per cento rispetto al mese precedente. Un punto secco in meno rispetto al più 1,3 per cento realizzato a maggio su aprile. Su base annua, nei primi sei mesi del 2002, il fatturato industriale è dunque sceso del 3,5 per cento.
 
Nemmeno sul fronte degli ordinativi non c’è da stare allegri. A giugno il calo tendenziale è stato pari al 4,8 per cento, contro lo 0,7 per cento di maggio. Se poi si guarda al settore dell’auto ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli. Secondo l’Istat, a giugno, il comparto automobilistico ha registrato un crollo del 17,8 del fatturato (meno 2,1 a maggio) e dell’11,4 degli ordinativi (meno 9,4 a maggio).
L’andamento negativo della produzione si riflette ovviamente sull’occupazione. Così nelle grandi imprese italiane continua inesorabile la diminuzione degli addetti. A giugno, rispetto allo stesso mese dello scorso anno, i dipendenti della grande industria sono diminuiti del 3,9 per cento (meno 30.700 unità). Aggiungendo anche il calo di 3.300 unità (meno 0,3 per cento) nelle aziende dei servizi si arriva ad un totale di ben 34.000 posti di lavoro persi rispetto al 2001. L’Istat precisa che, considerando anche i lavoratori che sono stati messi in cassa integrazione, la diminuzione dell’occupazione nella grande industria arriva al 5,3 per cento. Nel giugno il numero dei cassaintegrati è infatti cresciuto considerevolmente. Rispetto al giungo dell’anno precedente l’aumento è stato del 175,5 per cento. Mentre nei primi sei mesi l’aumento della cassa integrazione è stato pari al 48,9 per cento.
 
Di fronte a questi dati anche il barometro delle previsioni economiche volge inesorabilmente al peggio. L’americana DRI-WEFA (nell’aggiornamento di settembre) sostiene che nel 2002 la crescita economica italiana sarà solo dello 0,4 (contro l’1,3 per cento indicato dal governo poco prima dell’estate). La Confindustria all’inizio di settembre aveva (con comprensibile malumore) rivisto al ribasso le sue precedenti previsioni indicando una crescita solo dello 0,6 per cento. Evidentemente gli esperti di DRI-WEFA sono più pessimisti di quelli della Confindustria ed hanno ulteriormente tagliato la stima.
 
Di questo passo, non è da escludere che all’inizio di dicembre la crescita italiana verrà stimata esattamente uguale a zero. E questo per una economia che, per gli aedi del governo, ancora nella primavera veniva descritta alle soglie del “miracolo” è un brusco e spiacevole risveglio. Ormai è certo, il 2002 andrà male e, secondo gli esperti, purtroppo, nemmeno i prossimi due anni andranno particolarmente bene.
Stando così le cose è inevitabilmente destinata a crescere anche la preoccupazione per i conti pubblici. La preoccupazione riguarda, in primo luogo, la sostenibilità del debito, che è tornata a peggiorare. Ma anche e soprattutto la ragione della sua crescita. Essa infatti non dipende tanto dal cattivo andamento della congiuntura mondiale (che, per altro, i venti di guerra possono solo ulteriormente peggiorare), quanto dall’aumento degli squilibri finanziari interni. Nel peggioramento della situazione della finanza pubblica il governo ci ha infatti messo molto del suo.
 
In effetti, lo scostamento tra la crescita dell’1,3 per cento prevista dallo stesso governo e quella del consuntivo che si va delineando avrebbe dovuto tradursi in una perdita di gettito attorno ai 5-7 miliardi di Euro. Quindi troppo poco per giustificare un aumento del disavanzo previsto invece intorno ai 30 miliardi. Oltre tutto, si tratta di una previsione assolutamente ottimistica, considerato che a due terzi dell’esercizio il disavanzo è già superiore ai 34 miliardi. Non è quindi difficile prevedere che il rapporto percentuale del disavanzo sul Pil, che nell’ultimo quadro previsionale il governo aveva fissato all’1,1, sarà presumibilmente destinato almeno a raddoppiare.
 
In questa perversa dinamica, la cosa che colpisce di più è che il deterioramento degli equilibri di finanza pubblica appare determinato non tanto dalle spese (che pure sono in aumento, malgrado debbano ancora scontare una serie di impegni spensieratamente assunti dal governo), ma dalle entrate. In effetti, seppure il Pil cresce poco (o, forse, non crescerà affatto) comunque non si riduce. Ci si dovrebbe perciò legittimamente aspettare che il gettito delle entrate sia almeno pari a quello dello scorso anno. Invece, secondo i dati della Banca d’Italia, il gettito è diminuito dell’1,6 per cento nei primi sette mesi dell’anno. E’ un dato che conferma la tesi di quanti sostengono che le entrate soffrono, prima ancora che del peggioramento della congiuntura, dell’aumento dell’evasione fiscale. Tornata a salire, non solo per le improvvide promesse di condoni, ma anche per la franchigia introdotta per i falsi in bilancio.
 
Resta, in ogni caso, il fatto che il deterioramento dei conti pubblici, dopo il risanamento avviato dai precedenti governi, torna ad essere assai preoccupante. Sicuramente molto di più di quanto Berlusconi e Tremonti siano disposti a riconoscere. Di fronte a questa situazione, l’unica cosa certa è che tanto più il governo tarderà a prenderne atto, tanto più impegnativa e dolorosa diventerà per gli italiani ogni manovra per tentare di porvi rimedio.
 
Martedì, 17. Settembre 2002
 

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