Gas, l'Europa in mezzo a un gioco di potere

Una crisi che qualcuno ha ispirato e preparato, quella tra Russia e Ucraina. Che però prova ancora una volta l'impossibilità europea di attuare una vera politica dell'energia se continua a muoversi in ordine sparso

Se non fosse per i paesi dell’Est Europeo che stanno al freddo – e che freddo! - ci sarebbe da ridere guardando un gioco irresponsabile di potere fra due paesi dell’ex URSS, alla fine di rapporti complessi e, per non dire di peggio, opachi. Siamo di fronte ad un ennesimo strascico della fratturazione dell’URSS, che ha creato problemi politici egregiamente risolti dalla Unione Europea, ma anche problemi economici, che l’Europa non sembra avere gli strumenti e l’autorità per risolvere. Un gioco fra un piccolo paese che si è staccato dall’impero, ma non per questo ha raggiunto livelli di trasparenza negli affari che a noi sembrano normali.

Chiaramente ispirato e preparato da qualcuno (prova ne sia il fatto che il piccolo paese ha riserve di gas che lo possono portare fino a primavera) esso si è impuntato per ottenere di pagare il gas meno del prezzo internazionale oppure per compensare il prezzo alto con un forte aumento dei redditi derivanti dal passaggio del tubo attraverso il suo territorio e, non avendo avuto soddisfazione, ha bloccato il più grande sistema di trasporto del gas russo esistente verso l’Europa. Dal canto suo, il grande paese, venditore di gas a tutta Europa, invece di dare al fenomeno il peso che si meritava, quello di un problema commerciale risolvibile a livello commerciale, ne ha fatto un grande problema politico, ed ha interrotto le forniture con un annuncio politico al massimo livello, con l’effetto di dar ragione a tutti quelli che ormai da anni predicano l’inaffidabilita della Russia.

Che i rapporti fra quei due paesi siano poco trasparenti non c’è dubbio. Il grande paese vende il gas al piccolo attraverso una società controllata a metà dalla sua stessa societa del gas, e per l’altra metà da due cittadini privati del piccolo paese, che fino a poco tempo fa controllavano il mercato del gas per uso industriale. C’è poco da stupirsi se i dati reali della storia sono difficili da trovare e da comprendere. L’Europa è rimasta presa in mezzo in questa controversia, che è ormai diventata un grosso problema di politica estera.

La posizione politica europea è in realta piuttosto difficile. Il suo principale alleato, gli Stati Uniti, ha fatto una politica volta ad irritare il venditore di gas all’Europa, ricorrendo a progetti missilistici, iniziative Nato ed ad un tentativo esplicito di muovere contro la Russia i suoi paesi limitrofi, ove, fra l’altro, vivono milioni di russi. La Russia ha visto quest’azione con irritazione crescente, fino a muovere i carri armati ed a spazzare in due giorni l’esercito della Georgia, prendendosi la nomea di quello che non può fare a meno di andare allo scontro armato. Nel frattempo, l’Europa, occupata ad assorbire nell’Unione una buona parte dei paesi ex URSS, ha identificato da tempo l’aspetto pericoloso della sua dipendenza dalla Russia, ma non è riuscita a far nulla per porvi rimedio. Ha lanciato un progetto di gasdotto per portare verso i suoi mercati gas non russo, ma il famoso Nabucco non sarà pronto per molti anni ancora, ammesso che sia di fatto costruito, data la crisi finanziaria e la scarsità di gas oggi ancora "libero" all’origine. L’Europa, o, almeno, alcuni paesi europei, ha poi accolto con fastidio il progetto russo di liberarla dal legame con l’Ucraina attraverso un grande tubo sotto il mare da San Pietroburgo a Emden, in Germania. Si sono sollevate proteste da paesi dell’est europeo, membri dell’Ue, che sperano di lucrare sul passaggio nel loro territorio di gasdotti verso sud ovest, e di paesi, in parte gli stessi, che hanno una definita politica antirussa.

I nuovi progetti potrebbero portare 50 miliardi di metri cubi a completamento del tubo sottomarino, ed altri ne dovrebbe portare il South Stream. Il primo, oggi partecipato da Olanda e Germania (ma non dagli italiani, che pure erano stati interessati dai russi a suo tempo) richiede investimenti massicci, che il progetto prevede provengano dalla finanza mondiale, attualmente in completo disordine. I maggiori paesi europei hanno stoccaggi di gas rilevanti e guardano al problema con una certa tranquillità, ma molti, i più piccoli, e piu’ poveri, non li hanno, e già soffrono terribilmente il freddo.

A parte qualche utile, ma non sufficiente, iniziativa di importazione via mare di gas naturale liquefatto, non si sono realizzate iniziative rilevanti per aumentare la sicurezza degli approvvigionamenti europei di gas: sono mancati i soldi, ma soprattutto è mancata la politica, è mancato, per dirla in breve, un governo europeo, che non c’è, e che la maggior parte delle forze politiche del continente non vuole perché l’interesse generale dell’Europa non fa aggio su quello dei singoli paesi, o persino di singoli interessi al loro interno. Ciò facendo, abbiamo lasciato l’Ucraina a controllare 130 miliardi di metri cubi di metano diretti verso l’Europa; altri 30 passano per la Bielorussia, e 16 dal Blue Stream.

Di fronte al blocco, la Commissione Europea ha preso delle iniziative utili, ma la resistenza dei due paesi, e, soprattutto, del piu’ piccolo, fa sì che il problema sembri ogni giorno risolto per riproporsi uguale a prima il giorno seguente. L’Ucraina fa la voce grossa, e la Russia, che vede le sue entrate petrolifere ridursi, ed i fabbisogni finanziari della Gazprom aumentare per la crisi finanziaria mondiale, non riesce ad uscirne. L’intervento delle imprese europee, condotte dall’ENI (che vanta ottimi rapporti con la Russia dal 1930, e che li ha consolidati di recente) avrà forse la capacità di riportare il problema alla sua natura commerciale. Pare che esistano dei costi per riprendere l’attivita che nessuno dei due vuole pagare, e le imprese europee, che sono perfettamente credibili, potranno in qualche modo anticiparli, a futuro rimborso e realizzare la riapertura definitiva dell’intero sistema.

Cosa si può dire di tutta questa storia? In primo luogo che è buona politica intrattenere rapporti tranquilli e cordiali con il venditore, perchè vendere e comprare grandi quantita di gas, o, se per quello, anche di greggio, è tutt’altro che un’operazione semplice. In secondo luogo, che la Russia fa parte della grande area economica europea, che ha da un lato una grande struttura industriale e manifatturiera, e, dall’altro, una grande capacità di produrre materie prime e, soprattutto, fonti di energia. Non bisogna lasciare che giocatori minori, che possono avere dei sogni di gloria, o delle cose da nascondere, mettano a rischio i rapporti fra le due aree, e non bisogna sottolineare ad ogni pie' sospinto le proprie preoccupazioni sull’affidabilita del venditore. Se tali preoccupazioni vi sono, e sembrano giustificate, allora bisogna agire. Ma per agire ci vuole un attore che possa impersonare tutta l’Europa, e che abbia la capacità politica e tecnica di farlo in modo credibile.

Su questa storia di dispetti reciproci fra due paesi, noi europei stiamo pagando non tanto la poca affidabilità del venditore, quanto la mancanza di un programma di sicurezza delle importazioni, che deve essere preparato e messo in atto da una struttura europea. Fino a che questa non ci sarà, l’Europa sarà esposta a tutte le difficoltà, perché non sarà in grado di attuare una politica delle infrastrutture, e non avrà mai l’autorevolezza per trattare dal centro per tutti gli europei: prova ne siano i vari tentativi, comprensibili, ma, temo, del tutto inutili, di singoli paesi dell’Est europeo di parlare direttamente con la Russia al di la ed al di sopra dell’intervento europeo.

Domenica, 18. Gennaio 2009
 

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