Fiat, quando i difetti erano 'strategici'

Negli anni '70 la bassa qualità fu voluta per accelerare il ricambio: un'idea disastrosa. Oggi si cambia auto in media un anno più tardi, dunque se ne vende mezzo milione l'anno in meno. E la crisi cambierà le abitudini di consumo anche per gli altri prodotti: per questo bisogna analizzarla con parametri nuovi

Uno dei problemi, forse il più drammatico, del mercato dell'auto è il cambiamento di abitudini della clientela. E questo tocca sia il mercato americano, sia, in misura maggiore, il nostro. Il cambiamento delle abitudini è determinato da fattori sistemici: negli ultimi venti anni il livello di qualità del prodotto si è alzato al punto da non renderne più necessaria la sostituzione se non in tempi medio - lunghi.

 

In Italia, grazie alle politiche di qualità della "vecchia" Fiat, la prima sostituzione avveniva intorno al terzo anno di età, quando la macchina aveva percorso meno di 60.000 Km. E si diceva che dopo questa percorrenza ne sarebbero usciti i difetti, il costo della manutenzione avrebbe consigliato l'acquisto di una vettura nuova. Questo era voluto dalla casa torinese, che nel 1976 in un incontro con l'organizzazione commerciale aveva dichiarato: "Il restyling della 132 è giustificato dalla scarsa rotazione dei ricambi"; in poche parole "la qualità deve essere abbassata per consentire nuovi profitti". E contemporaneamente si assisteva all'abbassamento della qualità delle Lancia, alla perdita di clientela (anche USA) delle Alfa e alla catastrofica esperienza della "piccola Alfa" prodotta a Pomigliano. Una debacle che fece precipitare le quote di mercato della produzione nazionale, perdere interi mercati esteri (Regno Unito, Germania, USA, ecc.) e favorì nel mercato italiano francesi e tedeschi. Questo successo straniero fu giustificato con l'esterofilia degli italiani. In realtà non si voleva prendere atto del fatto che all'estero la prima sostituzione avveniva in tempi molto più lunghi che in Italia in quanto la qualità consentiva di tenere l'auto oltre i 100.000 km.

 

Nuova trovata: "Noi facciamo le macchine belle, i tedeschi affidabili". Per poi scoprire che il successo delle vetture estere era dovuto all'affidabilità meccanica (tedesca, francese) ed al design italiano (Giugaro & C.).

 

Si credette che fosse questione di prezzo: all'inizio degli anni novanta il maggior fornitore di componentistica delle case europee propose a Lancia di portare la qualità della Tema a livello BMW / Mercedes con un aumento del prezzo di vendita del 6% e la casa rispose che non era possibile alzare i prezzi. E per risparmiare si abbassò la qualità anche dell'alto di gamma. Un fornitore di cablaggio dichiarò: "Mi fanno lavorare con una qualità tanto bassa che non riesco a fornire le case francesi e tedesche se non lavorando su due livelli qualitativi". Chi non ricorda la Tempra, prima serie, che scaricava di notte le batterie, la Marea, serie 1.1 in cui esplodeva il cambio marce? Solo per citare qualche esempio. E l'avversione della Fiat alle innovazioni: niente cambio automatico, nessun rispetto della politica dei tagliandi, al contrario di quanto avveniva in Francia e Germania.

 

Oggi il mercato è maturo, l'utenza italiana fa la prima sostituzione dopo oltre 4 anni: rispetto a pochi anni fa almeno un anno di produzione, in Italia, sparisce: oltre 2 milioni di auto in meno. E l'andamento dell'economia, le nuove motorizzazioni, la qualità meccanica, la diminuzione delle percorrenze consentiranno di tenere le auto sempre più a lungo. Si tratta della fine di un'era che avviene senza programmazione per il futuro, senza sapere cioè cosa ci aspetta dietro l'angolo.

 

Non credo che la crisi sia passata, come afferma il presidente del Consiglio, ma, anche se così fosse, credo che il mercato dell'auto e di tutti i beni durevoli ad elevato tasso di sostituzione (PC, elettrodomestici bianchi e neri, telefoni portatili, ecc.) a fine crisi continueranno a soffrire in quanto i consumatori saranno diversi e non si lasceranno più suggestionare da novità e innovazioni. Non basta passare alla Tv digitale per rilanciare la vendita dei televisori.

 

Studiamo la crisi paragonandola alle precedenti senza tenere conto del fatto che sono cambiati i parametri di base: in precedenza non esistevano Cina, India, Corea e anche il Giappone se ne stava tranquillo, lontano da noi. E soprattutto la velocità dei sistemi è cresciuta in modo esponenziale senza che ce ne rendessimo conto. Questi fenomeni hanno reso obsoleti parametri e modalità che sembravano dei moloch ineludibili.

 

Un ultimo punto: le delocalizzazioni produttive. Una politica suicida (almeno in Italia) che privilegia il PNL a scapito del PIL. Ma la ricchezza del paese si misura sul PIL, non sul PNL. Delocalizzare significa ridurre drasticamente la risorsa umana impiegata, abbassare la qualità standard (perdita del vissuto storico dell'impresa), impoverire il paese. Con quali risorse pagheremo le pensioni ai prepensionati?

 

Penso che dovremmo attivare un tavolo di confronto non su ciò che si è verificato, ma su cosa potrà accadere quando usciremo dal tunnel (a proposito, sembra che non ci siamo ancora entrati). Il passato è passato: il futuro è incognito.
Sabato, 25. Luglio 2009
 

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