Il bivio del federalismo

Il Sud spreca rispetto al Nord, cioè con gli stessi soldi offre meno servizi. Ma il criterio che è stato approvato, quello dei costi standard, può essere interpretato in due modi: dare meno soldi al Sud; oppure dargli un certo tempo per adeguare i servizi e ridurre i soldi solo se non lo fa

Poche chiacchiere: il Nord è convinto che il federalismo fiscale produrrà un dividendo monetario. E anche se le cifre non sono state ancora svelate da Giulio Tremonti (non per cattiveria ma perché il compromesso approvato dal Senato è vago su quasi tutti i punti chiave) da Galan alla Bresso c’è la convinzione che qualsiasi nuovo criterio di ripartizione delle risorse debba portare più soldi nelle casse degli enti locali settentrionali, soldi da tradurre a scelta in maggiori servizi o minori imposte per i propri residenti. Il ragionamento che si fa al Nord è semplice: la riforma federal-fiscale prevede il criterio dei costi standard, ovvero garantisce a tutte le regioni e gli enti locali risorse per pagare i servizi essenziali al miglior prezzo sul mercato e non un centesimo di più. Visto che il Mezzogiorno è, come confermano le cronache, la patria degli sprechi, ne deriva che al Sud dovranno essere destinate minori risorse, drenando quindi quattrini dal Sud al Nord rispetto alla situazione a legislazione vigente.

 

Il Mezzogiorno è di fronte a un impegno arduo: dimostrare che conviene a tutti conservare una distribuzione equa di denaro, utilizzando il federalismo non per spostare miliardi verso il Nord ma per dire addio a un passato di inefficienze e sprechi.

Quando dai voti in Parlamento sui grandi princìpi si passerà alla messa in pratica del federalismo fiscale il Mezzogiorno dovrà quindi avere gli occhi bene aperti. Il ministro che ha più a cuore il Sud, Raffaele Fitto, è pronto a scegliere dei «cani da guardia» nella commissione che dovrà elaborare le proposte concrete ed è riuscito ad ottenere, nei numerosi passaggi cui è stata sottoposta la bozza di Roberto Calderoli, il ruolo decisivo del suo ministero (gli Affari regionali) nella stesura dei decreti attuativi.

 

Ma il problema non è abbaiare per avvertire che qualcuno sta portando via il malloppo quanto elaborare proposte che spingano il Sud a diventare migliore e a meritarsi fino all’ultimo centesimo di fondi pubblici. Al contrario di quello che si pensa, infatti, non è vero che oggi la spesa procapite per servizi sociali come la sanità sia più elevata al Sud che al Nord. Tolte le cinque Regioni a statuto speciale - che in effetti hanno livelli di spesa pubblica decisamente elevati, senza che ciò sia intaccato dalla riforma - per le quindici Regioni ordinarie in pratica il livello di spesa è proporzionato a quello della popolazione.

La grande differenza tra Nord e Sud si registra non nelle erogazioni bensì nella qualità dei servizi offerti. Il federalismo fiscale prevede come si è detto il principio dei costi standard, ovvero come ripete spesso il ministro Roberto Calderoli se un’auto fa 10 chilometri con un litro di benzina al Nord deve fare 10 chilometri anche al Sud.

 

Il principio è giusto ma l’applicazione può portare a due risultati molto lontani tra loro. Se al Sud l’automobile percorre solo 5 chilometri con un litro di benzina si può decidere di dimezzare i finanziamenti (come vorrebbe il Nord) oppure di mantenerli uguali a patto che le auto del Sud facciano davvero entro un tempo dato i 10 chilometri al litro. Il punto chiave è se il livello dei servizi minimi essenziali sarà fissato pari a quello che oggi è presente al Sud (inefficienze comprese) oppure pari a un livello medio nazionale e quindi nei fatti uno standard più elevato rispetto all’attuale livello di servizi garantito in gran parte del Mezzogiorno.

 

Per passare dall’esempio di Calderoli a uno più concreto, si può considerare che Napoli e a Bologna la spesa pubblica per abitante è la stessa ma il numero di asili è molto più alto in Emilia Romagna: il doppio. Quindi gli asili napoletani hanno costi più elevati, considerati anche i costi indiretti della macchina comunale. Bisogna dare meno soldi a Napoli per costringerla a gestire in modo efficiente i pochi asili o bisogna obbligare Napoli a garantire un maggiore servizio di asili pena il taglio delle risorse?

 

I napoletani, avendo un reddito medio basso, non riescono a pagarsi i servizi (sprechi compresi) e vivono grazie ai trasferimenti che arrivano dal gettito fiscale dei ricchi, i quali com’è noto sono in gran parte residenti al Nord. Ai bolognesi, non c’è dubbio, converrebbe ridurre i fondi a Napoli in base ai minori asili. E incassare la differenza come premio per il maggior contributo fiscale. Ai napoletani converrebbe che nei servizi da garantire a tutti i cittadini si prendesse come parametro Bologna e si imponesse agli amministratori di Napoli di fornire i medesimi standard degli emiliani con le medesime risorse, pena un taglio (allora sì) di trasferimenti e pena (si spera) una sonora bocciatura da parte degli elettori. Mentre il primo percorso si risolve in un mero esercizio contabile (sprechi soldi, ti do meno risorse) il secondo prevede una più complessa analisi dei servizi effettivamente resi al cittadino.

 

I meridionalisti di nuovo conio dovranno spiegare a chi vive al Nord - e giustamente non ne può più degli sprechi dei meridionali - che un federalismo che fornisca risorse in cambio di servizi efficienti conviene anche a loro perché lo Stato sociale produce cittadini migliori.

 

Purtroppo però non sarà facile: i soldi si vedono subito e il dividendo monetario è immediatamente spendibile con i propri elettori, mentre l’istruzione dei ragazzi di Crotone o di Castellammare ha un valore meno percepibile. Anche se di gran lunga più importante.

Mercoledì, 28. Gennaio 2009
 

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