Il declino del sindacalismo americano

Nello scorso autunno una scissione si è verificata nell'AFL-CIO,la confedrazione sindacale americana.Il dibattito riguarda la perdita di iscritti e di influenza sui cambiamenti del capitalismo americano, il ruolo della contrattazione collettiva, i rapporti con i partiti politici.
Lo scorso settembre sette sindacati "internazionali" statunitensi hanno formato una nuova federazione sindacale, Change to Win (Cambiare per vincere, Ctw). L' evento era in gestazione - tra dibattiti interni e campagne pubblicitarie - già da qualche anno.Secondo la Ctw, e il presidente della Seiu  Andy Stern che l'aveva ispirata, c'era urgente bisogno di
arginare le croniche e crescenti perdite di affiliati, investendo
la massa delle risorse sindacali nel reclutamento di nuovi aderenti. Inoltre c'era bisogno di generalizzare il potere di contrattazione unificando sindacati diversi, attivi negli stessi settori dell'economia.
John Sweeney, presidente dell'AFL-CIO,  riconoscendo la sostanza delle critiche di Stern, e per prevenire la scissione, aveva invano offerto il 30 per cento delle risorse
della Confederazione nazionale per il reclutamento e un processo graduale di unificazione settoriale basato sull'accordo tra sindacati nazionali.
Ma esiste un'importante discriminante per i sette sindacati della Ctw, cioè la condivisa caratteristica di rappresentare lavori che sono indispensabili e inscindibili
dall'economia dei grandi centri urbani metropolitani, che perciò non possono essere esportati fuori degli Stati Uniti. Quasi tutti gli altri lavori rappresentati dall'Afl-Cio subiscono da trent'anni la crescente falcidia dell'outsourcing
su scala globale. Secondo Andy Stern, la discordia non era dipesa solo da questioni ideologiche sull'organizzazione e la rappresentatività del sindacato, ma era imperniata sulla maniera il cui il sindacato potesse affrontare con successo il suo "aggiustamento" alla "...più profonda, significativa e
trasformativa rivoluzione economica della storia degli Stati Uniti".
Quanto è ricco il sindacato americano? Calcolando un ipotetico contributo di dieci dollari settimanali per aderente coperto da contratto, si può arrivare a una stima di entrate pari a nove miliardi di dollari annui. (Le cifre reali sono probabilmente più alte. Se i contributi fossero del 2 per cento del salario medio (15,16 dollari su 758 dollari settimanali lordi), si otterrebbe un totale di 13,5 miliardi di dollari all'anno. Nel 2004, solo il13,8 per cento della forza
lavoro (17.087.300 lavoratori), era coperto da un contratto sindacale.

Nel 1977 il totale di lavoratori coperti era il 26,5 per cento (21.534.600 lavoratori). In più va considerato che i sindacati, grazie ai fondi pensione Taft-Hartley e altre attività liquide come i fondi di assicurazione sulla salute, sono
 co-proprietari (al 50 per cento), ma non ne hanno il con t rollo manageriale, del 20 per cento di tutta la liquidità finanziaria esistente in America.. Di questi, i soli fondi pensione ammontavano a 420 miliardi di dollari nel 2002, cioè dopo aver perso il 19,6 per cento per il crollo della borsa tra il 2000 e il 2001.
Da un'indagine commissionata dall'Afl-Cio nel 2005, risulta che il 53 per cento di tutti i lavoratori "non-manageriali" americani voterebbe "certamente o probabilmente" a favore dell' e s s e re rappresentato da un sindacato (e coperto da contratto) sul luogo di lavoro. Solo il 38 per cento si è dichiarato contrario. Nel 2001 il 43 per cento era a favore e più del 50 contrario, mentre sia nel 1993 sia nel 1996 (appena dieci anni fa) solo il 39 per cento era a favore del sindacato. Cosa spiega questi altissimi livelli storici di opposizione
al sindacato tra i lavoratori americani? E per contro, se il numero a favore di una rappresentanza sindacale sul luogo di lavoro, già al 39 per cento dieci anni fa, ha continuato ad aumentare fino oltre il 50 di oggi, perché la fetta di forza lavoro di fatto rappresentata ha continuato a preci pi tare fino
al bassissimo 12,5 per cento di oggi?
La ragione prossima del declino dei sindacati sta nel fatto che, a tutti gli effetti, non debbono essere i lavoratori americani a organizzare il sindacato, ma i sindacati che devono tirarsi dietro i lavoratori - andandoli a scovare casa per casa, quando si sentono stanchi e vulnerabili e ti chiuderebbero volentieri la porta in faccia, educandoli e convincendoli uno a uno.
Quest'approccio chiaramente non si presta alla formazione di grandi organizzazioni di massa o di movimenti di opinione.
La conseguenza maggiore di questa logica è che oggi, sindacati come la Seiu, per riconquistare terreno perduto nel reclutamento di aderenti, cioè di potenziali contribuenti di quote sindacali, organizzano elezioni di rappresentanza
24 ore al giorno e 7 giorni settimanali, spendendo il 20 per cento delle risorse locali. In media, tre o più organizzatori impiegano sei mesi di lavoro a mettere su un'elezione di rappresentanza per un'unità di 150 lavoratori che lavorino sui tre turni in 15 località diverse.
Nel 2005 ci sono state 2.234 elezioni patrocinate dal Nlrb (National Labor Relations Board - l'organo del governo federale preposto alla tutela dei diritti sindacali e dei rapporti di lavoro.), che hanno coinvolto 149.704 lavoratori.
I sindacati ne hanno vinte il 59,5 per cento, guadagnando 68.982 aderenti, ma perdendone 80.722 (del totale dei lavoratori coinvolti), cioè circa il 54 per cento. Altri 11.714 già aderenti sindacali sono andati persi grazie al meccanismo delle elezioni di decertificazione. L' estensione media di un'unità di contrattazione coinvolta era di 67 lavoratori.
Questo tipo di esito non è limitato al 2005. Nei fatti si tratta di un effetto strutturale della legislazione che restringe la rappresentanza sindacale e che si ripete puntuale in ogni elezione. Il Nlrb prescrive che le elezioni di certificazione della rappresentanza avvengano solo all'interno di unità di
contrattazione prestabilite, dallo stesso Nlrb, al momento di accoglimento delle petizioni inoltrate dai sindacati, e che queste siano comunque circoscritte al singolo datore di lavoro. Ne consegue che per le grandi aziende e per le agenzie di governo la forza lavoro viene divisa d'autorità dal Nlrb (o
equivalente per le funzioni pubbliche), in tante unità di contrattazione quante se ne possano giustificare in base al principio della "comunità di interesse" che raggruppa i lavoratori sulla base del grado di affinità tra qualifiche
professionali, mestieri o funzioni.

E c'è di più. Dal momento che ogni elezione viene decisa a maggioranza semplice di quelli che votano, ne consegue che fino al 49,9 per cento dei lavoratori delle unità di contrattazione dove il sindacato perde potrebbero aver
voluto essere rappresentati dal sindacato. Nel senso inverso, c'è da desumere che fino al 49,9 per cento dei lavoratori delle unità di contrattazione dove il sindacato vince ne avrebbero volentieri rifiutato la rappresentanza. Con le elezioni di rappresentanza, quindi, da un lato si nega il diritto di
essere rappresentati dal sindacato a buona parte di chi vuole esserlo, dall'altro si obbliga chi non vuole essere rappresentato a esserlo.
In questa situazione,del tutto artificiosa se non perversa, il datore di lavoro vince definitivamentese il sindacato perde, e vince parzialmente se fino alla metà dell'unità di contrattazione gli rimane fedele. A quel punto basta licenziare un numero sufficiente di lavoratori leali al sindacato per "decertificare"
il sindacato in una susseguente elezione Nlrb, che si può tenere anche su petizione del datore di lavoro, laddove il sindacato non raggiunga un accordo contrattuale entro dodici mesi. Con questo sistema, tra il 2000 e il 2005 i sindacati americani hanno indetto complessivamente 15.305 elezioni Nlrb, in cui hanno coinvolto 1.097.271 lavoratori, ottenendo 265.000
nuovi aderenti o circa il 25 per cento, cioè una percentuale che è un po' di più della metà delle preferenze reali dei lavoratori americani per lo stesso periodo.
Nonostante le recenti "vittorie" organizzative sbandierate sia da Seiu sia da Afl-Cio, i tassi di sindacalizzazione e di copertura da contratto continuano a scendere  relarivamente alle dimensioni della forza lavoro. Durante gli stessi cinque anni la percentuale di forza lavoro aderente al sindacato è passata dal 13,5 al 12,5 per cento. I coperti da contratto sono passati rispettivamente al 14,9 al 13,8 per cento. In termini assoluti, l'adesione al sindacato è passata da 16.258.200 nel 2000 a 15.471.600 nel 2004, mentre la forza lavoro
è cresciuta da 120.785.600 a 123.553.90043.
Qui è importante ricordare che senza diritti e benefici contrattuali, i livelli salariali e dei benefici si riducono drasticamente verso i minimi di mercato, si elimina la sicurezza del posto di lavoro (nessuna forma di giusta causa
si applica), tendono a venire a mancare limiti di orario, vacanze e aspettative pagate, assicurazione sulla salute e schemi pensionistici.
Il numero degli scioperi negli Stati Uniti è sceso da 470 (con 2.756.000 scioperanti) nel 1952 a 14 (129.200 scioperanti) nel 2003. È vietato scioperare per quasi tutti i dipendenti pubblici. Ogni contratto negoziato reca in sé un divieto di sciopero, concordato tra le parti, per la durata del contratto
(di solito 3 anni, secondo il quale chi sciopera, appoggia, condona o incoraggia uno sciopero è licenziato ipso facto). È assolutamente vietato scioperare o picchettare in appoggio a scioperi in altre aziende o perfino in un'altra unità di contrattazione dello stesso datore di lavoro, o per motivi individuali, sociali e politici.
Con il passaggio nel 1947 dell'emendamento Taft-Hartley dello statuto dei lavoratori (National Labor Relations Act) si rese lo sciopero illegale a tutti gli effetti pratici, sostituendolo con l'arbitrato come metodo principale di risoluzione dei conflitti individuali e collettivi all'interno del luogo di lavoro.
Sia per le violazioni da parte padronale/manageriale del contratto, sia della legislazione sui diritti sindacali, si istituì come rimedio la semplice restituzione. Ad esempio: nel caso di licenziamento senza giusta causa, il lavoratore
sindacalizzato può essere impunemente accusato, intimorito, interrogato e progressivamente punito su basi completamente spurie, prive di ogni fondamento probante e quindi licenziato. Se in sede di arbitrato, due o tre anni dopo i fatti, davanti a un arbitro imparziale, viene fuori che la giusta causa non sussisteva, il "giusto" rimedio sarà la riassunzione, l'aggiornamento di tutti i versamenti/benefici e il pagamento del salario che avrebbe dovuto essere corrisposto durante l'assenza forzata, meno quanto percepito dal sussidio di disoccupazione e da altri eventuali impieghi temporanei.
Nessuna ammenda civile o penale è prevista dalla legge contro i datori di lavoro che licenziano senza giusta causa.
Chi non è sindacalizzato (l'87,5 per cento) viene licenziato via su due piedi, senza possibilità di difesa o appello. Ovviamente questo tipo di "arbitrio" o "flessibilità" o "capacità" manageriale di scioglimento unilaterale e forzoso
del rapporto di lavoro sta anche alla base del poco successo sindacale nelle elezioni di rappresentanza, nonché della debolezza del potere di sciopero o contrattuale del sindacato al tavolo delle trattative.
Purtroppo, bisogna anche osservare che i capi o i manager sindacali (si definiscono così), tendono ad avvalersi loro stessi dell'iniquità della legge sul licenziamento quanto su una concezione padronale dei diritti o prerogative manageriali, nei casi in cui sono i dipendenti del sindacato a voler sindacalizzarsi, scioperare o a esprimere posizioni ideologiche, politiche o professionali che, per quanto etiche e giuste, non sono in sintonia con quelle stabilite apriori dalla dirigenza. Questa chiusura tradizionale - spesso idiosincratica
e irrazionale - al dialogo e al dibattito interno, al dissenso,
ai contributi di pensiero e alle spinte più progressiste e riformiste da parte dei gruppi minoritari interni, inibisce sia le capacità operative sia la produzione di idee e iniziative nuove nel sindacato, inteso come soggetto politico e sociale.
Ci sarebbe molto da osservare sui processi di democrazia interna ai sindacati. Mi limito a notare che anche nei casi più rari, in cui i presidenti o i delegati ai consigli direttivi vengono eletti direttamente dagli aderenti di base o quando si ratificano i nuovi contratti, la partecipazione al voto è sempre al di sotto del 50 per cento e spesso anche del 30. La struttura verticistica
e autoritaria riflessa dal predominio del potere esecutivo nell'attribuzione del comando, del potere decisionale e del controllo sulle risorse, fa certamente parte (troppo spesso non riconosciuta) del complesso di cause della debolezza dell'organizzazione sindacale negli Stati Uniti.
Le radici di questo problema affondano nel modello costituzionale presidenzialista, nelle leggi che regolano il diritto istituzionale delle corporations, ma anche nella struttura tutta "feudale" delle gilde o dei sindacati di mestiere importate, ab origine, dal Regno Unito. In ogni caso si registra un paradosso dal momento che questa vocazione al presidenzialismo poco giova al sindacato se il potere decisionale poi risulta in ogni caso frammentato, localizzato
e individualizzato, diviso in una miriade di sindacatini, presidentini, contrattini, rappresentanze e gradi di potere contrattuale minimi, slegati e diversi.
Si stima che in America il poco potere organizzativo, di sciopero e contrattuale che rimarrebbe oggi all'azione sindacale è strutturalmente frammentato in circa 5.746 sindacati locali, regionali e nazionali diversi. In termini di "unità di contrattazione", quindi di copertura e applicabilità
contrattuale, un sindacato locale di 10.000 aderenti, attivo nel solo settore privato, può negoziare e amministrare tra 100 e 130 contratti, con altrettanti slegati e diversi datori di lavoro.
Nel denunciare oggi sempre più duramente le insufficienze dei due partiti politici rispetto al deterioramento delle condizioni di vita, dei diritti civili e sindacali dei lavoratori americani, le nuove Afl-Cio e Ctw omettono di ricordare che questi problemi, seppur in misura minore, esistevano già trent'anni fa. John Sweeney, quando era capo della Seiu, trovò ausilio, rifugio e successo principalmente grazie al facilitato accesso alle nuove, relativamente estese unità di contrattazione tra i lavoratori del settore pubblico a livello locale (comuni, Stato). Come ulteriore paradosso c'è il fatto che questi lavoratori, e non altri, oggi rappresentano l a base sociale e finanziaria solida di appoggio per tutte le nuove attività organizzative progettate dalla Seiu nel settore privato e nell'economia globale.
I milioni di dollari versati dai sindacati, anno dopo anno, per le campagne elettorali dei politici democratici a ogni livello di governo, di fatto avevano fruttato generosamente con il passaggio degli statuti che permisero la sindacalizzazione dei lavoratori pubblici a iniziare con la fine degli anni sessanta. E tuttora, vedi le recenti vittorie contro Schwartznagger in Ca-
lifornia, comprare l'appoggio dei politici con ingenti contributi di voti e di denaro (è del tutto legale negli Stati Uniti) può pagare dove sussistano ancora condizioni di flessibilità ideologica e alternanza politica. Come risultato, nel 2003 più del 41,5 per cento del settore pubblico era rappresentato da sindacati (8.184.700 di lavoratori), mentre in tutto il settore privato solo il 9 per cento era coperto da contratto sindacale (9.263.700 lavoratori).

In molti degli Stati del sud la sindacalizzazione del settore pubblico rimane vietata. L'ironia politica (o della sorte?), è che grazie alle privatizzazioni (outsourcing al settore privato) i lavoratori pubblici americani di oggi sono progressivamente sempre meno impiegati postali, conducenti di mezzi pubblici, infermieri, assistenti sociali e insegnanti, e sempre più soldati,
spie, detective, poliziotti, guardie carcerarie, guardie di confine, guardie antinarc,vigili del fuoco e personale emergenza. Nel complesso, sia il numero di lavori nel settore pubblico sia la percentuale sindacalizzata sono anch'essi in declino da qualche anno. I programmi assistenziali di governo,
il numero di posti di lavoro mantenuti nel settore pubblico, i livelli salariali e dei benefici di questi lavoratori dipendono da quello che presidenti, governatori, deputati, senatori, sindaci e consiglieri decidono in sede di programma e di bilancio. In questo senso, in base a quanto discusso sopra, è divenuto pressoché inevitabile stabilire un rapporto clientelare e subalterno al potere politico.
Dal momento che per concorrere come candidato a un'elezione politica sono necessari dalle centinaia di migliaia di dollari per le comunali alle centinaia di milioni per le federali, i contributi sindacali continuano a scemare rispetto ai sempre più massicci interventi delle corporations. Ma c'è di più: i lavoratori, sindacalizzati e non, non votano in blocco per il Partito Democratico, anzi la fetta dissidente è in crescita. (Nel 2004 hanno votato per Bush il 38 per cento dei lavoratori sindacalizzati (erano il 34 nel 2000); il 40 per cento degli elettori facenti parte del nucleo familiare di un aderente sindacale (erano il 37 nel 2000).
Davanti a questo tipo di realtà, sia Sweeney sia Stern si dichiarano preoccupati per le sorti del "capitalismo democratico" in America (e nel mondo), ma senza investire sufficienti energie e risorse nello spiegare il pesante ossimoro
commesso prima tutto a livello semantico.
Sebbene abbondino i pronunciamenti contro la guerra in Iraq, colpisce in particolare come non vengano quasi mai annoverate tra le nuove idee e i programmi emergenti nel confronto tra Afl-Cio e Ctw, considerazioni analitiche
e di programma sulla dipendenza dell'economia americana (e del sindacato) dalla parte di apparato industriale e commerciale domestico che è finanziata dal governo quasi interamente a scopi militari. Né si parla volentieri dell'impatto delle attività economiche americane - di sfruttamento delle risorse naturali e umane del pianeta e dei consumi e sprechi di massa - sulla salute dell'ambiente naturale e sociale del globo. Ed è pur
vero che non c'è stata mancanza di insigni studi scientifici o avvertimenti drastici in questo senso.
Ambedue i leader si dicono favorevoli all'insorgere immediato di strutture e di un'azione sindacale congiunta che vada al di la dei confini nazionali. Si può ipotizzare la possibilità di sviluppare un dialogo e un dibattito - globale in tutti i sensi - per una mobilitazione e un'azione inter-sindacale e inter-nazionale con la piena cooperazione leale, fattiva ed egalitaria dei lavoratori e dei sindacati americani? Forse c'è solo da desiderarlo. Molto fortemente.
 
Pasqualino Colobaro vive negli Stati Uniti, è sociologo, impegnato nel settore della formazione del sindacato americano. L'articolo è parte di un saggio - "Vecchi e nuovi problemi del sindacalismo americano"- pubblicato da "Quaderni di Rassegna Sindacale" 1/2006
 
Mercoledì, 26. Luglio 2006
 

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