Fondi pensione, basta qualche aggiustamento

Si può approfittare del fatto che alcuni cambiamenti della normativa sono resi necessari dal recepimento di direttive europee per attuare alcune modifiche sia per quanto riguarda gli investimenti che il rapporto fra la previdenza complementare e le piccole imprese

In considerazione delle peculiarità del risparmio previdenziale e della sua finalità sociale, il  quadro legislativo della previdenza complementare è orientato al contenimento dei rischi, anche di controparte, attraverso una disciplina che stabilisce numerosi limiti quantitativi agli investimenti dei Fondi pensione nelle diverse classi di attività, e che prevede l’obbligo di contenere gli scostamenti di risultato (tracking error), rispetto agli indici predefiniti (benchmark). Il combinato disposto di queste restrizioni porta i Fondi pensione ad attuare un efficace processo di diversificazione internazionale e di frazionamento degli investimenti in titoli quotati nei diversi mercati finanziari.

 

Non a caso, nel 2007, nonostante la congiuntura negativa dei mercati finanziari, i Fondi pensione negoziali hanno realizzato un rendimento medio aggregato pari al 2.1%, a fronte del negativo risultato ottenuto dai Fondi pensione aperti (- 0.4%).

 

Nei primi mesi del 2008, le rilevazioni COVIP confermano un risultato medio generale negativo dei Fondi pensione negoziali pari a –6.7%, considerando anche le linee di investimento azionarie (le linee obbligazionarie e quelle garantite hanno registrato, invece un risultato positivo). Molto peggio hanno fatto, sempre nei primi 10 mesi del 2008, i Fondi pensione aperti, con un risultato negativo pari a –12% e i PIP assicurativi, che in media hanno registrato un risultato negativo pari a -21,4%. La rivalutazione del TFR, al netto dell’imposta sostitutiva, nello stesso periodo è stata, invece, pari al 2.8%.

 

Risultati, quindi, non positivi ma che se, comparati ad altre forme di gestione collettiva del risparmio, confermano una maggiore capacità dei Fondi pensione di origine contrattuale di contrastare l’andamento critico dei mercati finanziari (ricordiamo che quella che ha colpito nel 2008 i mercati finanziari è la più grave crisi finanziaria incorsa dal 1929).

 

In ogni caso, le caratteristiche dell’investimento previdenziale sconsigliano di valutare qualunque risultato nel breve periodo, e raccomandano scelte e valutazioni che guardano necessariamente ad orizzonti temporali di più lunga durata. Nel periodo 2003 – 2007 il rendimento medio generale cumulato dei Fondi pensione negoziali, al netto dell’imposta sostitutiva, è stato pari a +25%, con uno scarto positivo di oltre 10 punti percentuali rispetto alla rivalutazione netta del TFR nello stesso periodo (e senza considerare il vantaggio ulteriore dei contributi a carico del datore di lavoro). 

 

Da questi dati, tuttavia, non emergono completamente le potenzialità della previdenza complementare di natura negoziale che, attraverso il contributo del datore di lavoro previsto dalla contrattazione collettiva, sono in grado di ammortizzare e contrastare, almeno sulle linee di investimento più prudenti (obbligazionarie) o bilanciate (con una modesta composizione azionaria), le perdite dei mercati finanziari.

 

Queste considerazioni non sminuiscono la necessità di intervenire per rafforzare il sistema di tutele per gli aderenti alla previdenza complementare. Sul versante delle regole del gioco, infatti, qualcosa va registrato. L’opportunità è offerta dal processo di revisione del decreto 703/96, la norma che disciplina attualmente gli investimenti dei Fondi pensione che dovrà essere rivista alla luce delle modificazioni intervenute nella normativa europea e nazionale.

 

Si tratta, in particolare, di prevedere strutture e procedure organizzative e tecniche per l’analisi e il controllo dei rischio più efficaci rispetto a quelle attuali, da articolare in relazione alle caratteristiche e alle dimensioni dei Fondi pensione, mantenendo e rafforzando lo strumento del benchmark, che ha  svolto bene il suo compito nella fase di implementazione e decollo del sistema.

 

E’ ormai un luogo comune, sostenere che l’equilibrio dei sistemi pensionistici nelle società moderne debba tenere conto di tre variabili fondamentali: la sostenibilità finanziaria, relativa alla possibilità di mantenere fede alle promesse pensionistiche fatte precedentemente; la sostenibilità sociale, riguardante aspetti legati all’adeguatezza delle prestazioni pensionistiche e la sostenibilità economica, che richiede di minimizzare l’impatto distorsivo degli oneri e delle prestazioni del sistema pensionistico sulla domanda e sull’offerta nel mercato del lavoro.

 

Per contemperare questa pluralità di obiettivi, dalle aspettative dei lavoratori di mantenimento di un livello adeguato di benessere anche dopo la conclusione dell’attività lavorativa, all’esigenza di una riduzione del costo del lavoro per sostenere la competitività delle imprese, alla coesione sociale e ad una più equa distribuzione intra ed inter–generazionale della ricchezza prodotta, l’architettura del sistema pensionistico è stata completamente rivisitata negli anni ’90. Al tradizionale sistema previdenziale pubblico obbligatorio - basato sul meccanismo tecnico – finanziario della ripartizione - il legislatore italiano ha affiancato un sistema di previdenza complementare (e non integrativo come quello previgente al 1993) basato sul meccanismo tecnico – finanziario della capitalizzazione, allo scopo di differenziare e ripartire meglio i rischi tipici di entrambi i sistemi

 

Sia nel caso della ripartizione che in quello della capitalizzazione l’organizzazione di un sistema pensionistico richiede di stabilire le regole del gioco che consentano di assegnare alle generazioni presenti diritti ed aspettative su parte della ricchezza che sarà prodotta nel futuro.

 

Un sistema a ripartizione è più vulnerabile di fronte ai rischi politici di cambiamento “in corsa” delle regole del gioco, derivanti da comportamenti di “azzardo morale” della classe politica, sensibile al consenso elettorale. Un sistema a capitalizzazione, d’altro canto, subisce il rischio finanziario derivante dalla volatilità dei rendimenti ottenuti con l’investimento nei mercati finanziari. I vantaggi di un sistema a capitalizzazione risiedono dunque nella capacità di scaricare i rischi di shock demografici sui mercati finanziari, attraverso la diversificazione internazionale degli investimenti operati dai Fondi pensione, e di sollecitare un incremento del saggio nazionale di risparmio, influenzando il processo di accumulazione del capitale. 

 

Ovviamente, il buon funzionamento e il successo della previdenza complementare, considerata la sua finalità sociale, deve interessare il legislatore, che è chiamato a disciplinare e regolare il funzionamento del mercato dei capitali (nelle sue tre componenti, ovvero il mercato finanziario, il mercato creditizio e il mercato assicurativo), favorendo la funzione creditizia e finanziaria come strumento di sviluppo essenziale nel processo di crescita dell’economia.

 

In uno scenario di forte attenzione sul tema, accanto all’esigenza di tutelare la sicurezza del risparmio di natura previdenziale, riprende la discussione sull’implementazione e lo sviluppo del sistema della previdenza complementare. Tre, a mio avviso, sono le questioni più urgenti.

 

La prima, riguarda il limitato risultato, in termini di adesione ai Fondi pensione,  prevedibilmente con le attese, ottenuto nella piccola impresa laddove al modesto dato delle iscrizioni alla previdenza complementare hanno concorso più fattori: una minore capacità di penetrazione informativa; una maggiore riluttanza dei datori di lavoro a privarsi del TFR, che si è tradotta in una più forte azione dissuasiva nei confronti delle scelte di adesione dei lavoratori alla previdenza complementare; un contesto economico meno favorevole (basso dato medio retributivo pro capite per addetto ed elevata turnazione e mobilità del lavoro) e con una maggiore avversione alla privazione della liquidità.

 

La campagna informativa istituzionale si è mossa più sul piano della comunicazione spicciola che della divulgazione e della formazione, con il risultato che, laddove sono mancati sistemi strutturati ed efficaci di dialogo con i lavoratori, questi non hanno potuto compiere scelte consapevoli, rinviandole al futuro.

 

Il TFR rappresenta per le imprese italiane una fonte di autofinanziamento a basso costo che continua a permanere nel caso di aziende con meno di 15 addetti, laddove non sussiste l’obbligo di conferire il TFR non destinato alla previdenza complementare al Fondo di Tesoreria gestito dall’INPS.

 

Pertanto, nell’attuale situazione, vi è la necessità di proporre uno strumento efficace che agevoli l’accesso al credito sostitutivo del TFR per le PMI, trovando un equilibrio sulla ripartizione del rischio fra lo Stato, il sistema bancario e il sistema delle imprese.

 

La seconda questione riguarda il tema degli investimenti dei Fondi pensione italiani. La turbolenza registratasi nei mercati  finanziari, e la ricorrenza delle crisi finanziarie negli ultimi anni ha riproposto il tema delle tutele patrimoniali per i lavoratori, soprattutto per coloro che non possono contare su un orizzonte temporale di investimento particolarmente lungo.

 

Ma spinge anche a nuove considerazioni in ordine all’implementazione di politiche di investimento idonee a salvaguardare il risparmio previdenziale dei lavoratori in un orizzonte temporale di medio – lunga durata, considerando le caratteristiche anagrafiche, reddituali e il differente livello di propensione al rischio degli aderenti.

 

Dei quasi 60 miliardi di euro complessivamente gestiti dalle forme pensionistiche complementari solo una percentuale di poco superiore al 2% risulta investita in titoli rappresentativi del capitale di rischio delle imprese italiane. Anche il peso della componente obbligazionaria delle imprese italiane è scarsamente consistente negli asset dei Fondi pensione italiani. Nell’indice Merryl Lynch, rappresentativo delle obbligazioni emesse dalle imprese, essa rappresenta circa il 5.50% del totale.

 

Una strategia di maggiore attenzione nell’attività di investimento dei Fondi pensione, alle imprese italiane e allo sviluppo delle PMI, pure nell’ambito di una più generale strategia di diversificazione internazionale degli investimenti, appare coerente con la necessità di intercettare una parte consistente del flusso annuo di TFR conferito alla previdenza complementare (attualmente, circa 1.6 miliardi di euro, a fronte degli oltre 15 miliardi di euro di valore del TFR maturando annuo), determinando così una positiva ricaduta sulla capitalizzazione delle imprese italiane.

 

Infine, la terza questione che riguarda il modo nel quale i Fondi pensione investono e richiama il tema della responsabilità sociale e della finanza etica.

 

Con il consolidamento della previdenza complementare, infatti, oltre all'analisi sui livelli e sulla qualità delle prestazioni erogate dai Fondi pensione, riprende corpo anche la discussione sul ruolo dei Fondi pensione nel processo di accumulazione capitalistica e nello sviluppo di una democrazia economica avanzata. Dall’evoluzione della cultura della responsabilità sociale e della finanza etica può derivare nuova linfa anche per il capitalismo italiano per cui l’investimento nella qualità, nella ricerca, e nella sicurezza rappresentano leve competitive fondamentali per competere nello spazio globale.

 

(Angelo Marinelli è Coordinatore del Dipartimento democrazia economica,

economia sociale, fisco e previdenza della Cisl)

Martedì, 27. Gennaio 2009
 

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