Germania, l'affondo del sindacato

Il leader dei metalmeccanici spiega perché il 5% di aumento richiesto non è affatto troppo, sfata una serie di luoghi comuni e traccia alcune linee strategiche per affrontare la concorrenza dei paesi a basso costo del lavoro
"Una vertenza contrattuale molto difficile" - così la definisce una nota della IG Metall (vedi www.igmetall.de) - quella che ha avuto inizio l'8 febbraio scorso, tra il sindacato dei metalmeccanici tedeschi e il Gesamtmetall, l'organizzazione datoriale del settore. Sono coinvolti circa 3,4 milioni di lavoratori dell'industria metalmeccanica ed elettrica; la validità prevista è di un anno, dal 1° marzo 2006 al 28 febberaio 2007.
 
Le posizioni di partenza sono molto distanti. Per ora gli imprenditori sono disposti a concedere un aumento dell'1,2 per cento, facendo unicamente riferimento all'aumento netto (molto "depurato") della produttività, così come lo hanno stimato. La IG Metall chiede invece un 5% di aumento delle retribuzioni, facendo riferimento all'aumento di produttività nel settore valutato al 2 per cento nonché all'inflazione prevista nel medio periodo dalla Banca centrale europea al 2 per cento, e aggiungendo un 1 per cento in considerazione delle buone performances dell'industria tedesca del settore. Come dire: se lo possono permettere.
 
Oltre a quella salariale, ci sono altre rivendicazioni, così riassumibili:
- un accordo su qualificazione e innovazione, con l'obiettivo di obbligare le aziende a investire di più nella formazione continua di tutti i lavoratori e nell'innovazione dei processi produttivi e dei prodotti (attraverso nuovi diritti di consultazione e codeterminazione per i Consigli d'azienda);
- un accordo per favorire il risparmio e la sua destinazione alla previdenza complementare;
- un accordo regionale specifico nel Baden-Württemberg (il Land chiave della IG Metall) per mantenere sia il pagamento delle pause, sia altre normative inerenti alle condizioni di lavoro sulle linee di montaggio, nel lavoro a cottimo, ecc. In questo caso si tratta di ripristinare un accordo già esistente e denunciato unilateralmente dai datori di lavoro. Questo accordo, sottolinea l'IG Metall, non vale solo per il Baden-Württemberg, ma interessa tutta l'IG Metall. Esistendo simili accordi - anche se con contenuti differenti - in altre regioni, tutte le strutture sindacali regionali si sentono perciò colpite e interessate a fare causa comune (anche perché il Baden-Württemberg ha un alto valore simbolico per tutta la IG Metall).
 
I contenuti, le ragioni e il contesto della vertenza sono stati illustrati da Jürgen Peters, presidente della IG Metall, nell'articolo che riportiamo qui di seguito.
(scheda e traduzione di Bruno Liverani)
 
Nelle ultime settimane la IG Metall ha sviluppato nelle fabbriche e nelle sedi sindacali un'ampia discussione sulle rivendicazioni del prossimo rinnovo contrattuale dell'industria metalmeccanica ed elettrica. Discussioni intense, durante le quali abbiamo anche analizzato e valutato la situazione economica e i suoi prevedibili sviluppi congiunturali.

Su questa base le Commissioni contrattuali regionali hanno presentato le loro richieste alla Presidenza della IG Metall, che le ha accolte e in base a esse ha formulato la piattaforma rivendicativa per il rinnovo annuale del contratto collettivo per i circa 3,4 milioni di lavoratori dell'industria metalmeccanica ed elettrica. In sintesi:
1. aumento salariale del 5 per cento per 12 mesi;
2. un accordo su qualificazione e innovazione;
3. un accordo sulle prestazioni finalizzate al rispermio dei lavoratori.

Per quanto riguarda l' "accordo salariale quadro II" (così è chiamato un accordo limitato al Baden-Württemberg, ndt), noi ne chiediamo la prosecuzione e/o l'estensione. Questo accordo, denunciato con unilaterale arbitrio dai datori di lavoro, assicura pause e diritti di codecisione per l'impiego del personale ai lavoratori delle catene di montaggio e cottimisti. Ma si badi bene: questo tema non riguarda solamente il Sud-Ovest, interessa bensì l'intera IG Metall. Perciò sia chiaro: non vi sarà una conclusione contrattuale con l'IG Metall senza questo accordo.
 
Le nostre rivendicazioni sono socialmente giuste, economicamente necessarie e utili per salvaguardare il futuro dei posti di lavoro e degli insediamenti produttivi. E sono finanziariamente sostenibili, in linea con le prestazioni e le capacità dell'industria metalmeccanica ed elettrica della Germania. Il ripetuto richiamo del Gesamtmetall (la Federmeccanica tedesca, ndt) alle aziende che vanno male è una sciocchezza. Ci sono sempre state aziende che vanno bene, altre che vanno meno bene e altre ancora che vanno male. Non è una novità e non può essere sempre tirata in ballo per giustificare il contenimento delle retribuzioni. D'altro canto disponiamo nel contratto degli strumenti sufficienti per tenere conto delle aziende in difficoltà. Qui parliamo della situazione generale, che è buona.
 
Una cosa vorrei ancora sottolineare: considerando il volume d'affari complessivo, i datori di lavoro non hanno mai speso così poco per salari e stipendi. La quota dei salari rappresenta oggi nell'industria metalmeccanica ed elettrica non più del 17,4 per cento. Solo un euro su sei del fatturato di un'impresa viene oggi speso per le retribuzioni. Dieci anni fa era uno su quattro.

Non è quindi soltanto ipocrita, ma anche miserabile che i datori di lavori anche in questa vertenza intonino il lamento sull'elevato costo del lavoro. Un aumento delle retribuzioni dell'ordine del 5% significa per le imprese un carico aggiuntivo di costi dello 0,88 per cento. E questo dovrebbe farle uscire di strada? L'irritazione dei datori di lavoro non è per me comprensibile. Vorrei perciò pregare di mantenere il senso delle proporzioni.
 
Certo, le retribuzioni in Ungheria o in Ucraina sono più basse, e lo sono ancor di più in Kazachistan e in Cina. Ma non è questo il tipo di concorrenza in cui possa entrare la Germania. Ho l'impressione che per gli imprenditori la globalizzazione significhi che gli stipendi dei manager debbano orientarsi a quelli degli USA, e i salari dei lavoratori a quelli della Cina.

La fissazione dei datori di lavoro sui salari non è di alcun aiuto. La salvaguardia del futuro è più complessa, e questo per l'IG Metall è chiaro da tempo. È il momento che anche i datori di loro abbiano un occhio alla molteplicità dei volani che in Germania possono creare lavoro. Dobbiamo battere altre strade.
 
Innanzitutto: l'economia tedesca deve liberarsi della spada di Damocle della dipendenza dalle esportazioni. Nessun altro paese come quella grande nazione economica che è l'Unione europea è in grado di portare stabilità nel proprio sviluppo congiunturale attraverso un forte potere d'acquisto nel proprio mercato interno. Non valorizzare questa chance significa affidarsi nei prossimi anni a una pericolosa dipendenza. Ed è ciò che dobbiamo contrastare. Le persone devono poter tornare a consumare, il potere d'acquisto deve essere rafforzato. A ciò la politica contrattuale della IG Metall intende portare un contributo.
 
In secondo luogo: l'economia tedesca reggerà nella globalizzazione se saprà produrre innovazioni. Su questo registriamo un enorme ritardo. Costretti a occuparci dei frequenti ricorsi alle clausole di Pforzheim(1), abbiamo dovuto constatare che la maggior parte dei problemi sorgono quando ci si è lasciati sfuggire o si sono ignorate le opportunità di innovazione. Le conseguenze poi le pagano i lavoratori con perdite di salario e peggiori condizioni di lavoro. È dunque giusto e ragionevole che ai consigli di azienda venga riconosciuto il diritto non solo di essere informati, ma di far valere proprie proposte sui progetti di innovazione.
 
In terzo luogo: potremo reggere alla concorrenza soltanto se qualificazione e riqualificazione delle nostre maestranze saranno realizzate con continuità e come cosa fuori discussione. Ma ciò oggi non avviene, né sotto il rispetto della continuità, né sotto quello della necessità indiscutibile. Rivendichiamo perciò che la qualificazione divenga un diritto fissato per contratto. Sarebbe un grande vantaggio tanto per le imprese quanto per i lavoratori. Su questo punto la IG Metall insisterà con forza.
 
I datori di lavoro sostengono che nel gran mare della globalizzazione tutti siamo nella stessa barca, padroni e i lavoratori. È vero, ma c'è una differenza: i lavoratori remano, ma non possono codecidere né la rotta né il ritmo. E al minimo muover di onde, sono i lavoratori a essere gettati a mare.

Non è per noi accettabile una simile divisione del lavoro, non tollerabile, e non da oggi, per una società democratica. Perciò la lotta che i lavoratori di AEG di Norimberga (2) hanno cominciato oggi è una lotta giusta. Qui si tratta di posti di lavoro che arbitrariamente vengono dati per persi. Di posti di lavoro che vengono distrutti. Lontano da qui, in una tavola rotonda di manager, si decide della sorte di persone. E senza necessità.

I datori di lavoro mettono avanti l'argomento dei costi. Questa società dovrà riflettere fino a quando sarà disposta ad avallarlo.

La lotta dei lavoratori di AEG è una lotta non solo per il posto di lavoro, ma anche per la propria dignità. A loro va il sostegno di tutta la IG Metall. E spero che ricevano anche il sostegno di tutti i cittadini tedeschi, perché essi si battono anche per loro.
Se si vuole combattere la disoccupazione, bisogna cambiare rotta. L'abbassamento dei salari reali non ha mai prodotto più occupazione. La teoria dei datori di lavoro si è dimostrata un vicolo cieco per milioni di persone. Faccio appello a loro perché si sentano responsabili, insieme a noi, per il futuro delle persone in questo paese. Essi non sono vittime di decisioni politiche sbagliate, di sindacalisti fissati o di un mercato alterato. Non sono oggetti del sistema economico, ma attori in esso.

Devono smetterla perciò di minacciare continuamente i lavoratori con la delocalizzazione dei posti di lavoro. Cioè con la sottrazione della base stessa della loro sopravvivenza. E lavorare, invece, insieme a noi alla ricerca di soluzioni urgenti e durevoli per restituire al lavoro un futuro in Germania. L'intenzione della IG Metall è di giungere a una conclusione della vertenza in tempi brevi, per creare rapidamente una base di previsione certa per le imprese e per i lavoratori. Siamo interessati alle soluzioni, non al conflitto. Ma nemmeno ci ritrarremo dal conflitto, se i datori di lavoro lo provocheranno. Mi auguro che anche loro vogliano una soluzione rapida.

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Note
1) Il 12 febbraio 2004, nella città di Pforzheim (non lontano da Stoccarda), la IG Metall e l'associazione degli industriali metalmeccanici del Baden-Württemberg firmavano il normale contratto di lavoro (aumenti salariali), al quale era annesso un accordo su regole comuni per affrontare i problemi da un lato della competitività, dall'altro della salvaguardia dell'occupazione, anche ricorrendo a deroghe rispetto al contratto di categoria.
2) Uno dei tanti casi di delocalizzazione per "eccesso" di costo del lavoro: in questa circostanza - tra l'altro - in parte verso l'Italia.
Lunedì, 6. Marzo 2006
 

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