I primordi della presenza islamica in Italia

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Il formarsi in Italia di una comunità islamica che è attualmente stimata intorno al milione di individui si configura sempre più come la novità demografica più rilevante di fine secolo e quella che più caratterizzerà lo scenario necessariamente interculturale dei decenni a venire.
La storia dell’Europa, dalla Riforma protestante in poi, ha registrato la progressiva seppur non pacifica assimilazione delle novità dottrinali in forza del principio del cuius regio eius religio stabilito nel quadro della Pace di Augusta nel 1555 da Carlo V.

Com’è noto in base a tale principio il popolo doveva accettare la religione professata dal principe o emigrare verso un territorio il cui principe professasse la sua stessa confessione. Originato dalla necessità di impedire altre guerre di religione questo principio, ebbe il pregio di far cessare i massacri.

A secoli di distanza, in un quadro del tutto diverso, si ripropone oggi una nuova rottura di un’omogeneità religiosa complicata questa volta dalla natura multietnica degli attori del processo. Se infatti nel XVI e il XVII secolo le spaccature confessionali attraversavano il corpo di nazioni sostanzialmente omogenee etnicamente e linguisticamente, oggi l’affermarsi e il rendersi visibile di una comunità islamica in Europa è stato reso possibile dall’aggregazione, su basi religiose, di immigrati provenienti da molte decine di paesi. Individui diversi etnicamente e linguisticamente, non solo dalla comunità culturale di accoglienza ma anche tra di loro.

In particolare, nella nostra penisola, la presenza della chiesa di Roma è stata da sempre antemurale al diffondersi massiccio di religioni diversa da quella cristiana o confessioni cristiane diverse dalla cattolica. A tutt’oggi, in un clima di grande tolleranza formale, sono poche centinaia di migliaia i protestanti e ancor meno gli israeliti.

Non è quindi senza traumi che la società e la cultura italiane si pongono di fronte al fenomeno islamico nel nostro paese. Diversamente da quanto avvenne per altre potenze dall’imperialismo coloniale più netto e tempestivo, le avventure italiane in terra di Islàm (Somalia, Libia, Eritrea ed Etiopia) non generarono un significativo contraccolpo in termini di immigrazione di cittadini originari di quei paesi e, fino agli anni ’60, la presenza islamica in Italia era quasi insignificante: oltre al personale delle ambasciate e dei consolati, qualche uomo d’affari, qualche rifugiato politico, pochi venditori ambulanti magrebini e alcune centinaia di studenti arabi provenienti per lo più da Siria, Giordania e Palestina.

Furono proprio questi ultimi che alla fine di quel decennio, con la costituzione dell’Unione degli Studenti Musulmani in Italia (U.S.M.I.), dettero visibilità alla presenza islamica nel nostro paese. Affiliata all’I.I.F.S.O. (International Islamic Federation of Student Organizations) l’U.S.M.I. si sviluppa nelle principali città universitarie a partire da Perugia. Tra i suoi scopi assistere religiosamente e culturalmente i giovani musulmani giunti a studiare in Italia, organizzando oltre ai luoghi di culto, la ritualità settimanale del venerdì, quella relativa al mese di Ramadan e quella delle due principali feste. L’USMI gestisce inoltre regolari incontri di preghiera e di studio e, a livello nazionale, un convegno invernale e uno estivo con caratteristiche di campeggio.

La storia della sua nascita è singolarmente interessante e individua la prima delle città dell’Islam in Italia: quella universitaria. A Perugia negli anni ’60 si è formata un’organizzazione che si chiama Unione degli Studenti Arabi in Italia: Un gruppo di questi studenti sono anche musulmani praticanti e hanno ottenuto il permesso del lettorato di fare la preghiera dentro l’Università e ogni venerdì mattina un gruppo di loro si occupa di preparare l’aula per la preghiera settimanale. Viene il giugno 1967, la guerra dei sei giorni l’occupazione della Cisgiordania, della striscia di Gaza, del Sinai e del Golan siriano da parte di Israele : In un venerdì di quel mese i fratelli che vanno a preparare l’aula per pregare si trovano la porta sbarrata da un gruppo di loro colleghi, compaesani nazionalisti che dicono. “ Dio ci ha fatto perdere la guerra, oggi non si prega” evidentemente c’è uno scontro, cui segue una riflessione e uno strappo: “che cosa abbiamo a che fare con questi” dicono i praticanti e da questa presa di coscienza nasce la prima organizzazione islamica in Italia, l’Unione degli Studenti Musulmani in Italia (USMI). È un’ organizzazione islamica non nazionalista, raduna soprattutto giovani provenienti dalla Palestina, dalla Siria, dalla Giordania e dall’Egitto.

Attorno alla città città islamica universitaria c’è la città sconosciuta ostile, la-città-che-ci-vuole-diversi-da-quello-che-siamo, la città con la quale si ha persino paura di prendere un caffè in un bar. Oggi tutto questo è stato superato, speriamo di essere diventati più forti.

In questa città vissuta come ostile l’Islam è catacombale. È una fase in cui sono passate tutte le religioni, per nascondersi, per proteggersi, è l’Islam delle moschee nei seminterrati vissuti come ribat (avamposto - posto di guardia sui confini) nel territorio nemico. Testimonia la volontà di nascondersi per sopravvivere, è il periodo in cui si dice che tutto quello che è miscredenza è infetto, quindi tutto quello che non siamo noi è infetto, è una maniera un po’ paranoica, vedendolo adesso, nel momento in cui con grande tranquillità facciamo vedere la nostra faccia e parliamo con tutti, tuttavia sintomatica di un disagio e della volontà di preservare la fede e la moralità per un periodo di tempo ipotizzato come breve, fino alla laurea e poi via, tornare di corsa nel paese di origine sperando di non essersi contaminati troppo.

Alla metà degli anni ‘80 quando cominciarono a vedersi i primi immigrati nordafricani (gli egiziani per primi, poi tunisini nel Sud e marocchini provenienti spesso da altri paesi europei) vi erano una dozzina di luoghi di preghiera tra Trieste e Catania gestiti dall’USMI e quello del Centro Islamico Culturale d’Italia, espressione del Consiglio degli Ambasciatori dei paesi islamici accreditati presso lo Stato italiano e il Vaticano,


Gli anni ’90 e l’U.C.O.I.I.: la città del diritto

Gli anni ‘80 si concludono con il decreto-legge del 30/12/89: Norme urgenti in materia di asilo politico, ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione ... gli anni ‘90 iniziano con la costituzione dell’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia (U.C.O.I.I.). due fatti di estrema rilevanza per lo sviluppo e la visibilità dei musulmani. Entrambi gli accadimenti non fanno altro che ratificare una situazione di fatto. Il provvedimento dell’allora ministro del lavoro Martelli interviene, seppur tardivamente, a dare norme e certezza di diritto ad alcune centinaia di migliaia di immigrati e, al contempo, getta le basi per il radicamento dei musulmani sul territorio italiano. L’U.C.O.I.I. dal canto suo raduna le prime comunità islamiche che ormai sono composte in grande maggioranza da lavoratori e che non possono più essere rappresentate da un organismo studentesco. Alla costituzione, avvenuta in Ancona il 9 gennaio 1990, l’Unione iscrive sul suo libro soci l’USMI, 32 soci a titolo personale o in rappresentanza di 6 organizzazioni territoriali (Milano, Torino, Genova, Bologna, Ancona, Palermo). Tra i suoi scopi dichiarati nello statuto: - favorire i processi di diffusione e di approfondimento della cultura e della fede islamica in Italia; - rafforzare i rapporti tra le associazioni e le comunità costituite al fine di cui sopra, tutelare e rinsaldare i rapporti tra musulmani e membri delle comunità islamiche; - tutelare i diritti e gli interessi dei musulmani che operano e risiedono in Italia; - stipulare un’ Intesa con lo Stato italiano nonché convenzioni e concordati sia con lo Stato italiano sia con enti ed organismi locali e sindacali; E sarà proprio la questione dei rapporti istituzionali a caratterizzare e far conoscere al grande pubblico e a giuristi e costituzionalisti la nascente organizzazione islamica. L’art. 8 della Costituzione definisce: Tutte le confessioni religiose... egualmente libere davanti alla legge; prevede che esse abbiano diritto di: organizzarsi secondo propri statuti e afferma che: I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. La carta fondamentale ribadisce il principio un po’ più oltre quando all’art. 19 afferma che: Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato e in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”. Queste le fonti del diritto statale dalle quali partimmo nella primavera del 1990 subito dopo l’assemblea costituente dell’U.C.O.I.I. i musulmani in Italia vedessero riconosciute dalle istituzioni dello Stato alcuni loro diritti e prerogative irrinunciabili di credenti e di cittadini. La nostra comunità composta a tutt’oggi da alcune decine di migliaia di cittadini italiani, autoctoni o naturalizzati, e di altri 8/900 mila cittadini stranieri, pur configurandosi come la seconda comunità religiosa non ha ancora ottenuto la stipula di un accordo con lo Stato che dia ai musulmani certezza del diritto nelle estrinsecazioni della propria particolarità religiosa. Lo strumento "Intesa" disegnato dall’art. 8 della Costituzione serve appunto a perfezionare il patto: lo Stato da una parte, la comunità islamica attraverso i suoi rappresentanti dall’altra. Si tratta evidentemente di estendere ai musulmani facoltà e prerogative nel dominio dei diritti civili. La piena libertà di culto è sancita dalla Costituzione stessa e la legge vieta pertanto, ogni discriminazione religiosa Ultima tra le grandi religioni del Libro, l’Islàm in Italia non ha ancora diritto pieno di cittadinanza. Intese ex art. 8 della Costituzione regolanti i rapporti dello Stato sono state stipulate in questi ultimi anni con quasi tutti i cristiani (compresi i Testimoni di Geova) e con ebrei e buddisti, con soddisfazione di tutte le parti in causa. La città della solidarietà e del volontariato Anche sul versante della solidarietà e nonostante una debolezza economica ancora strutturale, la comunità non è rimasta indifferente: Islamic Rilief e Human Appeal International le due organizzazioni umanitarie islamiche operanti sul territorio e molti centri islamici autonomamente (Bologna e Ancona in prima fila) si sono posti fattivamente di fronte l’emergenza originata dalla guerra di Bosnia, per alleviare le sofferenze morali e materiali in quel martoriato paese e nei confronti di coloro che avevano dovuto lasciarlo per sfuggire agli orrori della pulizia etnica. Anche gli immigrati albanesi che a centinaia si sono rivolti alle strutture territoriali islamiche hanno potuto avere sostegno morale e spirituale oltre ad aiuto e orientamento alla ricerca di un lavoro dignitoso. E parlando di solidarietà voglio testimoniare la mia personale solidarietà a tutti i credenti che in qualsiasi posto al mondo rischiano la loro sicurezza per testimoniare la loro fede. È del tutto inaccettabile che questo avvenga e ancor peggio che avvenga in nome di un’altra fede. Penso in particolare alla condizione dei musulmani in Birmania o in Cina e quella dei cristiani in Arabia Saudita. La città dell’appello all’Islam e della cultura Dal punto di vista culturale e della diffusione dell’informazione islamica e sull’Islàm con UCOII abbiamo patrocinato il lavoro di una commissione di esperti che ha proceduto alla traduzione integrale in italiano dei significati del Corano. Attualmente sono già state pubblicate quattro edizioni per un totale di 68.000 copie. Altri testi dati alle stampe investono i campi della giurisprudenza religiosa, della storia islamica o sono breviari di preghiere e invocazioni all’Altissimo. Nel solo anno 1999 oltre mille copie della traduzione sono state inviate gratuitamente ad altrettante biblioteche di università, scuole medie superiori, carceri, istituti di cultura italiana all’estero, istituzioni diverse. Nel 1993 l’Unione ha ispirato la pubblicazione de "il musulmano" mensile multi lingue di comunicazione della comunità islamica in Italia. La rivista è uscita fino a tutto il 1994 quando difficoltà economiche ne hanno determinato la sospensione. Materiale audio e video per lo più realizzato durante le lezioni e le conferenze tenute in occasione dei convegni e dei campeggi annuali è distribuito a tutta la realtà islamica che a tutt’oggi comprende oltre 350 luoghi di preghiera. La città della presenza e del radicamento Ricordando che nel 1984 c’era in Italia una dozzina di luoghi di culto islamici la progressione è certamente straordinaria. Distinguiamo tre tipologie organizzative. La prima comprende una trentina di strutture che gestiscono veri e propri centri islamici, con attività che oltre a quelle devozionali e culturali sono di ordine sociale, assistenziale, di informazione e di mediazione istituzionale. Per lo più ubicati in grandi città sono il punto di riferimento territoriale per le attività della seconda tipologia, quella delle "moschee". Queste ultime sono circa ottanta con funzioni regolari e consolidate. Oltre alle pratiche rituali svolgono una moderata attività culturale finalizzata all’approfondimento della religione e all’insegnamento del Corano ad adulti e bambini. Infine le entità islamiche del terzo tipo: sono semplici ambienti dedicati alla preghiera, ricavati talvolta in centri di prima accoglienza, appartamenti privati, e che comunque tendono a stabilizzarsi e passare nello spazio di un paio di anni alla categoria superiore. Nel campo delle organizzazioni di settore sono quelle giovanili e femminili che hanno cominciato a muoversi per primi, cercando di dare risposte concrete alle domande che emergono da quelle fasce di popolazione musulmana. Un ente patrimoniale islamico, Al Wakf al Islami in Italia, è stato fondato nei primi anni ’90 e oggi possiede strutture immobiliari adibite a moschee e centri islamici a Milano, Torino, Alessandria, Verona, Padova e Perugia. Altre importanti acquisizioni sono in programma a Bologna, Genova, Agrigento, Novara. La città dell’indipendenza e del realismo Diversamente da quanto è avvenuto ed avviene in altri paesi d’Europa, il percorso storico e politico della nostra comunità in Italia si è contraddistinto per la sua indipendenza nei confronti di qualsivoglia potenza straniera e di lealtà nei confronti delle istituzioni dello Stato. Autonoma politicamente e finanziariamente, l’Unione ha sviluppato un percorso realista tendente al riconoscimento della laicità dello Stato democratico come garanzia di sicurezza e rispetto della religione per tutti i cittadini e residenti in Italia, musulmani compresi. Senza nessuna concessione a massimalismi dottrinari, la nostra organizzazione ha rifiutato e combattuto i vecchi stereotipi che identificavano lo stato laico come un potere ostile e anzi, si è adoperata affinché esso fosse percepito e accettato dall’insieme della comunità islamica come una fonte di certezza giuridica equidistante dalle religioni. L’attività dell’Unione è sempre stata improntata alla più grande moderazione ed equilibrio nell’intento di essere strumento reale di servizio al paese. Un’opera instancabile di mediazione culturale e una pedagogia dei doveri ci ha sempre caratterizzato, consci come siamo del nostro ruolo egemone in una comunità che nell’immigrazione ha la sua debolezza e la sua forza. La debolezza del disagio socioculturale di una moltitudine proveniente da decine di paesi, con lingue e consuetudini diverse, la forza della sua gioventù, la sua prolificità e anche la sua capacità di soffrire e di adattarsi. Siamo convinti che la nostra presenza in Italia sia una realtà in espansione e che si consoliderà nel tempo, pertanto ci siamo attrezzati per svolgere una funzione di mediazione culturale tra la popolazione italiana e i nuovi venuti. Far sì che gli uni conoscessero gli altri, spiegando ad entrambi i gruppi le specificità dei rispettivi percorsi culturali ed educando ad una migliore percezione ed accettazione dell’alterità. Il nucleo fondante dell’U.C.O.I.I. era felicemente composto da un gran numero di cittadini italiani, autoctoni e naturalizzati, capaci di svolgere appieno una funzione di ponte tra la cultura italiana e le culture islamiche provenienti, come abbiamo detto, da molti paesi. Ci siamo sempre pensati come elemento di sicurezza e di stabilità, motori della conoscenza della Legge dello Stato e araldi del suo rispetto formale e sostanziale. Questo ha fatto sì che il nostro paese sia passato praticamente indenne e indisturbato attraverso molte delle crisi che in questi ultimi anni hanno agitato l’Occidente relativamente alla presenza islamica sul suo territorio. L’ “affaire Rushdie”, la guerra del Golfo, le guerre dei Balcani e quella d’Algeria, non hanno prodotto in Italia reazioni tali da impensierire concretamente i responsabili dell’ordine pubblico. Rivendichiamo il nostro contributo alla sicurezza collettiva, un contributo che si è estrinsecato in centinaia e centinaia di incontri interni e pubblici, nelle moschee e sui media, autonomamente e in collaborazione con il mondo cattolico e laico, miranti a costruire una cultura della fiducia nello Stato e nelle sue istituzioni. Un atteggiamento, il nostro, ben compreso dalla grande maggioranza delle forze politiche e gli organismi istituzionali presenti sul territorio con i quali manteniamo stretti e corretti rapporti di fiducia e collaborazione. C’è anche un’ingiustificata città del sospetto In questo quadro ampiamente soddisfacente non possiamo non lamentare un’insistenza ormai insopportabile nel rigetto delle istanze di cittadinanza di un gruppo consistente di nostri fratelli, quadri e dirigenti locali e nazionali. Si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di stimati professionisti o imprenditori commerciali, incensurati e senza alcun carico pendente, residenti in Italia da decenni. In altri casi si tratta addirittura dei loro giovani figli, cresciuti in Italia e ormai culturalmente italiani. In diversi casi le ragioni addotte per il rigetto non sono state ritenute accettabili dai Tribunali Amministrativi Regionali e persino dal Consiglio di Stato. Ciononostante la reiterazione delle domande non ha sortito alcun effetto determinando situazioni di grave disagio e di sfiducia nei proponenti L’anno 2000 è stato promosso come “l’anno dei nuovi cittadini”. E’ segno della volontà del governo di stringere con i nuovi abitanti dell’Italia un patto irreversibile di fiducia e di solidarietà. Vorremmo che in questo anno potessero acquisire la cittadinanza italiana tutti quei nostri fratelli, la cui sola colpa è stata quella di aver partecipato, insieme a noi, a quel grande progetto mirante a fare della comunità islamica una componente a pieno titolo della collettività nazionale.

Lunedì, 17. Giugno 2002
 

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