Il Cnel è inutile, ma un Cnel servirebbe

Tutti concordi sull'abolzione dell'attuale Consiglio, visto che fino ad oggi è servito praticamente solo a distribuire stipendi a ex politici e sindacalisti. Eppure un organismo tecnico che offra alle decisioni politiche pareri dall'interno del mondo produttivo non sarebbe affatto superfluo, se si facesse funzionare a dovere. Ma ormai la politica prova solo fastidio per ogni tipo di competenze
Mi rendo conto che con queste mie brevi considerazioni raggiungerò un picco di impopolarità. Tuttavia ritengo irrinunciabile ragionare anche sugli aspetti che appaiono più scontati e definiti una volta per tutte.

Sgombero subito il campo dagli equivoci: qui non si vuole difendere la prassi e i risultati ottenuti dal CNEL negli ultimi decenni. Solo affermare che un conto sono le Istituzioni e un conto la loro gestione e il loro governo “politico”.

Contro il CNEL si sono schierati tutti, anche all’interno del fronte del NO: è un organo inutile, indifendibile, costoso; è un cimitero per vecchi elefanti politici e per sindacalisti trombati; è una sinecura concessa alla “casta” che non ci possiamo più permettere e così via demolendo.

Facciamo un po’ di storia, esercizio sempre utile. Come nasce il CNEL? Da un capriccio collettivo dei Padri Costituenti, che già prevedevano come sarebbe andata a finire, oppure da ragioni più serie e fondate?

“La nascita del Cnel fu il punto di arrivo di una lungo percorso finalizzato a trovare soluzioni soddisfacenti al problema della rappresentanza degli interessi nelle istituzioni. Le origini si rintracciano nei Consigli superiori, nati già subito dopo l’Unità, come ristretti organismi che fornivano ausilio tecnico ai ministri. Il fenomeno ebbe rilievo particolare, non a caso, nel ministero di Agricoltura, industria e commercio, il dicastero più legato al mondo e ai problemi della produzione. All'inizio del secolo scorso si ebbe una svolta con la nascita – per decisa volontà di Zanardelli e Giolitti – del Consiglio superiore del lavoro, assise numerosa e di elevato livello istituzionale (sei dei suoi 43 componenti erano indicati dal Parlamento). Nei suoi ventuno anni di vita il Consiglio ebbe un ruolo assai incisivo nella promozione della legislazione sociale e legittimò la presenza delle classi lavoratrici nelle istituzioni.(1)

Analoghi organismi consultivi a livello costituzionale esistono del resto in diversi altri Paesi. Non si tratta quindi di un’invenzione italica. Prendiamo ad esempio la Francia, dove è vivo e vitale il CESE, con funzioni analoghe al nostro Consiglio Nazionale. Qui i membri sono tutt'altro che parassiti di alto rango, messi lì a non nuocere, per una sorta di contentino dato a chi non ha più voce in capitolo. Vanno orgogliosi del loro ruolo e contribuiscono alle decisioni politiche apportando il proprio specifico contributo.

Qui sta il punto. Qual è il contributo specifico di un organo come il CNEL, almeno nelle intenzioni di chi ha scritto la Costituzione 70 anni fa?

Esso rappresenta uno dei contrappesi saggiamente distribuiti nel testo costituzionale; il suo parere, obbligatorio, ma non determinante, avrebbe dovuto portare, all’interno delle decisioni democratiche di governo e Parlamento, il peso e l’autorità delle competenze professionali e delle istanze produttive.

Il rapporto tra democrazia e competenze è sempre stato, fin dal V secolo a.C. in Grecia,(2) un problema grave e irrisolto. Per dirla in termini sbrigativi: la maggioranza, oltre ad avere sempre ragione, acquisisce di per sé anche le necessarie competenze per governare? Gli eletti sono sempre anche “competenti”?

Sappiamo come il fascismo risolvette la questione: presupponendo già prese le decisioni politiche, trasformò il Parlamento in un organo corporativo, abolendo nel contempo il CSL, diventato affatto inutile e pleonastico. Infatti:

“il regime si avviò verso la strada della progressiva compenetrazione tra Stato e società, con l’assorbimento della seconda nel primo. Non, quindi, una dialettica, bensì un processo di identificazione, fondato sul primato dello Stato etico.”(3)

Nel dopoguerra, con la vittoria della democrazia e l’instaurarsi di un regime pienamente parlamentare, il problema delle integrazione delle competenze e delle professionalità nei processi decisionali si ripropose. I Costituenti vollero perciò ripristinare, seppure con un profilo decisamente più basso e solo consultivo, la dimensione “corporativa” del governo, cioè a dire, vollero dar voce ai pareri e alle opinioni di chi viveva e operava “nell'economia e nel lavoro”, perché i decisori politici potessero valersi di un parere “tecnico” interno ai processi produttivi.

Il declino, colpevolmente non contrastato, del CNEL corre parallelo all'onnipotenza di una politica sempre più chiusa in se stessa e nei suoi meccanismi autoriproduttivi, sempre meno attenta alla voce del lavoro e della produzione.

Siamo all'oggi: trovo una triste corrispondenza tra il livello culturale medio di tutti coloro che hanno responsabilità politiche e il fastidio che essi provano per ogni tipo di competenze, che, è a tutti evidente, stentano sempre più ad integrare con le loro decisioni (basti osservare i testi legislativi prodotti negli ultimi anni!). Comprendo perciò l’unanime coro per la cancellazione del CNEL, che assomiglia al comportamento consumistico e un poco volgare di chi, se un orologio non funziona, invece di perder tempo a vedere se è solo scarico o ha bisogno di una semplice pulitura, lo getta via, per comprarne un altro, più a buon mercato, in qualche grande magazzino. Un CNEL rinnovato e ricondotto ai suoi compiti costituzionali originari potrebbe avere una funzione molto importante, soprattutto oggi.

È sempre pericoloso prendersela con le istituzioni, attribuendo loro colpe che sono solo ed esclusivamente imputabili a chi quelle istituzioni governa e amministra.

Note
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(1) Cf http://www.questeistituzioni.it/storia-del-cnel-cosa-e-1659.

(2]) Cf. ANONIMO ATENIESE, La democrazia come violenza, a cura di Luciano CANFORA, Palermo 1982

(3) Vedi nota 1
Domenica, 20. Novembre 2016
 

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