I lati oscuri della crescita dell'occupazione

Non solo il miglioramento deriva in gran parte dalla regolarizzazione degli immigrati, ma aumentano i lavori atipici e al Sud più di una donna su 4 è part-time. Per la prima volta da 10 anni scende il tasso di attività e continua il fenomeno degli "scoraggiati", coloro cioè che nemmeno cercano più un impiego
Il governo ha molto sottolineato il prolungamento di dati positivi per l'occupazione. Secondo i dati più recenti nel I trimestre del 2005 l'occupazione è aumentata dell'1,4% rispetto allo stesso periodo del 2004. Quindi nel 2005, con un PIL intorno allo zero, dovremmo avere un aumento della domanda di lavoro.  Si tratta di una crescita in buona parte "virtuale", determinata dal considerevole numero di lavoratori extracomunitari registrati per effetto della regolarizzazione. Già nel corso del 2004 la crescita dell'occupazione aveva riflesso soprattutto il consistente aumento della popolazione residente, con poco meno di 600mila abitanti ed un incremento dell'1,0 per cento. Si è trattato principalmente dell'incremento dei cittadini stranieri registrati in anagrafe, a seguito della legge n.189/2002, meglio nota come Legge Bossi - Fini. Il fenomeno è continuato nei primi mesi del 2005.
 
Siamo inoltre di fronte alla crescita del "lavoro senza produttività". Da oltre un decennio gli incrementi del valore aggiunto per occupato sono modesti. Secondo i dati elaborati dall'ISTAT, nel periodo 1995 - 2004 la produttività oraria è cresciuta dello 0,5% annuo rispetto all'1,5% della media dell'Unione a 15 membri ed un livello tra l'1,5 ed il 2,1% per i principali partner. Più recentemente la tendenza si è rafforzata. La debolezza dello sviluppo, la dinamica negativa degli investimenti, la mancata svolta nell'innovazione e nella ricerca hanno portato, in una condizione di maggiore flessibilità del lavoro, ad una crescita dei lavoretti e dei lavoricchi, che abbassano la produttività complessiva e costituiscono una forma di redistribuzione interna di una torta che non cresce. Dal 2001 al 2004 la produttività oraria si è ridotta in Italia dello 0,5% contro un aumento dello 0,6 % per l'UE a 15. Traspare un  serio problema di qualità del lavoro con conseguenze nel lungo periodo per il capitale umano.
 
Il deludente andamento del valore aggiunto per occupato, pur in una situazione di moderazione salariale, riduce la competitività ed esercita un forte condizionamento sulle dinamiche delle retribuzioni in termini reali, portando un ulteriore motivo di depressione nelle dinamiche del sistema economico. C'è il rischio che si inneschino strategie puramente adattive al declino con conseguenze sugli standard regolativi delle condizioni di lavoro.
 
Relativamente alla crescita dell'occupazione per settori, i dati più recenti mostrano che, a seguito della regolarizzazione del lavoro extracomunitario, gli incrementi più elevati si sono avuti soprattutto nelle costruzioni (+8,9% nel primo trimestre 2005 rispetto allo stesso periodo del 2004). Ciò è avvenuto principalmente al Nord (+12,3%) ed in misura minore al Mezzogiorno (+7,1%) ed al Centro (+3,3%). Se depurato dagli effetti dell'emersione del lavoro extracomunitario, l'aumento dell'occupazione ha interessato esclusivamente le regioni centro-settentrionali, ma non il Sud. Il tasso di occupazione, cioè il rapporto tra numero di occupati e popolazione della fascia d'età relativa, è in significativa crescita per le classi di età tra 55 e 64 anni, ma è in calo sotto i 34 anni.
 
Nell'ambito dell'occupazione dipendente si è registrato nel primo scorcio del 2005 un significativo incremento dell'occupazione atipica. Se gli occupati a tempo pieno sono aumentati dell'1,2%, quelli a tempo parziale sono cresciuti del 2,6%, in gran parte nel terziario. L'incidenza percentuale del lavoro a tempo parziale per i dipendenti è, dunque, passata dal 12,5% dei primi mesi del 2004 al 13,2%. Per quanto riguarda le donne, ormai, più di un'occupata su quattro è a tempo parziale.
 
A differenza di quanto avvenuto nel 2004, vi è stata una forte crescita anche dell'incidenza dei lavoratori a tempo determinato sul totale dei dipendenti; dal 10,8% all'11,7%. L'occupazione a tempo determinato è aumentata del 10,9% e ciò ha riguardato tutte le circoscrizioni territoriali e i settori produttivi. Anche qui il lavoro femminile è più esposto; la quota sul totale era ad inizio 2005 del 9,9% per gli uomini e del 14,4% per le donne.
 
Rispetto agli effetti del decreto legislativo 276 del 2003 c'è da rilevare che pochi "cococo" sono diventati lavoratori dipendenti. Una rilevazione della Banca d'Italia nelle imprese con almeno 20 addetti dell'industria e dei servizi pone in luce che una quota molto limitata dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa in essere alla fine del 2003 è stata trasformata dopo un anno in rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato. Si tratta del 4,1% sul totale dei cococo, con una limitata differenziazione tra industria e terziario. Un'altra quota marginale (inferiore al 2%) ha dato luogo a rapporti di lavoro a tempo determinato.
 
Continua il fenomeno dello "scoraggiamento". L'offerta di lavoro ha manifestato durante il 2004 un netto rallentamento e per la prima volta dal 1995, si è avuto un calo del tasso di attività (0,4 punti percentuali nella classe di età tra 15 e 64 anni). L'ISTAT rileva che il rallentamento ha riflesso, da un lato, la decelerazione della componente maschile (dallo 0,9 per cento del 2003 allo 0,5 per cento) e, dall'altro, la battuta d'arresto della dinamica dell'offerta femminile, risultata pressoché nulla dopo un decennio di crescita sostenuta. L'attenuazione della crescita ha riguardato sia il Nord, sia il Centro, mentre nelle regioni meridionali si è accentuato il calo delle forze di lavoro già registrato l'anno precedente.
 
La convinzione di non riuscire a trovare un impiego porta molte donne a ritirarsi dal mercato del lavoro. Nel Mezzogiorno la componente femminile dell'offerta di lavoro si è ridotta  dal I trimestre 2004 al I 2005 del 2,9 % . Il tasso di attività femminile italiano si riduce soprattutto al Sud, ma con andamenti non soddisfacenti anche nelle altre aree.
E' solo in questa luce che deve essere valutata la riduzione del tasso di disoccupazione dall'8,4% del 2003 all'8% del 2004. Nel primo trimestre 2005 il tasso di disoccupazione in Italia è stato pari all'8,2% della forza lavoro con diversi andamenti territoriali. Al Nord è rimasto invariato rispetto a un anno prima al 4,3 per cento. L'indicatore è sceso per l'Italia Centrale al 6,7 per cento, dal 7,5 per cento del primo trimestre 2004, con una lieve riduzione per la componente maschile e un calo più consistente per quella femminile. Nel Mezzogiorno il rapporto tra le persone in cerca di occupazione e le forze di lavoro è risultato pari al 15,6 per cento, otto decimi di punto in meno rispetto al primo trimestre 2004. Il calo ha riguardato esclusivamente la componente femminile.
Venerdì, 28. Ottobre 2005
 

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