Germania. Meglio finanziare il lavoro che la disoccupazione

finanziare il lavoro che la disoccupazione Il parlamento tedesco ha approvato due importanti leggi che ridisegnano la struttura e il funzioname
Il parlamento (Bundestag) della Repubblica federale tedesca ha approvato il 15 novembre, con i soli voti della maggioranza, due importanti leggi “per moderni servizi nel mercato del lavoro”, che traducono in pratica – ma solo parzialmente – le proposte elaborate dalla Commissione Hartz (vedi).

Le due leggi, come leggiamo nei comunicati del governo, sono finalizzate a trasformare in moderni servizi per l’impiego (“Job Center”) i burocratici e inefficienti Uffici del lavoro, a velocizzare i percorsi del collocamento, a riorientare la formazione più direttamente alle opportunità occupazionali, ad aprire nuovi spazi e opportunità di lavoro. Il tutto, nei piani del governo, dovrebbe consentire notevoli risparmi alle casse pubbliche (grazie anche alla prevista riduzione dei periodi di disoccupazione) e un più razionale impiego delle risorse, secondo lo slogan – uno tra i tanti coniati dalla Commissione Hartz (vedi) – “meglio finanziare il lavoro che la disoccupazione”.
 
La prima legge riguarda l’introduzione presso gli Uffici del lavoro di agenzie di lavoro interinale (Personal Service Agenturen, PSA), la velocizzazione del collocamento, nuove regole relative agli obblighi dei lavoratori coinvolti (obbligo di notifica agli Uffici del lavoro, obbligo di accettare il lavoro proposto) e dei datori di lavoro, i nuovi orientamenti nella formazione, misure particolari per i lavoratori più anziani. La seconda legge riguarda in particolare il sostegno all’emersione di “mini-jobs” nel lavoro domestico o di cura, l’incentivazione del lavoro autonomo in forma di impresa individuale, il sostegno finanziario per gli ultra 55enni che aderiscono al “sistema ponte” Si veda più avanti). Va notato che questi ultimi tre punti devono passare anche per il voto del Bundesrat, la Camera dei Länder, che è a maggioranza di centro-destra e che quindi non mancherà di creare difficoltà.
 
Le due leggi approvate recepiscono diverse osservazioni critiche contenute in un ampio e dettagliatissimo dossier che il DGB (confederazione tedesca dei sindacati) ha presentato il 12 novembre nel corso di un’audizione presso la neoistituita Commissione parlamentare per l’economia e il lavoro. I sindacati tedeschi avevano fin da principio appoggiato il disegno strategico della Commissione Hartz, muovendo tuttavia una serie di critiche, in particolare sui tagli e sui criteri più rigorosi previsti per le indennità e i sussidi di disoccupazione (vedi), sugli obblighi di accettazione del lavoro proposto, su taluni aspetti ritenuti eccessivamente deregolativi. È su quest’ultimo punto che i sindacati hanno segnato il maggiore successo.
 
L’approvazione delle due leggi è stata preceduta dall’entrata in funzione dal 1° novembre del programma “Job-Floater” (vedi) o, detto alla tedesca, “Kapital für Arbeit” (“capitale per il lavoro”). Si tratta di un meccanismo di credito agevolato a sostegno dell’occupazione, mirato soprattutto alla piccole e medie imprese che assumono disoccupati. Esso viene attivato grazie a un accordo con la Kreditanstalt für Wiederaufbau (Istituto di credito per la Ricostruzione, sigla KfW), che ha aperto un’apposita linea di credito agevolato. Per questa sua caratteristica il programma non ha richiesto alcun intervento legislativo.
 
Le agenzie di lavoro interinale
Obiettivo fondamentale della nuova legislazione è ridurre la durata media della disoccupazione, che in Germania è calcolata a 33 settimane. Con il varo della riforma, si prevede che già nel prossimo anno questa durata sia abbattuta di almeno una settimana, il che significherà per gli Uffici del lavoro, che erogano le indennità e i sussidi di disoccupazione, un risparmio che si aggira attorno al miliardo di Euro.
 
Lo strumento cardine per conseguire questo risultato sono le “Personal Service Agenturen” (PSA), in pratica agenzie di lavoro interinale aggregate a ciascun Ufficio del lavoro. A partire da gennaio 2003 presso ogni Ufficio del lavoro territoriale dovrà essere istituita almeno una PSA, che di norma funzionerà secondo criteri privatistici. Agenzie autorizzate già operanti sul mercato potranno assumere nella loro regione la funzione di PSA attraverso un contratto stipulato con l’Ufficio del lavoro, il quale può concordare con l’agenzia la corresponsione di un onorario per i servizi prestati. In assenza di simili agenzie nel proprio territorio, un Ufficio del lavoro può istituire una propria PSA.
 
Nel dossier presentato dal DGB alla Commissione per l’economia e il lavoro, si sottolinea che le PSA, in quanto orientate essenzialmente al collocamento dei disoccupati, dovranno agire secondo una logica diversa da quella seguita dalle agenzie di lavoro interinale commerciali: “Mentre queste ricercano forza lavoro rispondente a un determinato compito, la PSA avrà come obiettivo quello di trovare un posto di lavoro adeguato in particolare per i disoccupati con difficoltà di collocamento, con prospettiva realistica di trasformarsi in occupazione il più possibile stabile”. Ed è in questa direzione che va la legge: si prevede infatti che vengano assunti nelle PSA soprattutto disoccupati con gravi difficoltà di collocamento, anche se in linea di principio tutti i disoccupati possono entrarvi.
 
Un altro aspetto che recepisce i suggerimenti del sindacato è la regolazione del rapporto di lavoro nelle PSA con contratto collettivo, che almeno per una prima fase non era prevista dalla Commissiona Hartz. Sottolineando con soddisfazione questo risultato, il presidente del DGB Michael Sommer ha dichiarato che “siamo pronti da subito a creare le condizioni quadro per una contrattazione collettiva, per una riforma radicale del lavoro interinale in Germania”. Si tratta di coniugare, attraverso la contrattazione collettiva, flessibilità e sicurezza in questo tipo di rapporto di lavoro. “Soprattutto – ha aggiunto Sommer – è importante che il lavoro interinale funzioni come un ponte verso il pieno inserimento nel mercato del lavoro normale”. Per questo il sindacato è disposto ad ammettere una fase di transizione fino al 31 dicembre 2003, per avere modo di predisporre con cura la struttura contrattuale adeguata alla nuova legislazione. In questa fase transitoria continueranno a valere le norme della legge sulla cessione di manodopera, a meno che prima di quel termine non sia stata definita una nuova regolazione contrattuale. Nel frattempo il DGB ha già costituito una commissione negoziale. Comunque, una volta siglato un contratto collettivo con le agenzie di lavoro interinale, vengono a cadere le limitazioni previste dalla legge tedesca per questo tipo di lavoro (divieto di prolungamento della scadenza, di riassunzione, limitazione della durata della cessione di manodopera, ecc.).
 
Si può dire che la nuova legislazione è frutto di un compromesso tra il DGB, le grandi agenzie di lavoro interinale e il Governo. La critiche provengono soprattutto dalle piccole agenzie di lavoro interinale e dal settore privato dell’economia, che temono un aumento di costo del lavoro interinale. Un importante orientamento per questo compromesso è venuto dalla proposta della Commissione europea per una direttiva in tal senso. Va aggiunto che la riforma non tocca solo le PSA, ma regola in modo nuovo il lavoro interinale nel suo insieme.
 
Il DGB saluta con soddisfazione anche un altro punto sul quale aveva a lungo insistito, vale a dire il fatto che la nuova legislazione affermi il principio dell’uguaglianza di trattamento retributivo del lavoratore “prestato” rispetto agli occupati normali dell’azienda prestataria, a meno che il contratto collettivo non preveda qualcosa di diverso. In ogni caso nelle prime 6 settimane il lavoratore interinale dovrà percepire una retribuzione netta non inferiore all’indennità di disoccupazione. Chi non entra nelle PSA, percepisce l’indennità di disoccupazione secondo le disposizioni che regolano la materia.
 
Promuovere ed esigere
“Fördern und fordern”: con questo intraducibile gioco di parole, che significa “promuovere ed esigere”, viene riassunto un aspetto centrale della filosofia della riforma: incentivare ma anche pretendere un’assunzione attiva di responsabilità da parte dei soggetti interessati (disoccupati, imprese).
Innanzitutto, il lavoratore ha l’obbligo di notificarsi la propria situazione all’Ufficio del lavoro del suo territorio fin dal momento in cui riceve la lettera di licenziamento, anche nel caso in cui abbia fatto ricorso contro questa misura. Chi lo fa in ritardo, subirà una decurtazione dell’indennità di disoccupazione, che potrà variare a seconda delle situazioni personali, sociali, familiari o dei motivi del ritardo.
Quanto all’obbligo di accettare un lavoro proposto dall’Ufficio del lavoro, le nuove regole sono rese più severe. Soprattutto, viene richiesta più mobilità. Se un disoccupato non ha prospettiva di trovare un posto nella sua regione nell’arco di tre mesi, deve trasferirsi altrove. L’Ufficio del lavoro contribuirà a sostenere i costi di trasferimento e offrirà un prestito senza interesse fino a un massimo di 1.000 Euro. L’obbligo di trasferimento non sussiste qualora esistano “legami familiari”. Questa espressione non viene ulteriormente specificata, e il legislatore si limita a richiamarsi al principio costituzionale della tutela del matrimonio e della famiglia. In sostanza, sono i single che possono trovarsi di fronte all’obbligo di traslocare per avere un lavoro. L’eventuale rifiuto di un lavoro proposto deve essere adeguatamente motivato dal lavoratore.
 
Anche le imprese dovranno notificare con tempestività e completezza all’Ufficio del lavoro di competenza i posti di lavoro che hanno a disposizione. Finora le imprese sono state sempre reticenti al proposito, anche per le cattive esperienze fatte con i vecchi uffici. “Ma adesso non hanno più scuse – ha detto Klaus Zwickel, presidente della IG-Metall – e dovranno notificare effettivamente gli 1,5 milioni di posti di lavoro che, come vanno sempre dicendo, sarebbero disponibili se non ci fossero di mezzo troppi ostacoli burocratici”.
 
Formazione e opportunità per i lavoratori anziani
Circa la formazione, l’obiettivo della riforma è duplice: promuovere più libertà di scelta e più assunzione di responsabilità da parte del lavoratore interessato; creare più concorrenza tra i fornitori di formazione/riqualificazione. A chi ne fa richiesta e possiede determinati requisiti, viene offerto un “buono per la riqualificazione” da spendere in corsi di propria scelta. L’ente formatore prescelto, prima dell’inizio del corso, deve presentare il “buono” all’Ufficio del lavoro che deve finanziare il percorso formativo. L’Ufficio del lavoro, oltre ai costi della formazione, copre anche le spese di viaggio, mantenimento e soggiorno. Viene inoltre corrisposta una somma di 130 Euro mensili per ciascun figlio a carico. Rispetto alla situazione attuale, viene abbreviato il periodo nel quale un disoccupato, concluso il percorso formativo, conserva il diritto all’indennità di disoccupazione (viene ridotto alla metà della durata del corso di formazione).
 
La nuova legislazione affronta anche il difficile problema dei lavoratori anziani che perdono il lavoro e hanno difficoltà di ricollocazione. Si parla di lavoratori che hanno compiuto i 55 anni. Per costoro si prevedono due possibilità. La prima è di stimolarli ad accettare anche un lavoro peggio pagato del precedente, dotandoli di una “assicurazione retributiva” che compensa parzialmente la perdita di reddito (è la metà della differenza tra l’attuale e la precedente retribuzione). La seconda è il cosiddetto “Bridgesystem”, un “sistema ponte” in virtù del quale il lavoratore anziano, se vuole, può uscire dal rapporto con la PSA, e quindi dal mercato del lavoro, e ricevere un sussidio pari alla metà dell’indennità di disoccupazione fino al maturare dell’età della pensione.
 
Un punto sul quale non è stata accolta, se non in minima parte, l’obiezione dei sindacati riguarda la totale discrezionalità (“senza oggettivo motivo”) con la quale le aziende possono assumere a termine lavoratori anziani da una certa età in poi. Prima il limite di età era di 58 anni; il disegno di legge governativo l’aveva abbassata a 50 anni. La legge approvata l’ha elevata solo a 52 anni.
 
Lavoro autonomo e “mini-Jobs”
Inesauribile nella sua creatività linguistica, la Commissione Hartz aveva inventato la formula “Ich-AG” (“Io Spa”) per indicare l’impresa individuale da incentivare come nuovo sbocco occupazionale. Quest’idea viene concretizzata nella seconda delle due leggi: il lavoratore disoccupato che si mette in proprio e che guadagna meno di 25.000 Euro l’anno (questo limite si eleva a 50.000 se all’impresa collabora il coniuge) ottiene un contributo mensile per tre anni, e precisamente: 600 Euro mensili il primo anno, 360 il secondo e 240 il terzo. Gli aspetti fiscali per questo tipo di impresa non sono definiti.
Un altro tipo di sbocco occupazionale è quello dei “mini-jobs”, dei “piccoli lavori” che riguardano essenzialmente i servizi domestici e di cura, fino a una retribuzione massima di 500 Euro mensili. La nuova normativa, contenuta ugualmente nella seconda legge e – come quella sull’impresa individuale – richiedente l’approvazione anche del Bundesrat, ha l’obiettivo di far emergere dal nero questo tipo di attività. Chi impiega un “mini-jobber” ha diritto di dedurre dalle tasse il 10 per cento della retribuzione annua, fino a un massimo di 360 Euro. Ugualmente pagherà il 10 per cento di contributi assicurativi direttamente agli istituti previdenziali, senza complicazioni burocratiche. Il “mini-jobber” non dovrà pagare né tasse né contributi.
 
Risultati occupazionali e risparmi
Il governo Schröder non è riuscito a mantenere la promessa elettorale del 1998 di abbassare la disoccupazione da una quota superiore a 4 milioni a 3,5. Anzi, nella primavera 2002 il numero dei senza lavoro è risalito sopra la fatidica soglia dei 4 milioni e lì è rimasto. Potrà la riforma avviata fare di più e meglio? I suoi promotori ne sono sicuri, ma giustamente dicono che è difficile anticipare cifre. Qualcuno si era sbilanciato a considerare “plausibile” anche se “assai ambizioso” un abbattimento della disoccupazione di due milioni di unità nel giro di tre anni. La cifra è stata ripetuta in questi giorni anche dal ministro dell’economia e del lavoro Wolfgang Clement, il quale la ritiene possibile purché vi sia “uno sforzo comune”.
 
Il Governo è stato più preciso nel preventivare i risparmi che si ripromette dalla riforma. Il testo presentazione delle due leggi, che ne illustra le ragioni e le linee politiche di fondo, traccia un dettagliato quadro dei risparmi anno per anno, indicando anche gli istituti beneficiari (l’Istituto federale del lavoro, il Bilancio federale). Riassumendo, è scritto nel testo: “Le misure porteranno nel 2003 a un risparmio complessivo di 5,87 miliardi di Euro, di cui 3,39 a beneficio dell’Istituto del lavoro e 2,48 del Bilancio federale. Negli anni successivi è atteso un risparmio più consistente, rispettivamente nell’ordine di 3,73 miliardi di Euro (Istituto federale) e 3,47 miliardi (Bilancio federale)”.
Giovedì, 21. Novembre 2002
 

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