Guerra e bugie

Chi è contro la guerra è anti-americano? Vediamo alcune autorevoli opinioni dagli Usa e dall'Inghilterra

In queste cronache non siamo soliti occuparci di politica internazionale. Ma la guerra e la pace dominano in questi giorni le cronache di tutto il pianeta, ed è probabile che rimangano come un punto fermo nella storia di questo travagliato inizio di secolo.
Il dibattito è reso difficile non solo dalla drammaticità del tema ma dagli equivoci che lo circondano. Si può essere contro la guerra senza essere antiamericani? Si deve cambiare il giudizio sulla guerra, se il Consiglio di sicurezza dovesse legittimare le scelte di Bush? Proviamo a riproporre brevemente questi interrogativi sulla falsariga delle opinioni espresse su alcuni grandi giornali britannici e americani.

E’ un’affermazione corrente che Bush abbia ormai superato il Rubicone e la guerra non possa essere più fermata. Tanto varrebbe dunque - ragionano i fautori della guerra - concordare una seconda risoluzione delle Nazioni Unite che autorizzi l’attacco, non lasciando soli gli Stati Uniti e in qualche modo condizionandone l’iniziativa. Sarebbe questo un modo di rilegittimare e dare forza alle Nazioni Unite. Ma è così?

L’interrogativo se lo pone Quentin Peel, commentatore del Financial Times del 20 febbraio: “Il Consiglio perderà più credibilità se fallirà nel tentativo di dissuadere gli Stati Uniti dal prendere una decisione unilaterale, o soffrirà di più benedicendo la sua scelta, nonostante che la maggioranza dei membri sia convinta che è sbagliata, prematura e potenzialmente disastrosa?” La critica è rivolta in primo luogo a Blair “che gira il mondo offrendo il suo leale sostegno a Bush”. La verità - aggiunge il columnist del giornale inglese - è che “Stati Uniti e Gran Bretagna non sono riusciti ad argomentare in modo persuasivo che Baghdad costituisca una minaccia sufficiente a giustificare un’invasione”. In altri termini, una guerra ingiustificata rimane tale, anche se il Consiglio di sicurezza, vincendo l’ostilità di Chirac nelle cui mani è il potere di veto, dovesse piegarsi alla linea Bush.

Se sollevare dubbi e opporsi alla guerra significa essere antiamericani, questo sarebbe il caso di Robert Byrd, senatore democratico della Virginia che così si esprimeva il 12 febbraio al Senato. “L’antiamericanismo alimentato dalla sfiducia, dalla disinformazione, dal sospetto e dalla retorica allarmistica dei leader americani sta frantumando quella che era la solida alleanza globale contro il terrorismo dopo l’11 settembre... In soli due anni questa amministrazione, che agisce senza pensare alle conseguenze e arrogante, ha adottato politiche che rischiano di avere effetti negativi per anni”.

Dunque i dubbi non appartengono solo alla “vecchia Europa” che non si rende conto del dolore e della frustrazione dell’attacco terroristico subito dagli Stati Uniti l’11 settembre. “Si può capire – dice il senatore Byrd – la rabbia e lo shock di un presidente dopo l’attacco selvaggio dell’11 settembre, ma tradurre la rabbia e la frustrazione in una politica estera estremamente destabilizzante e pericolosa non è scusabile”.

Queste posizioni sono, dunque, contro la guerra. Ma Thomas Friedman, considerato il più autorevole commentatore di politica estera americano, non è in linea di principio contro la guerra. Ed ecco cosa scrive - il 20 febbraio - sul New York Times: ”Sono turbato dal modo come l’amministrazione Bush ha cercato di giustificare la guerra con la motivazione che Saddam è alleato di Osama Bin Laden o che possa diventarlo. Semplicemente con c’è prova di questo, e ogni volta che lo sento ripetere ripenso alla risoluzione del Tonkino (quella che aprì la guerra del Vietnam – nota della redazione). Non si può portare in guerra un paese sulle ali di una menzogna”.

L’accusa non è di poco conto, se si considera che Chirac e Schroeder sono a loro volta accusati di slealtà e irriconoscenza nei confronti dell’alleato americano. Si può fare una guerra sulla base di affermazioni non provate o di documentazioni fasulle come quelle esibite da Blair? Per Philip Bowring, che scrive da Londra, la famosa documentazione sbandierata da Blair è un tentativo “disperato” di trovare una giustificazione alla guerra: “un atteggiamento talmente cinico da parte di un governo in una società aperta da apparire stupefacente”. Qualcosa che ricorda “la logica di “1984” di George Orwell” (New York Times, 15 febbraio).

Si tratta di citazioni inglesi e americane, e l’elenco potrebbe continuare a lungo. A dimostrazione del fatto che si può (si dovrebbe) ragionare di questa guerra, ed essere radicalmente contrari, “senza se e senza ma”, e senza per questo essere tacciati di schierarsi con Saddam o di essere antiamericani.

Giovedì, 20. Febbraio 2003
 

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