I difettucci della Social card

Il ritorno ad un welfare "per categorie", il salto del triplo ostacolo per il limite reddituale, nessun rimedio alla "trappola della povertà", la festa del terzo compleanno del figlio rovinata... E infine: il Natale di Prodi era stato più ricco

Un approccio neo-categoriale alla povertà

Il ministro Sacconi ha ravvisato nella social card, provvedimento di cui è contitolare insieme al ministro Tremonti, un approccio innovativo al tema della povertà assoluta. Più che di innovazione, in effetti, sembra trattarsi di una variante aggiornata del vecchio approccio categoriale all’italiana, che prevedeva sistemi di welfare differenti a seconda della categoria di appartenenza delle persone (soprattutto nel senso della qualifica professionale).

 

In questo caso, la segmentazione più rilevante è di natura socio-demografica: agli anziani, di cui si era parlato fin dall’inizio, sono state poi aggiunte in extremis le famiglie con figli molto piccoli (sotto i tre anni). Tutte le altre tipologie familiari sono escluse da questa misura, qualunque sia il loro grado di disagio economico: una scelta arbitrariamente riduttiva che potrebbe avere conseguenze a cascata, se in futuro la social card dovesse essere considerata una sorta di “patente di povertà” su cui fare convergere ulteriori misure più o meno “compassionevoli”, come il governo ha dichiarato di voler fare.

 

Criteri multipli di selezione reddituali

Le due categorie socio-economiche dei potenziali beneficiari della social card, peraltro, devono “saltare ostacoli” diversi per arrivare all’agognata carta. Contrariamente all’intuizione, quelli che ne devono saltare di più sono gli anziani: mentre per i bambini sotto i tre anni vale solo la soglia ISEE (che è, come è noto, un indicatore sintetico della situazione economica familiare), nel caso degli anziani vige un “triplo ostacolo” reddituale, con soglie distinte da non superare che riguardano l’importo della pensione, l’incapienza in sede Irpef, e infine l’ISEE (1).

 

La coerenza di queste soglie è piuttosto problematica, anche perché ciascuna di esse sembra disegnata più per escludere che per includere. Per cominciare, la no tax area per i pensionati corrisponde a un reddito a fini fiscali di 7.500 euro: tra i 65 e i 70 anni, i pensionati incapienti con pensione compresa tra i 6.000 euro e i 7.500 – che lo scorso Natale avevano potuto fruire del bonus di 150 euro per gli incapienti – non avranno diritto alla carta. Dai 70 anni in su, l’innalzamento a 8.000 euro del limite di importo della pensione consentirà a tutti i pensionati incapienti di saltare simultaneamente due dei tre ostacoli, ma una parte di essi soccomberà poi di fronte al terzo, dato che il limite di ISEE per questa fascia di età resta incongruamente fisso a 6.000 euro.

 

Un pensionato ultrasettantenne con 7.500 euro di pensione tassabile (2) potrà infatti riuscire nell’impresa se fa parte di un nucleo familiare privo di altri redditi rilevanti, dato che l’ISEE si calcola sul complesso dei redditi (e dei patrimoni) della famiglia diviso per un parametro legato al numero dei componenti. Se il nostro pensionato incapiente fa parte di una coppia, per esempio, per rientrare nella soglia ISEE di 6.000 “euro equivalenti” è necessario che gli altri redditi della coppia – ivi compresa la componente patrimoniale – siano inferiori ai 2.000 euro (infatti un ISEE di 6.000 euro equivale a 9.420 euro complessivi per un nucleo di due componenti, dato che il valore base della “scala di equivalenza” in questo caso è pari a 1,57). Come si vede, un limite piuttosto stringente, che il nostro potrebbe allentare solo se potesse fare valere un affitto da portare in detrazione (fino a 5.165 euro annui). Ma attenzione: per questo ci vuole un contratto di affitto regolarmente registrato, e come sappiamo da un recente Rapporto sullo stato di attuazione dell’ISEE (uno dei documenti meno letti del nostro paese) il 33% delle famiglie con una dichiarazione ISEE valida a fine 2004 non ha portato in detrazione alcuna spesa per l’affitto, pur non essendo proprietaria di casa…(3).

 

Le trappole della carta

Come sa chi si occupa di trasferimenti monetari, una delle distorsioni da evitare quando si disegna un nuovo strumento è la creazione di “trappole della povertà”. Questo fenomeno si verifica quando una crescita del reddito a cui è condizionato il beneficio comporta una perdita pari a un importo maggiore del beneficio stesso: per dire, guadagno 10 euro di più e ne perdo 100 di trasferimenti, così mi ritrovo più povero di 90 rispetto a prima. A questa trappola corrisponde una violazione dell’equità orizzontale: dati due soggetti, nell’esempio quello che parte con 10 euro di meno “sorpassa” grazie al trasferimento quello che ha soltanto 10 euro di più.

 

Di solito questi paradossi si evitano prevedendo delle regole di decrescenza dei benefici in prossimità della soglia, in modo che ai 10 euro in più di reddito iniziale corrisponda al massimo una riduzione del trasferimento pari alla stessa cifra. Nel caso della carta, non è stato previsto alcun meccanismo del genere. Il richiedente che nei prossimi giorni, anche per un solo euro di troppo, supererà la/le soglie di reddito che si trova di fronte perderà in un sol colpo i 600 euro a cui sperava di avere diritto (i 120 del 2008 e i 480 del 2009). E’ una cifra decisamente rilevante se rapportata alla soglia prevalente di 6.000 euro: ben il 10%. Se è vero che, a livello psicologico, un guadagno atteso che non si realizza equivale a una perdita, quel pensionato si sentirà certamente parecchio più povero di prima.

 

Patti non sempre chiari

Se conquistare il beneficio è difficile, come si è visto, perderlo potrebbe essere più facile, soprattutto per le famiglie con figli molto piccoli. Non sono infatti del tutto esplicite le condizioni di decadenza dalla carta. Se per le famiglie con figli la presenza di un minore di tre anni è un requisito fondamentale all’atto della domanda, cosa succede quando il figlio compie tre anni? La carta non viene più ricaricata? Nella sua freddezza burocratica, la frase contenuta nel recente messaggio dell’INPS sulla carta acquisti sembra dire proprio questo: “I requisiti richiesti verranno poi verificati bimestralmente prima della concessione del nulla osta a Poste Italiane Spa per il successivo accredito” (4). Trattandosi di nuclei in condizione di povertà (se il loro ISEE si basa su dichiarazioni veritiere), sarebbe bene avvertirli fin da subito che il terzo compleanno del loro figlio più piccolo non sarà una data da festeggiare…

 

Due Natali a confronto

Per l’incapiente nostalgico che si ricorda ancora lo scorso Natale, quello che viene potrà dare origine a pensieri amari. Lo scorso Natale, grazie al “tesoretto”, agli incapienti spettarono 150 euro a testa, più altrettanti per ogni carico familiare (in realtà, per gli autonomi e per una parte dei dipendenti e dei pensionati l’erogazione non fu così tempestiva, in mancanza di un sostituto d’imposta ben organizzato). In totale, furono stanziati 1,9 miliardi.

 

Quest’anno, ai lavoratori incapienti come tali non spetta nulla, a meno che abbiano un figlio molto piccolo. Ai pensionati incapienti, come si è visto, non è detto che spetti: una parte di quelli che hanno avuto il bonus non riceveranno la social card, a causa della presenza di ben tre ostacoli da saltare. Anche per chi l’avrà, i soldi per Natale saranno di meno (per il momento 120 euro, i prossimi 80 arriveranno a fine febbraio). Per il 2008 sono stati stanziati 170 milioni, a fronte di un costo annuo a regime che nella stima più generosa sarebbe pari a 1,07 miliardi (di cui però solo 450 sarebbero a carico dello Stato).

A quanto pare, a Natale si stava meglio l’anno scorso, quando una politica fiscale severa e coerente forniva risorse da redistribuire con una certa larghezza, che non adesso, nel momento del bisogno, quando in teoria le politiche anticrisi dovrebbero essere più generose con le famiglie, ma in pratica hanno il fiato (e il braccino) corto…

 

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Note

1) Si definiscono incapienti i contribuenti che hanno un reddito complessivo a fini fiscali superiore a zero, ma un’imposta netta nulla. L’imposta netta è quanto resta dopo avere applicato le deduzioni al reddito complessivo e/o le detrazioni all’imposta lorda: se nel complesso le prime eccedono i secondi, l’imposta netta è uguale a zero, dato che il nostro ordinamento non prevede forme di “imposta negativa”, salvo casi particolari individuati dalla Finanziaria dell’anno scorso.

2) Esistono infatti trattamenti esenti dall’imposta (per esempio quelli destinati agli invalidi civili), che come tali non vengono considerati in sede di ISEE, la cui componente reddituale si basa sul reddito complessivo dichiarato a fini Irpef.

3) Cfr. Ministero della Solidarietà Sociale (2006), Rapporto ISEE 2006, pag. 40. In generale, la Finanziaria dell’anno scorso aveva previsto di “stringere i bulloni” dell’ISEE a 10 anni dalla sua introduzione, riducendo il peso dell’autocertificazione e attivando meccanismi di controllo semi-automatici, con un ruolo strategico affidato all’Agenzia delle Entrate. L’attuazione di queste misure, che avrebbero potuto essere utili anche ai fini della social card, sembra però in ritardo.

4) INPS, Messaggio N. 026673 del 28/11/2008.

 

(L’autore è dirigente dell’Istat - L'articolo riflette le sue opinioni e non impegna la responsabilità dell'Istituto)

Martedì, 23. Dicembre 2008
 

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