Il demansionamento legalizzato

Quattro sentenze della Cassazione hanno stravolto le garanzie dello Statuto dei lavoratori. I giudici, sostituendosi al legislatore, autorizzano le parti sociali a contrattare lo status professionale

Quattro sentenze intercorse tra il novembre del 2006 e il dicembre 2007 (1) hanno effettuato una operazione stravolgente  della normativa dello Statuto dei lavoratori sulla professionalità, nell’ottica di una cosiddetta «flessibilizzazione», sostantivo che sappiamo bene cosa celi dietro. Sostanzialmente la Cassazione ha detto che – rendendosi interprete anche delle «recriminazioni» della dottrina (certamente  dei supporters delle associazioni imprenditoriali) - è maturo il tempo dell’abbandono della difesa della cosiddetta «professionalità statica» per dar spazio all’introduzione della «professionalità dinamica» o «potenziale».

 

Cosa significa in parole povere? Significa che il lavoratore che nel corso del suo rapporto di lavoro ha raggiunto una posizione ambita o un ruolo manuale specializzato (es. fresatore, tornitore, alesatore, fonditore, pittore, muratore, ecc.) ovvero un omologo ruolo di specialista settoriale di natura concettuale (legale, fiscalista, analista di bilanci, esperto informatico, analista finanziario ecc.), può vedersi richiedere dall’azienda - per cosiddette esigenze di servizio o tecnico/produttive - di spostarsi in mobilità orizzontale (o anche discendente)  su altre posizioni di lavoro diverse e soggettivamente carenti di requisiti di omogeneità, se non  quella che lega la comune matrice «manuale» delle mansioni operaie o ausiliarie e la comune matrice «concettuale» delle mansioni impiegatizie.

 

C’è da chiedersi come possa essere stata legittimata questa nuova concezione della divisione funzionale del lavoro in omaggio alle esigenze aziendali, considerato che il vigente art. 2103 c.c. si differenziò dal vecchio per aver deliberatamente espunto qualsiasi richiamo alle «esigenze dell’impresa». Facendosi salve – interpretativamente – quelle richieste dalla sicurezza e dalla salvaguardia degli impianti. La norma contro i declassamenti fu concepita – in funzione antielusiva – pertanto in maniera del tutto rigida. Poi smussata dalla giurisprudenza e dal legislatore che consentirono il cosiddetto «patto di declassamento» per i riassorbiti dalla Cig, per il colpito da sopravvenuta inidoneità alle originarie e più gravose mansioni, per i disabili con residua capacità lavorativa, sancendo l’onere datoriale di repêchage, in omaggio alla conservazione del bene (superiore alla professionalità) della conservazione del posto di lavoro.

 

Ma le aziende non si erano affatto rassegnate a subire la rigidità garantista dell’art. 2103 del codice civile. Così, con la forza e la perseveranza loro propria, convincevano le organizzazioni sindacali a pattuire le cosiddette «clausole di fungibilità» nelle aree professionali, atte a consentire l’avvicendamento e lo spostamento del personale a mansioni classificate nei ccnl come «omogenee» ma  in concreto «eterogenee». Nasceva così – nei contratti nazionalil delle Ferrovie, delle Poste e del credito - la figura (insicura e precaria) del lavoratore «polivalente», spregiativamente «tuttofare» o «tappabuchi».

 

La Cassazione – in luogo di invalidare queste clausole dichiaratamente tese ad una gestione flessibile della forza lavoro – le ha invece legittimate, con espressa autorizzazione alle organizzazioni sindacali di porle in essere (anche per deflazionare l’entità dei ricorsi).

 

Revocando le (già poche) garanzie per il lavoratore, sono state così soddisfatte due esigenze: a) quella aziendale di precludere per il futuro qualsiasi rifiuto, dato il salvacondotto da invalidazioni giudiziali delle sanzioni irrogate ai cosiddetti riottosi ; b) quella della magistratura di azzerare (d’ora in poi) il contenzioso  in tema di demansionamenti.

 

Così operando la Cassazione si è sostituita – nel conferire la delega agli agenti contrattuali a  pattuirle – al legislatore, in un ambito che è quello dei diritti soggettivi di status professionale del lavoratore non comprimibili neppure dai contratti nazionali. Resta da chiedersi come i sindacati intendano muoversi a fronte dell’«autorizzazione/trabocchetto» loro indirizzata dagli «ermellini». Speriamo, davvero, non con l’acquiescenza riscontrata esemplificativamente nei precitati contratti nazionali.

 

Nota

 

(1) Cass. SU n. 25033/06, n. 5285/07, n. 8596/07, n. 25313/07, allo stato 
Lunedì, 31. Dicembre 2007
 

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