Il giovanilismo nuovo paradigma politico

Nei paesi dove i partiti hanno perso importanza la politica, diventata un prodotto commerciale, si affida al marketing, che ha imposto come parola d’ordine il “cambiamento”, verso dove e per far cosa non sembra avere importanza. Quindi il leader deve essere giovane. Ma così non si governano processi complessi

Scrive Stefan Zweig:
Mentre nei nostri tempi così radicalmente mutati rispetto al passato ogni quarantenne fa di tutto per apparire un trentenne e un sessantenne per apparire un quarantenne, mentre oggi la gioventù, l’energia, il dinamismo e la fiducia in se stessi sono valori di primo piano e che raccolgono vasto consenso, nella passata “Età della Sicurezza” bisognava che chiunque desiderasse progredire cercasse in ogni modo, con qualunque mascheramento, di apparire più vecchio. I giornali raccomandavano mezzi per accelerare la crescita della barba, giovani medici di ventiquattro, venticinque anni, che avevano pur superato gli esami professionali di abilitazione, portavano folte barbe e indossavano, anche quando i loro occhi non ne avevano alcun bisogno, occhiali d’oro, così da poter trasmettere ai loro pazienti quantomeno l’impressione di “essere esperti”. Allora si indossavano lunghe finanziere scure e si incedeva in modo lento e misurato e, quando era possibile, ci si faceva crescere una discreta pancetta, per incarnare questa ambita posatezza. Chi voleva farsi strada, faceva ogni sforzo per contrastare, quantomeno nell’aspetto esteriore, quella fragilità che si riteneva intrinseca all’essere giovani.” (1)

È dunque esistito un tempo in cui “essere giovani” non solo non era un valore assoluto, ma addirittura un “difetto” da mascherare. Zweig, nato a Vienna nel 1881, coglie nel suo libro di memorie il momento di passaggio dal mondo della sicurezza a quello della nostra inquieta modernità, che egli fa coincidere con la fine della Grande Guerra e il crollo dell’impero austro-ungarico. Tra le caratteristiche fondamentali di questa modernità c’è proprio il mito del giovanilismo, nato già con il Futurismo negli anni ’10 del secolo scorso e poi annesso ideologicamente dai regimi autoritari e totalitari (il fascismo, il nazismo e lo stalinismo sovietico).

Il giovanilismo diventò altresì ben presto un elemento determinate nella nascente nuova logica dei consumi. Con la creazione della categoria dei “clienti giovani” cui destinare prodotti specifici, si sono sviluppati settori commerciali in continua espansione. Una volta creato il tabù della vecchiaia, a coloro i quali non accettano il loro status anagrafico e desiderano restare, anche se solo all’apparenza, giovani a tutti i costi, si offre un’enorme gamma di possibilità, che investe pressoché tutti gli ambiti merceologici. Le cifre d’affari della chirurgia estetica, in crescita esponenziale, basterebbero ad indicare quanto sia robusta e inarrestabile questa tendenza.

Da ultimo abbiamo assistito a un ulteriore allargamento del giovanilismo alla politica “democratica”. Non si tratta più della “maschia gioventù littoria” (non si intitola forse “Giovinezza“ l’inno del Fascismo italiano?), bensì, in un mondo in cui trionfano l’individualismo e l’atomizzazione, di un potente surrogato ideologico.

Come è importante che un’attività commerciale innovi continuamente prodotti e vetrine, “per non restare indietro rispetto alla concorrenza”, così, per una politica che ha perso la sua bussola originaria, l’affermazione del valore assoluto del cambiamento può essere un buon veicolo per la conquista del potere. Ecco perché oggi, per un politico di successo, l’importante è essere giovani, l’importante è “rottamare”, mettersi on the road. Verso dove e per far cosa non sembra avere soverchia importanza.

Ora, se è vero che in taluni ambiti dell’attività umana essere giovani è decisivo (penso a talune attività sportive, ma anche a determinati ambiti scientifici, come, ad esempio, quello matematico, dove di solito si dà il meglio di sé sotto i quarant’anni), non vi è chi non veda che l’agire politico è attività più assimilabile alla pratica medica, dove l’esperienza e la solidità dovrebbero contare di più. Dovendo sottoporsi a un’operazione chirurgica, chi di noi andrebbe alla ricerca di un medico pur bravo, ma uscito da poco dall’università?

La politica, diventando invece sempre più una questione di marketing e quindi venendo considerata alla stregua di un qualsiasi prodotto commerciale da piazzare sul mercato, non può non subire il fascino del giovanilismo. L’elezione di Emmanuel Macron in Francia mi pare sia esemplare in questo senso:

1.    Macron è stato eletto senza avere alle spalle un partito (che è – o dovrebbe essere – il deposito dell’esperienza di anni di azione e di presenza sul territorio; nel caso dello sventurato PS, tale deposito è addirittura secolare).

2.     Macron è stato eletto, per sua stessa ammissione, senza avere un programma di governo precostituito. Come farebbe qualsiasi buon direttore commerciale incaricato di espandersi sul mercato, prima si ascoltano e si recepiscono le “esigenze” dei potenziali clienti e poi si riempiono gli scaffali con la merce più adatta a soddisfare quelle esigenze.

3.     Macron è stato eletto, last but not least, perché è giovane, “belloccio” e perché incarna proprio quel dinamismo, quella voglia di “essere altrove” che, assieme al mito del viaggio, caratterizzano tanta parte dell’odierno Mainstream.

I rischi di una politica “nuova”, che si fondi solo sull’avvento al potere di “facce diverse e giovani” sono evidenti e sono l’indizio chiaro di una generale debolezza della politica stessa, incapace di rappresentare il corpo sociale nell’insieme delle sue istanze. Un corpo sociale che in Europa è peraltro composto in prevalenza da anziani. Non è un caso che ad essere – almeno finora – immuni dal giovanilismo in politica siano proprio le comunità nazionali più solide e, soprattutto, quelle in cui i partiti politici non hanno ancora perduto il loro significato e la loro importanza. Leader “giovani” sono infatti presenti in paesi fragili e in difficoltà, come la Grecia, la Spagna, l’Italia e ora la Francia, ma certo non in Germania (Angela Merkel, 62 anni, Martin Schulz 61 anni) e non nel Regno Unito (Theresa May, 60 anni, Jeremy Corbin 67 anni). Per non parlare degli Stati Uniti (Donald Trump 70 anni).

È invece su un processo di continuità, non di rottura, tra le generazioni che bisogna puntare, processo in cui giovani e vecchi sappiano ritrovare ciascuno il proprio ruolo, all’interno di un soggetto politico collettivo (partito?) da rifondare e/o da rivitalizzare. Perché senza un soggetto politico collettivo, le grandi riforme sistemiche di cui tutti abbiamo urgente bisogno non potranno essere certo surrogate dall’uomo-immagine, solo al comando, per quanto giovane e forte possa essere.

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(1)  Stefan ZWEIG, Die Welt von Gestern, Stockholm 1944, cap. II.
Traduzione mia - https://claudiosalone39.wordpress.com

Giovedì, 1. Giugno 2017
 

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