Francia, le 'primarie' della destra sulla pelle dei giovani

Intervista a Marcelle Padovani, corrispondente del "Nouvel Observateur": "La linea dura di Sarkozy punta a conquistare il voto dell'estrema destra in vista delle presidenziali. La rivolta conseguenza della non-politica di Chirac"

Marcelle Padovani è da molti anni corrispondente dall'Italia del Nouvel Observateur. EL le ha rivolto alcune domande sulla rivolta francese.

La reazione alle rivolte delle banlieues prima ha trovato impreparato il governo (il presidente Jacques Chirac è rimasto a lungo silenzioso); poi ha fatto registrare prese di posizione sprezzanti da parte del ministro degli interni, Nicolas Sarkozy; infine, le leggi di emergenza del tempo della guerra in Algeria prorogate per tre mesi. E' una rincorsa a "Legge e ordine" per guadagnare consensi in vista della campagna presidenziale?


"Non dimentichiamoci prima di tutto che Sarkozy ha parlato di racaille, feccia, a proposito dei giovani delle banlieues, 24 ore prima che succedesse l'evento scatenante della rivolta: la fulminazione di due adolescenti in una cabina elettrica, per sfuggire all'inseguimento delle polizia. Non dimentichiamoci anche le responsabilità più lontane dello stesso Sarkozy, che nel 2002 sopprime la polizia di prossimità, le policier de quartier , istituita dall'ex primo ministro socialista Lionel Jospin, il quale era a conoscenza, come parecchi esperti e assitenti sociali, delle immani difficoltà del rapporto fra la gente comune e l'amministrazione francese. Non dimentichiamo neanche che sempre Sarkozy ha soppresso l'anno scorso praticamente tutte le sovvenzioni alle associazioni di quartiere che nelle banlieues facevano da mediatrici fra popolazione e Stato.

Le responsabilità sono dunque chiare. Com'è chiaro il fallimento della politica, o non politica, di Chirac, presidente della Repubblica che nel 1995, nel corso delle sua prima campagna elettorale, parlava di "ridurre la frattura sociale". Facendo capire che era perfettamente al corrente di quanto si preparasse nelle periferie delle grandi città. Lui, in dieci anni, non ha fatto niente per ridurre la frattura sociale, l'emergere di "due Francia", di due categorie di cittadini.

Adesso, in previsione dell'elezione presidenziale del 2007, dato che verosimilmente Chirac non si ripresenterà, la concorrenza all'interno della destra è forte sul nome del prossimo candidato. Sarà Sarkozy, ministro della "tolleranza zero", della racaille e del karcher, il gettito d'acqua calda che ha minacciato di usare contro i casseurs? O sarà Dominique de Villepin, primo ministro di una destra presentabile, un gollista che fu capace di sfidare intelligentemente e brillantemente gli Stati Uniti nella famosa seduta dell'ONU sulle armi di distruzione di massa in Iraq?

In un certo senso, quello che sta succedendo nelle periferie potrebbe essere paragonato a delle primarie del centro destra. Se vince la dura repressione, il sangue, la chiusura, sarà Sarkozy a difendere i colori della destra nel 2007. Se vince il dialogo, l'ascolto, il risanamento progressivo delle banlieues, sarà invece de Villepin. Il calcolo di Sarkozy è di mordere sull'elettorato razzista di Jean-Marie Le Pen, che ottenne il 17% al primo turno delle presidenziali del 2002, e di spostare la destra verso l'estrema destra. Impersonando la legge e l'ordine, spera di essere lui l'uomo forte della Francia.
E' questo un calcolo miserabile sulla pelle dei giovani che lui disprezza ed incita alla violenza pur di poter essere quello che sa reprimere. Se vince Sarkozy, un periodo di nero populismo demagogico si abatterà sulla Francia".

Nel mondo anglosassone si considera errato il modello, tipicamente francese, della assimilazione degli immigrati tramite l'attribuzione della "cittadinanza", mentre in Gran Bretagna e negli Stati Uniti c'è un esplicito riconoscimento delle diversità nazionali, etniche e confessionali. Che giudizio si può dare delle diverse politiche d'integrazione?


"La politica di assimilazione è una politica generosa, nobile e democratica, purchè sia condotta fino in fondo. Purchè dunque non ci si accontenti dell'apparenza dell'assimilazione (e cioè del passaporto francese e dei diritti teorici ), ma ci si impegni ad annulare le differenze sociali che impediscono l'esercizio dell'uguaglianza. Cosa che non è stata fatta in Francia. Se si pensa per esempio che la legge Gayssot del 2000 imponeva ai sindaci delle periferie di costruire il 20% di alloggi popolari sull'insieme delle nuove costruzioni... Ebbene, questa legge è stata aggirata: il sindaco di destra di Raincy, con molti altri, si è accontentato di costruire il 5% di case popolari preferendo pagare una multa (180.000 euro). Se lo Stato francese vuole conquistarsi credibilità con le giovani generazioni venute dall'immigrazione, deve prima di tutto rispettare e far rispettare le leggi che esso stesso ha voluto.

Detto questo, e visto che l'assimilazione non ha funzionato bene, una dose di "communautarisme" all'inglese non sarebbe inopportuna almeno per un periodo di transizione. Se ne vedono le premesse nell'atteggiamento degli imam della periferia che hanno chiamato i giovani a fermare le violenze e a discutere con lo Stato. E' la prima volta che si compie in Francia un gesto di mediazione "etnica" a nome di una comunità che non si sente difesa dallo Stato".

La rivolta giovanile delle banlieues ha messo in luce sia problemi di identità che di carattere sociale. Come si articola la questione sociale in relazione agli immigrati? in che senso si deve parlare di fattori di discriminazione?

"La discriminazione comincia all'uscita della scuola, "républicaine" e uguale per tutti: quando un giovane chiamato Mohamed o Fouad vede che il curriculum presentato in una fabbrica o una società di servizi non viene neanche letto perché appunto il titolare si chiama Mohamed o Fouad…

Il segretario generale della CGT (il più importante sindacato francese, vicino ai socialisti, n.d.r.), Bernard Thibaut, si spinge fino a sostenere in un'intervista a Le Monde che non c'è nessun problema etnico, politico o religioso, ma soltanto un problema sociale nelle banlieues in fiamme".

Conoscendo sia la realtà italiana che quella francese, quali similitudini e quali differenze si possono stabilire?

"Se il problema è prevalentemente sociale e di sbocco lavorativo, allora anche le banlieues  italiane potrebbero conoscere dei fenomeni analoghi a quelli francesi.
Ma io credo che il peso della storia e soprattutto della colonizzazione rimangano determinanti nella rivolta di oggi. Sentivo l'altra sera in TV un giovane figlio di senegalesi che si chiedeva: "Ma come mai sui libri di storia francesi la colonizzazione del Senegal è liquidata in tre righe?". E ho constatato che il giovane pestato dai poliziotti a Clichy (gli autori sono stati sanzionati) è figlio di algerini che furono pestati nel novembre 1961, nel corso della famosa manifestazione repressa dal prefetto Maurice Papon, in cui morirono gettati nella Senna dalla polizia non meno di 200 algerini.

La rivolta delle banlieues costringe i Francesi a fare finalmente i conti con la colonizzazione e con i misfatti che essa ha comportato.

Venerdì, 18. Novembre 2005
 

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