Il ‘totalitarismo pubblicitario’ del governo del malaffare

In questa che sarà forse ricordata come “l’età berlusconiana” la pubblicità è diventata la forma stessa della politica. E ciò che emerge dalle intercettazioni è una invereconda commistione tra politica ed affari. Intanto le denunce per corruzione e concussione sono aumentate del 229 e del 153%

A seguito degli scandali legati al “sistema” protezione civile ed ai razziatori pescati a Milano (ma non solo) con le mani nel sacco, alcuni media hanno incominciato a chiedersi se “tangentopoli” fosse risorta dalle ceneri, o se magari non fosse mai morta. Il “Grande Mistificatore” ha subito rassicurato il colto e l’inclita che non esiste nessuna tangentopoli perché in realtà gli episodi emersi sono da ascrivere solo ad alcuni “birbantelli”. Che naturalmente saranno chiamati a rispondere delle loro malefatte.

 

L’uomo non smette mai di sorprendere. Perché anche ammesso che questi “birbantelli” siano degli ineguagliati stacanovisti della corruzione, della concussione, della tangente, del peculato, della mazzetta, non si riesce assolutamente a capire come abbiano fatto a produrre da soli la clamorosa impennata dei reati di corruzione e concussione, considerato che nel 2009 le denunce in materia (non i reati, che presumibilmente sono assai di più) hanno fatto registrare un aumento, rispettivamente del 229 e del 153 per cento. Con un danno per le casse pubbliche che la Corte dei Conti ha valutato superiore ai 60 miliardi di euro. Cioè una cifra iperbolica con la quale potrebbe essere fatto una notevole quantità di cose che invece non si fanno proprio per “mancanza di risorse”. Stando così le cose, sarebbe bello se gli italiani incominciassero finalmente a rendersi conto che alla base del “malaffare” c’è la “malapolitica”.       

 

Come i più anziani sanno bene, il fascismo è stato un regime che ha oppresso per venti anni  l’Italia, con costi umani e sociali elevatissimi e la riconquista della libertà è stata possibile solo al prezzo di molto dolore e molto sangue. Nella sua autorappresentazione pubblica il fascismo è stato però soprattutto teatro. Cattivo teatro. Declamatorio, macchiettistico, lugubre teatro della morte durante la Repubblica sociale. La cosa che colpisce è che la maggioranza degli italiani non sembra disdegnare che il loro paese proceda a colpi di teatro. Forse l’abitudine viene da lontano. Giovenale rilevava che per tacitare il popolo romano bastavano “panem et circenses”. I regnanti borbonici pensavano che per tenere a bada i sudditi servissero tre f: “feste, farina, forca”. 

 

E’ questo aspetto antropologico che, a ben vedere, lega il ventennio fascista con l’ultimo quindicennio di vita politica italiana. Quello impropriamente definito “seconda Repubblica”, ma che in modo più appropriato gli storici futuri chiameranno probabilmente “età berlusconiana”. Il legame è evidente anche nel ricorso a liturgie analoghe. Si pensi, per fare un solo esempio, tanto alla battaglia del grano come alla consegna delle case ai terremotati. Oppure. tanto alla debolezza per le pompose scenografie come per le folle acclamanti. Che, d’altra parte, sono il sogno di tutti i teatranti. Assieme alle analogie non mancano naturalmente le differenze. Il fascismo è stato esplicitamente una dittatura.  Il berlusconismo si presenta invece come una forma inedita di “democrazia autoritaria”. Perché del tutto insofferente verso il “bilanciamento” dei poteri.

 

Venuto alla ribalta dopo la crisi politica degli anni novanta, il berlusconismo è anche l’indiscusso promotore ed interprete della personalizzazione e spettacolarizzazione della politica, del ridimensionamento del ruolo dei partiti, dell’affermazione su larga scala di tendenze “antipolitiche”, del primato della televisione come strumento di formazione del costume e dell’opinione pubblica. Lo si potrebbe definire la manifestazione estemporanea della politica dopo il tramonto di alcuni dei grandi sistemi ideologici. Venute meno queste visioni generali che assicuravano alla politica un ancoraggio etico e progettuale, con il berlusconismo essa si è progressivamente trasformata in un sistema di marketing. Nella forma e nella sostanza è diventata un prodotto interamente affidato a tecniche promozionali. L’importanza assunta del monitoraggio dell’opinione pubblica e dall’uso di forme di comunicazione tipiche della pubblicità commerciale è un segnale inequivocabile. Per altro la contiguità tra pubblicità commerciale e l’offerta politica ha esteso alla seconda i caratteri della prima. Inclusa la disponibilità del pubblico a prestar fede alle promesse. Anche quando non sono assolutamente credibili, o sono contraddette dai fatti. Comunque la trasformazione della politica in marketing ha finito per tramutare la politica in una business community. In proposito le intercettazioni del coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini sono da manuale.

 

Il problema non andrebbe sottovalutato. Perché il primato assoluto del marketing tende, per sua natura, ad entrare in conflitto con i principi basilari della democrazia liberale. Che, come sappiamo, prevedono appunto precisi limiti e bilanciamenti all’esercizio del potere esecutivo. Invece l’attacco sistematico alla magistratura, alla Corte Costituzionale, al capo dello Stato, l’insofferenza verso funzioni del Parlamento, sono una conferma che nella concezione berlusconiana l’idea che vi possano essere altri poteri in grado di interferire o limitare quello del capo dell’esecutivo è considerata inammissibile. Questa manifesta insofferenza è, a sua volta, la più clamorosa conferma del progressivo allontanamento dai principi costituzionali con la pretesa di opporvi una “costituzione materiale” perseguita in funzione di una “democrazia autoritaria”. Costruita cioè intorno ad una propensione esplicita e totalizzante per la politica-mercato, la cui pietra angolare è una sorta  di “totalitarismo pubblicitario”. Che consiste, non solo nel mescolare linguaggio politico e linguaggio pubblicitario, ma nel fatto ancora più grave di assumere la pubblicità, con il suo impianto asseverativo ed autoconfermativo e perciò non dipendente dalle verifiche della realtà, come la forma stessa della politica.

 

Non c’è quindi da stupirsi se, quando occasionalmente viene scoperchiata la pentola, si scopre che non pochi usano la politica come veicolo di malaffare. La cosa che sorprende semmai è la disputa sui media e tra gli addetti ai lavori se il dilagare quotidiano delle ruberie sia da considerare una ricaduta in “tangentopoli”, o se invece si tratti d’altro. Sorprende perché l’etichetta non sembra francamente la questione più importante. Più importante dovrebbe essere infatti l’impegno a capire cosa sta accadendo. E soprattutto perché sta accadendo.

 

Negli avvenimenti che la cronaca ci propone di continuo, probabilmente non c’è molto che possa ricordare la caccia dei partiti, degli anni di “Tangentopoli”, a risorse sempre maggiori per condurre con mezzi adeguati una lotta aperta per il potere politico, contro concorrenti altrettanto agguerriti. Anche perché, diciamolo schiettamente, di lotte aperte per contendere il potere politico oggi non se ne vedono tante. Verosimilmente quindi c’è meno che in  passato, o è molto più marginale, il finanziamento illecito ai partiti ed ai candidati al Parlamento. Anche per la buona ragione che i partiti sono diventati ectoplasmi ed i candidati non hanno più neanche la scomodità di dover essere eletti. Con il “porcellum” basta infatti “essere all’orecchio” del capo per avere assicurata la “nomina”. Per  le candidate, soprattutto nel Pdl, si deve ovviamente colpire anche “l’occhio” del capo. Che, come si sa, non è affatto insensibile alle doti estetiche.

 

Cosa dedurne? Che le vicende venute allo scoperto raccontano soprattutto storie di ordinarie ruberie da parte di alcuni insaziabili “birbantelli”? Non è affatto così. Ciò che emerge dalle intercettazioni è infatti una invereconda commistione tra politica ed affari. Della cui rilevanza penale si occuperà naturalmente la magistratura. Ma dal punto di vista politico la novità qualitativa è esattamente questa. Con il berlusconismo la politica si gioca tutta, o quasi, sul versante degli affari. E questo è un problema che tocca, al tempo stesso, il ruolo della politica e la qualità stessa della nostra democrazia. Il triste spettacolo a cui stiamo assistendo mette infatti in evidenza che tra le tante privatizzazioni che si sono susseguite negli ultimi due decenni il berlusconismo vi ha aggiunto anche quella della politica. Che ha perciò smarrito per strada persino l’ambizione (o per alcuni l’illusione) di poter contribuire a costruire una società migliore.

 

Quando si approvano provvedimenti come: la Cirielli, la depenalizzazione del falso in bilancio, il condono, lo scudo fiscale (di fatto una amnistia per i reati fiscali); quando si propongono misure: contro le intercettazioni, per il “processo breve” o il legittimo impedimento, si permette certamente a Berlusconi di vincere in Parlamento le cause che avrebbe altrimenti perso in tribunale. Ma contemporaneamente si dà anche un segnale inequivocabile di incoraggiamento al malaffare. Perché si fa intendere a chi si considera più furbo degli altri che è sempre possibile trovare la scappatoia per farla franca.

 

Per uscirne non servono allora a molto le misure propagandistiche di inasprimento delle pene contro la corruzione e la concussione ipotizzate dal governo. Nessuna legge, neanche la più severa tra quelle che si possono escogitare può da sola venire a capo di un problema che tocca direttamente la concezione della politica e della democrazia. Il problema infatti è la cultura politica che si esprime nell’attuale maggioranza. E’ ben vero che nel Pdl incominciano a manifestarsi sintomi di dialettica interna. Alcuni non nascondono la loro opzione preferenziale verso una destra di stampo europeo. Ma per ora non sembrano intenzionati a farla valere.

 

In ogni caso si  può arguire che fino a quando Berlusconi resterà il dominus incontrastato della maggioranza, ad imporsi continuerà ad essere il modello peronista. Mentre nel paese continuerà a proliferare il malaffare. Perché, come osserva giustamente Gustavo Zagrebelski, “Il disprezzo delle leggi da parte dei potenti giustifica analogo disprezzo da parte di tutti gli altri. L’illegalità anche se all’inizio circoscritta è diffusiva di sé stessa e distruttiva della vita della città”. Gli italiani dovrebbero quindi incominciare a mettersi in testa che tollerarla nell’interesse di qualcuno non vuol dire stabilire una eccezione. Ma semplicemente favorire la diffusione di una infezione che rapidamente finirà per contagiare un numero sempre maggiore di persone senza scrupoli.

Giovedì, 4. Marzo 2010
 

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