Germania, tagli a un welfare che da noi non c'è

E' entrato in vigore il quarto "pacchetto Hartz" di misure di risparmio, ma la protezione resta a livelli che l'Italia può solo sognare

In Germania è appena entrato in vigore un nuovo complesso di misure per la riforma dello Stato sociale, noto come "pacchetto Hartz" dal nome del presidente della Commissione che ha elaborato il progetto. E&L ne ha parlato con Klaus Schmitz, consigliereper gli affari sociali dell'ambasciata tedesca a Roma e già dirigente sindacale per un ventennio.

Eguaglianza e Libertà: In Italia si è scritto sulle riforme in corso nel mercato del lavoro tedesco con riferimento anche agli aspetti che riguardano il welfare state e, in particolare, la tutela della disoccupazione. Qual è il senso delle riforme sviluppate dal cosiddetto "pacchetto Hartz"? Si può fare affidamento sulle riforme del mercato del lavoro per affrontare il problema della disoccupazione tedesca che ha raggiunto e superato cinque milioni di persone? O più che al funzionamento del mercato del lavoro la disoccupazione deve essere attribuita ad altre cause,  come la lunga stagnazione economica degli ultimi anni?
 
Klaus Schmitz. Le riforme di cui si discute, entrate in vigore l'1 gennaio di quest'anno sono l'ultima tappa di un processo iniziato negli anni scorsi che s'inserisce nell'Agenda 2010, varata dal governo Schroeder. Si parla di "Hartz IV" in quanto si tratta di misure che seguono altri precedenti "pacchetti" di interventi elaborati dalla Commissione presieduta da Hans Hartz, direttore del personale della Volkswagen. Prima di entrare nel merito delle nuove misure, vorrei dire che il problema della disoccupazione presenta in Germania diverse facce. Vi è certamente un problema macroeconomico, in particolare la caduta della domanda interna. Negli ultimi tre anni la Germania ha fatto registrare una bassa crescita. Nel quarto trimestre del 2004 si è registrata una crescita negativa, al pari dell'Italia. Questo ha inciso sulla disoccupazione. Vi è in più un divario che riguarda i lander dell'Est, dove il livello di disoccupazione raggiunge il doppio dei lander occidentali.

Ma oltre a questi aspetti di carattere macroeconomico, dobbiamo registrare dei problemi tipicamente strutturali. La Germania rimane un paese altamente industrializzato, con una forte capacità competitiva, com'è dimostrato dal costante alto avanzo commerciale. Ma laddove il settore industriale, pur dovendo far fronte ai problemi della globalizzazione, mantiene un'elevata capacità d'innovazione, la situazione si presenta problematica nei servizi. Il settore dei servizi è molto meno sviluppato rispetto alla media dei paesi industriali. Non mancano punte di eccellenza e di alta qualità, ma i costi sono elevati e la domanda rimane insufficiente.

Ne discende che l'offerta di lavoro nei servizi è bassa, mentre alta è la qualità della formazione richiesta. Il risultato è un elevato livello di disoccupazione per le persone con una bassa qualificazione. La scarsa capacità dei servizi di assorbire occupazione si è riflessa in un livello di occupazione totale che non riesce a crescere e soprattutto in un basso livello di occupazione dei lavoratori più anziani e, bisogna sottolinearlo, del gruppo di lavoratori con bassa qualificazione, il cui livello di occupazione si è ridotto di 13,5 punti fra il 2000 e lo 2003.
 
EL. Posto che c'è un intreccio fra le dinamiche macroeconomiche e i problemi strutturali, come il divario industria/servizi, in che modo il "pacchetto Hartz" può favorire una ripresa dell'occupazione e una riduzione della disoccupazione?
 
K.S. L'obiettivo generale è rendere più fluido il mercato del lavoro. In Germania le professionalità sono definite in termini molto rigidi, e questo rende più problematica la mobilità da un settore all'altro. Sotto quest'aspetto possono agire favorevolmente misure di maggiore flessibilità, puntando su una maggiore occupazione nei servizi, nella sanità, nell'artigianato e, per altro verso, facilitando l'espansione delle micro-imprese e del lavoro autonomo. Per rendere più agevole la mobilità, la riforma prevede un grande impegno in direzione della riorganizzazione dei servizi per l'impiego, che avranno un compito specifico di assistenza e sostegno personalizzato nella ricerca dell'occupazione in primo luogo nei confronti dei disoccupati di lunga durata. L'obiettivo è impedire che lo stato di disoccupazione, prolungandosi nel tempo, diventi permanente. Sotto questo profilo, la riforma entrata in vigore incide su aspetti importanti dello Stato sociale, in particolare sul sistema delle indennità di disoccupazione, assoggettandone la fruizione a criteri di maggiore selettività e rigore.
 
EL. Sembra che proprio questa riforma sia stata all'origine di una protesta di massa soprattutto nei lander dell'est, dove più grave è il problema della disoccupazione. In concreto come agisce la riforma?
 
K.S. Innanzi tutto bisogna chiarire lo scenario di partenza. I disoccupati godono di un sistema di assistenza plurimo. In primo luogo, spetta al disoccupato un'indennità legata alla contribuzione. Quest'indennità è percepita per un periodo che tiene conto del numero degli anni di lavoro ed è proporzionale alla retribuzione in una misura che varia in relazione al carico di famiglia e oscilla fra il 60 e il 67 per cento della retribuzione. Una volta esaurito il periodo dell'indennità, interviene un sussidio di disoccupazione sociale di livello più basso, ma sempre sulla base del vecchio salario, finanziato fiscalmente. In pratica, la successione di queste misure consente una copertura a tempo indeterminato.

E' su questo sistema che interviene la riforma in due modi: innanzitutto fissando un periodo più breve di indennità che oscilla fra un anno e un anno e mezzo a seconda del periodo di lavoro precedente, dell'età e del carico familiare. Per la fase successiva, si è provveduto a unificare l'assistenza di disoccupazione con il sussidio comunale di ultima istanza, sulla base di un livello di beneficio unificato, indipendente dalla vecchia retribuzione, mentre varia in rapporto al carico familiare.

Questa seconda forma di assistenza è anche correlata al reddito familiare, in definitiva allo stato di bisogno. Trattandosi di misure fisse, è chiaro che i lavoratori che fruivano di retribuzioni più elevate sono meno favoriti rispetto al vecchio sistema. Inoltre, il godimento dell'assistenza è condizionato alla disponibilità ad accettare altre proposte di formazione o di lavoro.

Indubbiamente la riforma opera cambiamenti importanti. Nell'insieme essa mira a realizzare più obiettivi. Da un lato, disincentivare la permanenza in uno stato di disoccupazione, che oltre a fruire di una tutela economica relativamente elevata era accompagnata da forme di lavoro nero. In secondo luogo, favorire una più elevata mobilità verso settori terziari che sono suscettibili di creare occupazione. Infine, la riforma mantiene un livello di tutela che non abbandona quanti ne hanno effettivamente bisogno, ma dura nel tempo fino alla collocazione in un nuovo lavoro.

Naturalmente, tutto questo implica un grande sforzo di efficienza da parte delle agenzie di collocamento che debbono offrire una sorta di tutor personale a ciascun disoccupato.

Bisogna infine sottolineare che la riforma, pur avendo un obiettivo di razionalizzazione e di incentivazione alla mobilità e alla crescita dell'occupazione, tende a mantenere un livello di tutela effettivo per i disoccupati in effettivo stato di bisogno. L'assistenza unificata di cui si è detto, che interviene alla fine del periodo di 12-18 mesi di indennità (oscillante fra ilo 60e il 67 per cento del salario) raggiunge per un lavoratore o lavoratrice con a carico il coniuge e due figli 1200 euro mensili, oltre al sussidio comunale per l'alloggio e il riscaldamento.
 

 

Giovedì, 17. Febbraio 2005
 

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