Germania, il contratto nel nome di Verdi

Il nuovo sindacato tedesco del pubblico impiego 'ver.di' ha chiuso la sua prima trattativa importante
Non è uno scherzo: davvero c’entra Giuseppe Verdi con il contratto di recente siglato per il settore del pubblico impiego in Germania. C’entra con il nome del nuovo sindacato che organizza i lavoratori pubblici e che ora è il maggiore nella Repubblica Federale: "ver.di", scritto in rigoroso minuscolo: non è un vezzo di understatement, bensì un segnale di modernità in una lingua tradizionalmente appesantita dalle maiuscole.

Di per sé “ver.di” abbrevia il nome per esteso “Vereinte Dienstleistungsgewerkschaft”, che significa “Sindacato unificato dei servizi”. Nella home page del sito www.verdi.de leggiamo: “Il richiamo al celebre compositore italiano Giuseppe Verdi è voluto: il suo nome è legato alla lotta per l’unità del suo paese”.
 
C’è dunque un messaggio nella scelta di questo nome, avvenuta attraverso un concorso che ha coinvolto gli iscritti dei cinque sindacati confluiti nella nuova formazione. E il messaggio è l’affermazione di un ruolo nazionale e unificante (in uno Stato a struttura e tradizione federale!). Non a caso, nella vertenza contrattuale di cui diremo più avanti, una delle rivendicazioni fondamentali era l’unificazione dei trattamenti e delle condizioni tra i lavoratori della vecchia Germania Ovest e dei nuovi Länder dell’Est.
 
Un maxisindacato
Prima di fornire qualche informazione sul contratto, vale la pena spendere una parola sul processo di aggregazione approdato alla nascita di un soggetto organizzativo e negoziale di gigantesche proporzioni. Ora ver.di è il maggiore dei sindacati affiliati al DGB (Confederazione tedesca dei sindacati) con circa 2.800.000 iscritti (35,5% del totale DGB), togliendo il primato alla IG Metall (oltre 2.700.000 iscritti, 34,3%) (vedi la scheda I Sindacati del DGB).
 
In ver.di si sono fusi cinque sindacati: impiegati pubblici; poste; commercio, banche e assicurazioni; media; servizi pubblici e trasporti. Il progetto ha mosso i primi passi nell’autunno del 1998, per entrare in fasi operative sempre più stringenti nel 1999 e nel 2000. Nel 2001 si compiono gli atti definitivi: in marzo, dopo i congressi di scioglimento/fusione dei singoli sindacati, il congresso di fondazione del nuovo sindacato; il 2 luglio, l’iscrizione ufficiale nel registro delle associazioni. L’aggregazione è stata approvata nei congressi di scioglimento/fusione con maggioranze che vanno dall’80 al 91 per cento. La presidenza di ver.di a livello federale è composta da 17 persone. Il presidente, dal nome quasi impronunciabile, è Frank Bsirske, 50 anni, proveniente dal già potente sindacato dei servizi pubblici e dei trasporti (era il secondo, dopo la IG Metall); il numero due è la signora Margret Mönig-Raane, 53 anni, proveniente dal sindacato del commercio, banche e assicurazioni.
 
Secondo gli ultimi dati forniti dal DGB (fine 2001), ver.di conta 2.806.496 iscritti, dei quali 1.690.184 impiegati, 871.317 operai, 569.850 funzionari. Le donne sono 1.385.687, quasi la metà degli iscritti (nella IG Metall, per fare un confronto, sono solo 509.287). È una enorme massa d’urto, non solo per gli aspetti quantitativi ma per il ruolo che un’organizzazione di queste dimensioni intende giocare. Le ragioni della scelta aggregativa si possono desumere dalla sintetica autopresentazione che leggiamo nel sito di ver.di:
"La sfida. La società e l’economia sono attraversate da profondi cambiamenti. Nella moderna società dei servizi i confini tra i settori sono diventati fluttuanti. Le imprese modificano le loro strutture. Cambiano contenuti e forme del lavoro. Diritti acquisiti dei lavoratori vengono posti in discussione. Oggi più che mai i lavoratori hanno bisogno, per essere sostenuti e tutelati, di un forte sindacato”. E questa è la risposta alla sfida: “L’unità rende forti: i sindacati dell’area dei servizi, dei media, della cultura e della formazione mettono insieme le loro forze. Si unificano esperienze e competenze. Si trovano nuove risposte al cambiamento sociale”. E ancora: “Nessun’altra organizzazione possiede un kow-how e un sapere specialistico così ampi su professioni e settori nell’area dei servizi. Ciò consente un’assistenza complessiva per gli iscritti nelle questioni professionali. (…). Come forza riformatrice ver.di si batterà con flessibilità e fantasia per gli interessi dei suoi iscritti. Essa è autonoma da partiti e governi; si batte per la giustizia sociale, l’uguaglianza e la democrazia”.
 
La scommessa è ardua, soprattutto se si guarda alla impressionante varietà dei settori e sottosettori di attività che ver.di abbraccia: dai servizi finanziari alle molteplici istituzioni e strutture previdenziali, assistenziali e sanitarie; dall’universo dei media alla fornitura di energia; dalle amministrazioni a tutti i livelli – federale, dei Länder, comunali – ai trasporti… fino ai dipendenti delle chiese! Una scommessa ardua, ma obbligata: non solo per aggregare in funzione di un maggiore potere negoziale, ma anche, anzi in primo luogo per mettere il sindacato al passo del cambiamento, in una prospettiva unificante e contrastante le spinte disgreganti.
 
Il nuovo contratto
Il contratto in scadenza a fine ottobre 2002 è stato il primo severo banco di prova. Anche perché è caduto in un momento infelice della Repubblica Federale, in gravi difficoltà economiche a tutti i livelli e per di più messa sotto processo dalla Commissione europea per eccesso di deficit. A rendere più drammatico il quadro sono piovuti, proprio nel momento cruciale della vertenza, i dati dell’Ufficio federale del lavoro, che ha denunciato un aumento della disoccupazione fino a superare il 10% con circa 4.200.000 disoccupati. Lo spauracchio dello sciopero, in mancanza di un accordo, ha evocato il fantasma del 1992, quando una massiccia agitazione del pubblico impiego mise in ginocchio la Germania. Una simile eventualità, nella situazione attuale, secondo molti economisti avrebbe spinto il paese verso la recessione.
È in questa situazione, non proprio favorevole a un sereno negoziato, che le parti hanno scelto di accordarsi. I punti di partenza erano assai distanti. Il sindacato puntava soprattutto su due obiettivi: un aumento sopra il 3% (slogan: “non meno di 3 prima della virgola”), con vigenza contrattuale di 12 mesi; l’equiparazione dei trattamenti tra Ovest ed Est almeno entro il 2007. A sostegno delle proprie richieste, ver.di adduceva due ragioni: gli aumenti retributivi nel proprio settore sono rimasti indietro rispetto al loro andamento nel complesso dell’economia; l’equiparazione Ovest-Est, in diversi altri settori è già stata raggiunta mentre nel pubblico impiego i trattamenti all’Est restano ancora al 90% di quelli all’Ovest.
 
L’offerta della controparte, resa nota in dicembre, era piuttosto distante: 0,9% di aumento dal 1° gennaio 2003, un altro 1,2% dal 1° ottobre 2003 all’Ovest e dal 1° gennaio 2004 all’Est; scadenza non prima del giugno 2004. L’equiparazione Ovest-Est doveva essere legata all’introduzione di un contributo aggiuntivo dei lavoratori per la sicurezza sociale in ragione dello 0,2% per ogni punto sopra il 90%, nella marcia di avvicinamento all’equiparazione al 100%. Si chiedevano inoltre “sacrifici” sul tempo di lavoro, elevando la settimana lavorativa a 39 ore all’Ovest, mentre all’Est doveva essere cancellata una giornata libera. Ancora, i datori di lavoro pubblici chiedevano una riforma del diritto contrattuale nel settore pubblico prima della fine del 2004.
Di fronte a queste richieste, era inevitabile il ricorso al procedimento di conciliazione, avviato a Brema alla fine di dicembre 2002. Se questa fosse fallita – e la cosa sembrava probabile data la rigidità dei due fronti – sarebbe stato sciopero a oltranza. Tuttavia, all’alba del 10 gennaio 2003 le parti annunciavano che un accordo era stato raggiunto.
 
L’accordo prevede: aumento del 2,4% dal 1° gennaio 2003 per le fasce retributive medie e basse, dal 1° aprile 2003 per le fasce superiori; per tutte le fasce retributive un ulteriore aumento dell’1% dal 1° gennaio 2004 e un altro ancora, sempre dell’1%, dal 1° maggio 2004. In più, per i mesi di novembre e dicembre 2002, una “una tantum” pari al 7,5% (massimo 185 euro all’Ovest e 166,50 all’Est). Un’altra “una tantum” di 50 euro all’Ovest e di 46,25 all’Est verrà corrisposta nel novembre 2004. Ma il periodo di vigenza viene notevolmente allungato: 27 mesi, fino a fine gennaio 2005. Inoltre i lavoratori devono rinunciare a un giorno libero; gli scatti di anzianità vengono dimezzati per un anno; la corresponsione degli stipendi slitterà dal 15 all’ultimo giorno del mese. Infine, si dovrà pervenire a una riforma del diritto contrattuale nel settore entro il 2005.
 
L’equiparazione dei trattamenti Ovest-Est ci sarà, ma in due tappe: per le retribuzioni degli operai e degli impiegati di fascia media e bassa entro il 2007; per gli altri entro il 2009. L’attuale 90% all’Est salirà al 91% da gennaio 2003, al 92,5% a gennaio 2004; ulteriori passi in avanti dovranno essere negoziati. In compenso gli occupati dell’Est dovranno versare per la previdenza aziendale uno 0,2% della paga base per ogni punto percentuale “guadagnato” nella salita verso il 100%.
 
Va ricordato che questo accordo vale per operai e impiegati del settore pubblico, ma non si applica automaticamente alla categoria dei funzionari; per questo è necessario che Bundestag (Parlamento) e Bundesrat (Camera dei Länder) approvino una apposita legge. È comunque tradizione che i risultati contrattuali vengano applicati anche ai funzionari. In questo senso, ver.di ha esortato il governo a presentare subito un disegno di legge in proposito, perché l’esito contrattuale possa applicarsi, “uguale nei contenuti e nelle decorrenze”, ai funzionari. Tanto più che, come ha dichiarato Christian Zahn, della presidenza di ver.di, “abbiamo sempre coinvolto i funzionarti nelle trattative”.
L’accordo è stato approvato a larghissima maggioranza sia dalla delegazione alle trattative che dalla commissione negoziale federale: dei 25 componenti la prima, 22 hanno detto sì, due no, uno si è astenuto; dei 129 della seconda, 106 hanno detto sì, 18 no, 5 si sono astenuti. Non è certo il caso di fare le bucce a un accordo raggiunto in circostanze così difficili per vedere in che misura quel 4,4% (2,4+1+1) di aumento a regime (fine gennaio 2005) soddisfa l’impegno di non scendere sotto il 3% calcolato su 12 mesi, anziché su 27. Alla situazione di difficoltà dell’economia tedesca abbiamo già accennato, e andrebbe aggiunto che le casse dei vari segmenti della pubblica amministrazione piangono sempre più miseria.
 
C’è un altro dato di cui tenere conto per valutare appieno l’accordo: secondo le ultime rilevazioni, l’inflazione è attestata attorno all’1,3%, il livello più basso dal 1999 in qua. Il che restringe parecchio i margini del gioco contrattuale. Comunque, se l’inflazione resterà a questo livello nel periodo di vigenza del contratto, cioè fino a gennaio 2005, i lavoratori rappresentati da ver.di non solo avranno tutelato il loro potere di acquisto, ma lo avranno anche incrementato, sia pure in misura modesta. Sembra dunque che alla prima, difficile prova ver.di non abbia “suonato” male, facendo onore al nome che si è dato.
Giovedì, 16. Gennaio 2003
 

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