I rumeni in Italia tra accoglienza ed emergenza

Sono più di due milioni i rumeni emigrati in pochi anni, pari a circa il 10 per cento della popolazione. La maggior parte di essi è venuta in Italia: oggi sono oltre 550.000. Bassi salari, disoccupazione e povertà all'origine della forte emigrazione

La Romania con circa 22 milioni abitanti (Romeni 89,5%, Ungheresi 6,5%, Rom 2,5%, altri 1,5%;  gli Ortodossi sono l’86.8%, i Protestanti il 7.5%, e i Cattolici il 4.7%) è per popolazione ed estensione il secondo paese, dopo la Polonia, ad aver aderito all’Unione europea in occasione del processo di allargamento che si è realizzato in due fasi, il 1 maggio 2004 e il 1 gennaio 2007 (per Bulgaria e Romania).

Per comprendere le ragioni del fenomeno emigratorio rumeno (più di 2 milioni di emigrati in pochi anni, il 10 per cento dei rumeni, circa il 20 per cento della popolazione attiva, un’intera generazione) e della scelta del nostro paese quale destinazione prioritaria (il 48 per cento del flusso emigratorio arriva in Italia, il 18 per cento va in Spagna) bisogna considerare in primo luogo la situazione economica e sociale della Romania oggi.

Secondo Eurostat negli ultimi 6 anni la disoccupazione totale dichiarata è passata dal 6.6 del 2001 al 7.3 per cento ma il vero problema è il lavoro nero, l’assenza di manodopera e l’arretratezza del sistema produttivo: il 40 per cento dell’occupazione femminile e il 35 per cento di quella maschile infatti lavora in agricoltura. L’ammontare del salario lordo medio è di circa 4000 euro l’anno contro i circa 34.000 dell’eurozona ,e Il costo medio del lavoro è leggermente inferiore a tre euro l’ora contro circa 23 in Italia.

Assenza di prospettive, bassi salari, disoccupazione e povertà: i rumeni dunque non hanno altra scelta che emigrare nei paesi della “vecchia” Unione, dove i salari sono 10 volte più alti, con la possibilità di inviare a casa soldi sufficienti a mantenere chi resta, anziani e bambini, o per comprarsi o costruirsi una casa di proprietà (le rimesse ammontano almeno a 3 miliardi di euro l’anno, 1.7 miliardi dall’Italia nei primi 8 mesi del 2007). E gli “effetti collaterali” di questo processo sono l’assenza in patria di manodopera in età da lavoro, per tutte le categorie dall’edile all’ingegnere informatico, e l’abbandono dei minori: secondo l’Autorità nazionale rumena per la protezione del bambino e l’adozione, nel luglio 2003 i bambini affidati ad istituti statali o privati erano 37.491 mentre quelli affidati a famiglie sostitutive (assistenti materne o parenti) erano 45.425 per un totale di  82.916 bambini senza famiglia, molte centinaia dei quali vivono per strada.

Oltre a condizioni economiche e sociali di grande arretratezza, c’è il noto problema della corruzione. Secondo l’organizzazione Trasparency International  la Romania si colloca  al primo posto per corruzione tra i paesi dell’Unione e la Commissione europea nell’ultimo Country Report (settembre 2006, tre mesi prima dell’ingresso nella UE) denuncia ancora, dopo 10 anni di negoziati, la necessità di “ulteriori azioni” nella riforma dei sistemi giudiziario e carcerario e nella legislazione anti-corruzione, soprattutto nella pubblica amministrazione a livello nazionale e locale.

Abbiamo capito perché emigrano. Vediamo se riusciamo a capire perché in tanti arrivano in Italia. Dall’analisi della serie storica  risulta che l’immigrazione dalla Romania verso il nostro paese inizia in modo improvviso nel 1991 con l’apertura delle frontiere dell’Est; negli anni successivi gli ingressi di rumeni sono stati intorno al 20 per cento degli ingressi totali, con una crescita consistente a partire dal 1999 a seguito della regolarizzazione del dicembre 1998 e di quella del novembre 2002.

L’andamento dei flussi, dei rumeni come degli altri popoli dell’Europa centro-orientale, è dipeso negli ultimi anni da tre fattori: il superamento dei visti di ingresso, le regolarizzazioni nazionali e l’ingresso nell’Unione. Nell’ambito del processo di allargamento, alla fine del 2001, l’Unione decise che i cittadini dei paesi dell’Est in fase di pre-adesione non erano tenuti a munirsi di visto di ingresso per periodi inferiori a 90 giorni. Sono cominciati allora  gli arrivi in massa degli ultimi anni, mentre le successive regolarizzazioni decise dai governi italiani (2004 e 2006) hanno favorito l’emersione degli irregolari e la loro stabilizzazione; in vista della adesione all’Unione europea  centinaia di migliaia di rumeni nel corso del 2006 hanno lasciato il loro paese con la consapevolezza di diventare presto (1 gennaio 2007) cittadini europei. Oggi in Italia ci sono circa 556.000 cittadini rumeni, 130.000 si sono regolarizzati con l’ultimo decreto flussi.

 

 
Ma perché così tanti in Italia? Politiche di ingresso poco restrittive, controlli poco efficaci o relativamente tolleranti, certamente. Ma anche il grande peso della affinità linguistica, culturale e religiosa (soprattutto per i cattolici della regione orientale della Moldavia rumena da cui arrivano da noi in migliaia) e della presenza in patria di capitali italiani: circa 20.000 sono le aziende italiane anche di rilevante entità  “delocalizzate” in Romania.
 
Ma un fenomeno migratorio di tali dimensioni concentrato in tempi tanto ristretti, che nessuna moratoria poteva contenere, non poteva non creare anche seri problemi di convivenza. La “quasi” libera circolazione finora attuata, afferma sempre la Caritas, non ha infatti risolto e non poteva risolvere, in un tempo tanto breve, tutti i problemi relativi all’inserimento lavorativo, alla casa, alla convivenza e alla legalità. La criminalità organizzata rumena che spesso governa i flussi migratori spontanei, li organizza e ne trae grandi vantaggi economici attraverso il traffico di manodopera e lo sfruttamento della prostituzione ha dato poi un grande contributo all’idea che nel nostro paese, tra le tante, ci sia anche una “emergenza rumena”.

Ma oltre alle emergenze legate a episodi criminali, non va dimenticato un fenomeno di cui nessuno parla, e cioè lo sfruttamento dei rumeni nell’ambito del lavoro nero, spesso sottopagati e utilizzati ai livelli meno qualificati. Sarebbe interessante conoscere le loro condizioni concrete, i salari e gli orari e il numero degli infortuni sul lavoro che colpiscono i rumeni, soprattutto nell’edilizia. Per non parlare dei circa 2000 bambini che vivono nel nostro paese con l’accattonaggio.

Ma questo è un altro discorso e interessa solo gli addetti ai lavori. La politica e l’opinione pubblica italiana preferiscono oggi parlare piuttosto di espulsione e di repressione, di spedizioni punitive e di sgombri di favelas urbane, come accade tutte le volte che un problema noto da tempo, prevedibile nelle sue conseguenze, viene affrontato male e troppo tardi. 

Venerdì, 16. Novembre 2007
 

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