In epoca risalente è stato detto che il licenziamento, se per limprenditore può essere un capriccio, per il lavoratore è sempre un dramma. Poi, col passare del tempo, ce ne siamo scordati; chissà perché. Ad ogni modo, è quella elementare verità che ha motivato e spinto intere generazioni a rivendicare la soppressione della licenza di licenziare che, con la complicità degli operatori giuridici e segnatamente dei giudici, si era radicata nella prassi assai prima che la legge la concedesse.
Erano in molti a credere che la vicenda avrebbe cessato di produrre drammi esistenziali con lemanazione di unapposita legge che, subordinato allesistenza di gravi motivi lesercizio del potere di licenziare, conferisse al giudice il potere di ordinare la reintegra del malcapitato, riportando indietro le lancette dellorologio. Le cose invece sono andate diversamente, perché la condanna non gli assicura (come dovrebbe) tutto quello e proprio quello che ha diritto di ottenere.
Come qualsiasi ricerca empirica potrebbe documentare, di fatto la reintegra o è spontanea o non ha luogo e non può compiersi a causa dellirreperibilità nellordinamento processuale di appropriati mezzi di coazione diretta capaci di vincere il rifiuto ad adempiere del condannato. Ciò dipende dal fatto che il processo esecutivo è modellato sugli obblighi di dare (del tipo: rilascio di un immobile) e gli obblighi di fare eseguibili coattivamente sono soltanto quelli in cui il soggetto passivo è utilmente surrogabile da un terzo estraneo indicato dal giudice dellesecuzione. Ed è scontato che lostacolo maggiore a farvi rientrare lobbligo di reintegra è il largo dominio di una cultura ostile allidea della sostituibilità dellimprenditore nel suo ruolo di comando e direzione unidea poco meno che traumatizzante e certamente eretica.
Pertanto, il ripristino ex tunc (ossia, dal giorno del licenziamento) del rapporto di lavoro ad opera della sentenza non è completo, tranne che dal punto di vista retributivo e previdenziale. La riammissione del lavoratore nel circuito produttivo presuppone lapprestamento delle condizioni materiali delleffettivo reimpiego e dunque esige leffettuazione di un insieme di atti gestionali accomunati da quella che il linguaggio giuridico chiama infungibilità per designarne lineseguibilità manu militari in quanto richiedono la cooperazione attiva e responsabile dellobbligato. Una cooperazione allo stato incoercibile se non in via indiretta, come lo Statuto dei lavoratori aveva espressamente previsto in caso di licenziamento di rappresentanti sindacali: in questo caso, ma solo in questo, limprenditore inottemperante è tenuto, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore dellInps (Fondo adeguamento pensioni) di una penale pari allimporto della retribuzione dovuta al reintegrando.
Insomma, prevedendo la tutela ripristinatoria del lavoratore ingiustamente licenziato senza disciplinarne le modalità attuative, il legislatore ha preteso di raggiungere il massimo risultato col minimo mezzo. Come dire, perciò, che la sua sfida denota una temerarietà del rossiniano armiamoci e partite: lintendence suivra, deve aver pensato. Ma si sbagliava. Infatti, lineffettività dellordine giudiziale di reintegra diventerà in fretta una fonte di frustrazioni ed è per evitarle che nel 50% (e passa) dei casi liter delle impugnazioni del licenziamento si arresta alla fase trattativista della conciliazione destinata a chiudersi con una transazione. Per il diritto scritto è un insuccesso. Bilanciato però dal beneficio economico cui allude il motto popolare pochi, maledetti, ma subito. Daltronde, una secchiata dacqua gelida era arrivata dalla stessa Consulta, negando che la formula legislativa della stabilità reale abbia un contenuto costituzionalmente vincolato e dunque riconoscendo che lart. 18 non è lunico possibile paradigma attuativo del diritto al lavoro proclamato dalla Costituzione.
Sarà, allora, per mettersi in pace la coscienza e riguadagnarsi un po di auto-stima che a distanza di 20 anni il Parlamento attenuerà il problema dei limiti delleseguibilità in forma specifica del provvedimento giudiziario, innovando lart. 18 con una disposizione che introduce la possibilità di monetizzare la reintegra su richiesta del lavoratore che intenda sottrarsi allo stress di un dopo-sentenza capace di procurargli unemarginazione di cui non vede la fine e che lede la sua dignità (non solo) professionale. Questa anzi è unopzione cui lattore pur vittorioso in giudizio finisce per essere invogliato, perché lindennità sostitutiva della reintegra è in grado di ingolosirlo: ammonta a 15 mensilità. Una cifra importante; che si somma a quanto dovuto a titolo di risarcimento del danno che, mai inferiore a 5 mensilità, è calcolato in misura pari allimporto delle retribuzioni maturate (e non corrisposte) dal giorno del licenziamento dedotto quanto percepito nel periodo di estromissione per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché, pignoleggerà con la mentalità di un contabile che sfiora il ridicolo lautore dellultima riforma dellart. 18 contenuta nella legge Fornero del 2012, quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione.
Come dire che la stabilità garantita dallart. 18 è più immaginaria che reale. Però, il licenziamento ingiustificato comporta un costo la cui entità non trova riscontro nella legislazione straniera.
La criticità appena rilevata non è nemmeno menzionata nella polemica che lart. 18 non smette di alimentare, ed è destinata a rinvigorirsi in occasione dellapprovazione del renziano Jobs Act. Bisognerebbe chiedersi perché. Ho sempre pensato che la circostanza sia un indizio sicuro del vizio dorigine dellavversione che la norma suscita da 44 anni. Il vizio consiste nella mancanza di un approccio pragmatico.
Infatti, i duellanti preferiscono enfatizzare lobbligatorietà della reintegra e sorvolare sulla sua incerta esecutività, indubbiamente accentuata dalla generosa incentivazione legale a desistere di cui può avvalersi lavente diritto. Inoltre, pur essendo una sfrenata manifestazione di uno screditato formalismo giuridico, con linsistito richiamo allirresistibilità di vincoli insopportabilmente penalizzanti della libertà dimpresa sono riusciti a spargere la voce che la reintegra prevista dallart. 18 rappresenta unisolata anomalia nel panorama comparato, mentre ciò che costituisce un unicum è semmai leventualità di unindennità sostitutiva della reintegra su richiesta del reintegrando uneventualità sconosciuta dalle legislazioni nazionali che ammettevano o ammettono la reintegra.
Stando così le cose, non è difficile perforare la nebbia ideologica che le nasconde e arrivare alla paradossale conclusione che la stabilità immaginaria, specialmente adesso che di posti di lavoro a tempo indeterminato non se ne creano più, è la più ragionevole ed insieme energica tecnica che si possa praticare per punire larbitraria riduzione dei pochi che restano. Come dire: se venisse esorcizzato anche il fantasma della reintegra, lordinamento giuridico del lavoro si riavvicinerebbe malinconicamente al punto di partenza, perché il licenziamento potrebbe tornare ad essere un capriccio. Un capriccio a buon mercato.