I contratti per l'energia dopo la privatizzazione

Le direttrici di approvvigionamento più opportune per un paese non coincidono necessariamente con quelle ottimali di ogni impresa, come ad esempio nel caso del greggio del Caspio. Inoltre questo tipo di trattative andrebbero condotte a livello europeo per acquisire maggiore forza contrattuale
 L'Italia è strutturalmente un   importatore di energia, una  posizione  che impone  un comportamento specifico, cioè che si definisca una strategia di approvvigionamento, e che si definiscano e si realizzino progetti capaci di inserire il paese entro i grandi assi di movimento dell'energia, o di crearne dei nuovi con facilities e  strutture di ricevimento e  trasporto che riducano i costi.
 
La nostra posizione  richiede  che si definiscano rapporti bilaterali commerciali, e di lungo periodo. Il gioco dell'interdipendenza fra produttori ed importatori ha una  soluzione ottimale, che tende a durare nel tempo, quella nella quale i due giocatori  raggiungono entrambi i loro obiettivi; e varie soluzioni  sub-ottimali, che avvantaggiano l'uno o l'altro, e tendono ad essere rinegoziate ad ogni opportunità. Ci vuole  capacità di investire al di fuori del paese, per partecipare al sistema mondiale di sfruttamento delle risorse, e per acquisire le necessarie esperienze. E ci vuole una gestione  interna ispirata all'interesse del paese importatore  di  mantenere sul suo territorio un approvvigionamento sovrabbondante, per creare  un mercato del compratore piuttosto che del venditore, essendo che l'energia è un costo primario dell'economia: un interesse da perseguire senza privare le imprese di un profitto ragionevole, che permetta loro di investire entro e fuori del paese.
 
Questo obiettivo si raggiunge con una pluralità di operatori sul mercato perché nessun singolo operatore può vedere e perseguire efficacemente tutte le opportunità, dati i limiti non solo di capacità finanziaria o tecnica, ma anche di interesse a svilupparsi. Infine, cosa molto importante, deve esistere un luogo nel quale si valuta l'interesse del paese in quanto, se del caso, diverso da quello dei singoli operatori.
 
La privatizzazione delle imprese dell'energia attuata qualche anno fa in Italia voleva anzitutto rimpolpare il bilancio dello Stato e svincolare il settore dalla politica; e voleva anche creare un sistema più concorrenziale. Il primo obiettivo fu  raggiunto, ma i suoi vantaggi sono stati assorbiti dalle politiche seguite negli anni più vicini. Il secondo obiettivo è stato perseguito con la creazione di organismi indipendenti, mutuati dal sistema degli Stati Uniti, che in alcuni casi hanno rischiato di creare un sistema più complesso, meno trasparente e nella sostanza più dirigistico, di quello precedente. Né l'obiettivo di un minor intreccio con la politica sembra essere stato stabilmente raggiunto. Tuttavia, il numero degli operatori sul mercato va aumentando, ed è probabile che finisca per avvantaggiare i consumatori.
 
L'impresa privatizzata non può per sua natura assolvere alle funzioni tipiche della  fase precedente. Essa è responsabile verso i suoi azionisti, ed ha come compito primario la remunerazione del capitale. Del resto, anche le rimanenti partecipazioni dello Stato hanno valore soprattutto patrimoniale, il che crea unità di intenti fra gli azionisti privati e quelli pubblici. Il luogo dove si fanno valutazioni sull'interesse nazionale  e si prendono iniziative strategiche non è più entro l'impresa privatizzata.
 
Questa lunga introduzione è necessaria ma non sufficiente per poter discutere degli accordi stipulati di recente. L'Italia fa parte dell'Europa, e certe competenze e funzioni devono essere viste a livello continentale, se non si vuole perdere proprio il vantaggio di aver creato l'Europa Unita.

Le funzioni strategiche dovrebbero essere svolte dall'Europa, e non dalle singole imprese dei singoli paesi, le quali trattano in condizioni di inferiorità negoziale di fronte ad un grande produttore che tende ad ottenere il maggior vantaggio possibile. I recenti negoziati europei con la Russia hanno avuto questo aspetto, che non è stato messo in luce, ma è un dato di fatto.
 
Il venditore ha diviso gli europei negoziando prima il grande tubo baltico con i tedeschi, mentre gli italiani, inventori a suo tempo dei metanodotti internazionali e sottomarini, non hanno saputo o voluto entrare nell'affare e creare così un unico negoziato. Separati i due grandi compratori, le premesse non erano gran che fin dall'inizio ed è probabile, per quanto si sa, che i negoziatori italiani abbiano ottenuto il meglio che si poteva ottenere.
 
L'entrata del grande venditore sul mercato italiano non crea scandalo, non solo perché le grandi imprese petrolifere sono nel nostro mercato fin dall'inizio, ma anche perché ciò risponde all'interesse del paese. Certo, in questi casi si dovrebbe dare peso alla reciprocità, e richiedere di poter entrare nel mercato del venditore, ma questi ultimi aspetti sembrano ancora espressi in termini di potenzialità, piuttosto che di affari concreti. La cessione di tecnologie per i gasdotti ad alta pressione è un grosso favore che facciamo alla Russia, anche se i vantaggi del ridotto costo di trasporto potranno ricadere su di noi come su  tutti gli importatori. In sostanza, non sembra che gli accordi contengano molto di nuovo rispetto alla lunga trafila di negoziati che si tengono fra italiani e russi ormai da molti anni.

Per fare meglio sarebbe stato necessario che le premesse che abbiamo citato all'inizio dell'articolo fossero interiorizzate nel sistema italiano ed europeo, e fossero considerate come delle linee guida da adottare in ogni negoziato di approvvigionamento: compreso il fatto che imprese privatizzate non devono necessariamente, e certe volte non possono, rappresentare l'interesse nazionale. Le direttrici di approvvigionamento di un paese non coincidono  necessariamente con quelle ottimali di ogni  impresa. Questo è il caso del greggio del Caspio, che dovrebbe venire in Italia per oleodotto e non per nave, attraverso i porti della Turchia meridionale. 
Sabato, 2. Dicembre 2006
 

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