Gli immigrati e le citta delle 'tre I'

La città del futuro non potrà che essere internazionale, interculturale, interreligiosa. Un confronto fra l'immigrazione in Italia e in Germania e alcune buone pratiche per gestire al meglio un fenomeno che sta trasformando le nostre società

Quella che segue è una sintesi della relazione curata da Franco Pittau e di Luca Di Sciullo, con la collaborazione della Redazione Centrale Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes, al convegno "Da immigrato a cittadino", organizzato a Roma l'11 giugno 2007 dall'ambasciata della Repubblica Federale di Germania e dal Goethe-Institut.

 

 

            1. Partire dai dati statistici per evitare i pregiudizi

            Siamo soliti partire dai dati statistici perché questa è la nostra specializzazione nella lettura del fenomeno migratorio. Pensiamo anche che questo tipo di lettura sia in grado di assicurare vantaggi consistenti: innanzi tutto perché i numeri, correttamente utilizzati, sono un efficace antidoto contro i pregiudizi e i modelli del passato (…. ) e in secondo luogo, perché le statistiche hanno il vantaggio di favorire l’individuazione degli aspetti strutturali che caratterizzano il caso italiano. (…..)

Il compito di questa relazione consiste, per l’appunto, nel presentare lo stato dell’integrazione degli immigrati in Italia in una maniera che sia confrontabile con quanto avviene in Germania. Come redattori del Dossier Statistico Immigrazione non siamo solo studiosi ma anche operatori della rete Caritas/Migrantes e perciò, grazie alla collaborazione dell’Ambasciata tedesca e della Friedrich Ebert Stiftung, non solo abbiamo proceduto ad una comparazione delle statistiche dei due paesi e curato una rassegna delle ricerche fatte nel passato, ma abbiamo anche condotto un’indagine a proposito dello stato dell’integrazione, facendo intervistare 60 testimoni privilegiati, scelti tra la popolazione immigrata a Roma, l’area urbana con il più alto numero di immigrati.

            Il tutto, compreso questa premessa metodologica, è stato condensato in 10 punti, una sorta di decalogo comparativo sull’integrazione.  (…).

 

  1. L’Italia e Germania: due grandi paesi di immigrazione

 

Immigrati  (in migliaia)

 

1993

2006

Incidenza  2006 %

Germania

7.000

6.751

6

Italia

144

3.500

8,1

 

In Italia, dal 1970, quando gli immigrati erano solo 144.000, l’aumento è stato di ben 25 volte. Tutto lascia prevedere che tra 10 anni in Italia gli immigrati saranno 7 milioni, tanti quanti se ne contano oggi in Germania (....).Questo afflusso è determinato da un trend demografico più negativo rispetto a quanto avviene nell’Unione e negli altri paesi del mondo (……).

La Germania risulta statisticamente un paese di più antica immigrazione, in cui un quinto degli stranieri è nato sul posto (e ben il 30% degli italiani residenti, e cioè 160.144 persone). L’anzianità dell’immigrazione si rileva anche dagli anni medi di permanenza: 16,8 per la totalità degli immigrati e ben 24,3 per gli italiani, preceduti peraltro dagli immigrati di Olanda, Austria, Slovenia e Spagna. È sorprendente constatare che l’84% degli immigrati vive sul posto da più di 5 anni (e tra di essi il 72% da più di 10 anni), mentre in Italia l’anzianità di 5 anni di residenza è maturata a stento dalla metà della popolazione immigrata.

(…) .Seppure con un ritardo di almeno 30 anni rispetto alla Germania, l’Italia è diventata un paese di immigrazione e si caratterizza per un ritmo di aumento che non ha l’uguale in Germania, con un fabbisogno di 200.000 lavoratori e 100.000 ricongiungimenti familiari all’anno. In Germania nel 2004 il saldo tra entrate e uscite è stato positivo, ma solo di 55.216 unità; in Italia i rientri sono molto pochi e il saldo positivo è ben più consistente. Anche il flusso di richiedenti asilo, che in Germania superava le 100.000 unità fino al 1997, è sceso a 35.000 nel 2004 (comunque tre volte di più rispetto all’Italia, che invece, come paese di frontiera, registra flussi più elevati di immigrati irregolari).(…)

 

  1. Immigrazione in Italia: una composizione più policentrica

La Germania è nota per la netta supremazia numerica del primo gruppo nazionale, quello turco, pari ad un quarto del totale, e cioè 1.764.000 persone. L’Italia è, invece, un paese da noi definito “policentrico”, che conta numerose collettività di una certa consistenza: per arrivare a un terzo del totale bisogna mettere insieme le prime tre collettività: romeni, albanesi e marocchini. Segue un gruppo di altri paesi, dalla presenza non così numerosa ma comunque consistente, alcuni di vecchia data e altri no: Ucraina, Cina, Filippine, Tunisia, India, Perù, Ecuador, Egitto, Senegal, Moldavia e Sri Lanka.  (…)

Notevole è la differenza delle provenienze continentali. In Germania si registrano questi valori: Europa 79,6% (tra gli europei, i comunitari sono 2 milioni su 5.375.000 e gli italiani 535.000), Africa 4,0%, America 3,2%, Asia 12,1%, Australia e altri paesi 1,1%. In Italia, invece, l’immigrazione è meno europea e più terzomondiale: Europa 48,8%, Africa 23,1%, Asia 17,4%, America 10,6%, Oceania e altri paesi 0,1%. 

 

  1. L’Italia: paese di insediamento stabile

(…) Con la legge Martelli del 1990 e a seguito dei flussi di tutti gli anni 90, avvenuti in maniera preponderante al di fuori delle ridotte quote ufficiali, è maturata la consapevolezza che l’Italia è un paese di insediamento stabile. Per giungere a questa conclusione gli italiani hanno impiegato minor tempo rispetto alla Germania, anche perché nel frattempo in tutta l’Unione si era resa più evidente la tendenza di lunga durata dei flussi migratori.

(…) Oggi la Germania e l’Italia, nonostante l’alto numero di disoccupati (in Germania 3,9 milioni, più del doppio rispetto all’Italia), sono coscienti che gli immigrati senza lavoro non sono in grado di coprire tutti i posti vacanti: in Germania si punta molto sui lavoratori qualificati, in Italia si è coscienti che, in una certa misura, servono anche lavoratori non qualificati.

In Italia si riscontra maggiormente la tendenza all’insediamento stabile, non solo dall’alto numero dei ricongiungimenti familiari (sui 100.000 l’anno rispetto ai 76.000 della Germania), ma anche dalla sostanziale parità tra i sessi (in Germania, invece, i maschi immigrati sono il 52%) e dall’incidenza dei minori (pari in Germania al 18,2% e in Italia al 21,9%). In Italia sono anche più elevate le nascite da entrambi i genitori stranieri (52.000 nel 2005), pari al 9,4% del totale delle nascite, mentre in Germania sono state nel 2004 appena 36.214 (un terzo rispetto alle 100.000 nascite degli anni ’90) su un totale di 755.622, ma questo avviene anche perché molti dopo la nuova legge sulla cittadinanza nascono già come cittadini tedeschi. (…)

 

  1. Immigrati insediati stabilmente e immigrati arrivati da poco

L’Italia è chiamata a continuare a farsi carico dei compiti di emergenza, a causa delle elevate quote di ingresso e della pressione migratoria anche irregolare, e nello stesso tempo deve concentrarsi sempre più sull’integrazione della popolazione già insediata.

Per i nuovi arrivati, che in Italia sono molto più numerosi rispetto a quelli che si registrano in Germania, servono misure in grado di superare le emergenze tipiche di chi è spaesato in un nuovo contesto in cui la lingua, la mentalità, il funzionamento degli uffici, le normative sono differenti. (…)

Vi sono poi quelli che, vivendo in Italia da almeno cinque anni, sono ormai soggiornanti di lunga durata: si tratta di circa la metà della popolazione straniera, una percentuale che nel passato era ancora più alta ed è stata ridimensionata dalla frequenza degli arrivi. Questi “lungosoggiornanti”, salvo casi particolari, non hanno più bisogno di aiuti di emergenza bensì di un sostegno per un’integrazione non superficiale. Pur essendo portatori di culture diverse, essi sono intenzionati a inserirsi armoniosamente e stabilmente nella società italiana e, per questo, chiedono spazi adeguati per una dignitosa partecipazione: sotto questo aspetto la situazione italiana è analoga a quella riscontrabile in Germania e in altri Stati membri, ma non contempla in maniera organica corsi di integrazione e di lingua. (…)

 

  1. Per l’integrazione: non modelli ma piste operative da sperimentare

L’Italia, pervenuta alla consapevolezza di essere un paese di immigrazione stabile, è diventata un laboratorio molto meno condizionato dalle esperienze del passato, come invece è il caso non solo della Germania, ma anche della Francia, della Gran Bretagna e di altri Stati membri. (…)

Questi, ad esempio, sono alcuni dei punti fermi emersi nell’esperienza europea:

·        Non sono assolutamente ammissibili deroghe alle norme fondamentali che regolano la vita del paese di accoglienza. Con altrettanta risoluzione non si devono confondere le consuetudini particolari di un paese occidentale con aspetti fondamentali, quali il concetto di società laica, l’uguaglianza dei sessi di fronte alla legge e anche l’uguaglianza delle religioni, per limitarci ad alcuni esempi significativi.

·        Il fatto che alcuni paesi abbiano incentivato le acquisizioni di cittadinanza, è positivo per l’ampliamento dello spazio di identificazione e di partecipazione che così viene offerto specialmente ai figli degli immigrati, (…).

Siamo, quindi, di fronte ad un concetto di integrazione diverso rispetto a quello proposto nel passato. Si può dire che siamo tutti apprendisti. Tanto i vecchi  paesi di immigrazione che quelli di nuova immigrazione, tanto gli Stati membri del Nord e Centro Europa che gli Stati membri del Mediterraneo (…)

 

  1. Prime e seconde generazioni: la cittadinanza

Sono tanti i fattori che hanno consentito un inserimento relativamente positivo delle prime generazioni: il carattere comparativamente aperto della normativa; lo schieramento favorevole delle forze sociali ed ecclesiali; il supporto assicurato dal mondo del lavoro, tanto da parte dei sindacati che degli imprenditori; il forte fabbisogno di manodopera aggiuntiva; il basso tasso di conflittualità tra culture e religioni. Non tutto però è andato per il verso giusto e il processo risulta ora rallentato, perché persistono le discriminazioni, sono stati ridotti gli spazi di partecipazione in ambito pubblico, societario e nel mondo del lavoro e una quota considerevole della popolazione locale si mostra o chiusa o quanto meno titubante di fronte all’immigrazione.

Qualche esempio può essere illuminante. Il 60% dei lavoratori immigrati segnala l’esistenza di discriminazione da parte dei colleghi e solo il 35% dichiara di aver ottenuto avanzamenti nell’inquadramento professionale, percentuale che scende all’11,4% per le donne (Ires-Cgil 2005).

Nonostante il rifiuto di fornire un alloggio agli immigrati regolari rientri tra le forme di discriminazione sanzionate da un risarcimento e da una reclusione fino a 3 anni, nei giornali di annunci economici le inserzioni di questo tipo sono ricorrenti  (…)

Resta, poi, da decifrare quale sarà il nostro atteggiamento verso le seconde generazioni, che iniziano ad essere di numero consistente (i minori hanno superato le 600 mila unità). La scuola italiana, che nel passato si è rivelata una grande agenzia di inserimento dei figli degli immigrati, inizia a mostrare segni di fatica per la diversità di orientamenti impartiti dai diversi schieramenti politici al governo e anche per l’esiguità delle risorse finanziarie disponibili.  Al momento è molto preoccupante (e anche poco studiata) la ridotta partecipazione dei giovani immigrati ad attività in comune con gli italiani e ancora non è stata superata la rigidità dell’attuale percorso di attribuzione della cittadinanza.

In Germania in base alla nuova legge tedesca sulla cittadinanza, in vigore dal 1° gennaio 2001, per gli adulti il requisito di residenza per ottenere la naturalizzazione è stato ridotto da 15 a 8 anni e presuppone la conoscenza della lingua tedesca. Per i minori l’accesso alla cittadinanza è spianato quando almeno uno dei genitori ha da 8 anni il permesso di soggiorno a tempo indeterminato. Nel 2004 i casi di naturalizzazione sono stati 127.000 (sei volte di più rispetto all’Italia).

In Italia il tasso di accesso alla cittadinanza è tre volte inferiore alla media europea, per cui la società italiana al suo interno conta solo poche centinaia di migliaia di cittadini di origine straniera, in grado di rappresentare le esigenze delle diverse collettività ai vari livelli della vita associata (parlamento, uffici pubblici, scuola, strutture religiose ecc.) e di svolgere una funzione di mediazione.

 

  1. L’atteggiamento degli immigrati nei confronti dell’Italia.

L’analisi delle principali indagini condotte nell’ultimo triennio consente di evidenziare un atteggiamento fondamentalmente positivo della popolazione immigrata insediatasi in Italia.

I rapporti di vicinato con gli italiani solitamente vanno bene e sono caratterizzati dalla reciproca disponibilità, e però per il 30% degli intervistati si tratta di una cordiale indifferenza; sono invece più rari i casi di manifesta ostilità e di rifiuto/intolleranza (Progetto Inte.Mi.gra 2004).         Un’altra ricerca, limitata alla Toscana, ha evidenziato che nei due terzi dei casi in cui le cose vanno bene le tonalità sono differenziate e per il 35% del campione si tratta di “rispetto” mentre  per il 29% di “tolleranza”. Sono 8 su 10 gli immigrati che dichiarano che la loro vita è migliorata a seguito dell’arrivo in Italia e più del 60% è certo di restare in Italia in maniera stabile: ciò non è sinonimo di ingenuità e gli stessi intervistati conoscono i lati deboli del “Sistema Italia” ed esprimono una forte richiesta di servizi di base (trovare casa e lavoro, imparare l’italiano, praticare il proprio culto). All’inizio i problemi maggiori sono legati alla sopravvivenza e si è aiutati dai connazionali e sempre più anche dagli amici immigrati, mentre in un secondo tempo emergono la nostalgia, la solitudine e la mancanza di partecipazione (Ricerca Iref-Acli, dicembre 2005-marzo 2006, su un campione di 1.000 famiglie di 31 nazionalità).

            (…) Nonostante tutto, gli immigrati sono più ottimisti degli italiani, riescono a risparmiare di più, si mostrano più disposti ad affrontare rischi e sfide e, generalmente, sono anche propensi ad indebitarsi per migliorare il loro standard di vita (Ricerca Censis per il Gruppo Delta su un campione di 800 immigrati, novembre-dicembre 2005).

 

  1. Le opinioni di italiani e tedeschi

Da un sondaggio di Eurobarometro del 2005 è risultato che il 54% dei tedeschi, contro il 40% degli italiani, ritiene che gli immigrati lavorino più duramente degli autoctoni, eppure è noto che proprio in Italia sono moltissimi i diplomati e i laureati che sono occupati come manovali o, comunque, in mansioni non qualificate. Sempre tra gli italiani, il 41% ritiene che gli immigrati siano maggiormente coinvolti in attività criminali, mentre solo il 14% pensa il contrario.

L’immigrato, quindi, ha un più elevato tasso di criminalità? Lo pensa addirittura il 58% degli intervistati in un’altra indagine, in cui l’opinione espressa è che la violenza è in crescita a causa principalmente degli immigrati, la cui presenza avrebbe causato la diminuzione dei livelli di sicurezza (

Giovedì, 5. Luglio 2007
 

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