Fiat, è da ripensare l'assetto proprietario

Oltre a superare i problemi finanziari e delle alleanze l'azienda ha assoluto bisogno di un recupero di popolarità e la famiglia Agnelli rischia di essere un impedimento su questa strada

Il divorzio tra Fiat e GM è stato salutato in Italia con un sospiro di sollievo e complimenti (meritati) all'amministratore delegato Marchionne. Un prolungato contenzioso legale sarebbe stato rischiosissimo  per Fiat, che non può aggiungere altre incertezze a quelle già numerose e gravi, che la riguardano. D'altro canto è definitivamente tramontato il rischio di  un acquisto forzoso di Fiat Auto da parte di GM, i cui esiti industriali sarebbero stati disastrosi per la permanenza del settore auto nel nostro paese. La vendita era la vera prospettiva strategica in cui si era mossa l'accoppiata Fresco - Cantarella. Ora tutto è rimesso in gioco, si rincomincia.

La ritrovata libertà di movimento di Fiat, se dà la sensazione di scampato pericolo, ripropone le domande di qualche anno fa, quando la necessità di fare alleanze era la questione fondamentale, di cui ci si era resi conto con colpevole ritardo. Del vecchio matrimonio restano vantaggi a GM sull'utilizzo di due motori diesel, la possibilità di Fiat di avvalersi del centro acquisti americano e la possibilità di cooperare per altre piattaforme comuni. Il nuovo è tutto da costruire. Sul piano industriale e commerciale la via che potrebbe essere scelta è quella di alleanze diversificate e specifiche per ogni marchio, a partire da Alfa,  cui ha nuociuto lo schiacciamento di immagine sul marchio Fiat e l'angustia dei canali commerciali.

Resta aperto inoltre lo storico problema della presenza in Italia di un solo produttore di auto (Fiat appunto), caso unico in Europa. Lo stimolo concorrenziale derivante dall'insediamento di altri sarebbe utile anche se bisogna riconoscere che questa eventualità appare remota, vista la cronica eccedenza di capacità produttive rispetto alla domanda mondiale e la tendenza a localizzare nuovi impianti verso est, in cerca di nuovi mercati e di un basso costo del lavoro.

Ma prima di lanciarsi in pronostici a questo riguardo è necessario porsi la domanda fondamentale su quali saranno nel futuro gli assetti proprietari del gruppo e le sue risorse finanziarie. La cessione di Fiat Auto a terzi non si può infatti considerare sparita dall'orizzonte e potrebbe ripresentarsi con tutte le incognite che una eventualità del genere porta inevitabilmente con sé.

A questo proposito il sindacato deve avere chiaro un vincolo fondamentale: qualsiasi assetto proprietario deve garantire nel lungo periodo la permanenza del settore in Italia, e delle relative capacità di ricerca, progettazione, innovazione tecnologica, fabbricazione. Da questo punto di vista una proprietà italiana appare più rassicurante a condizione che non pretenda la realizzazione di rapidi e facili guadagni (che nessuno oggi è in grado di ottenere dall'auto) e che si ponga nella logica di un investimento industriale, assai diversa dalla frenesia che ha portato al prevalere in tutto il mondo delle scelte di guadagno a breve, tipiche del capitale finanziario.

Per quanto riguarda gli equilibri finanziari il versamento di  1,55 miliardi di euro da GM non risolve i gravi problemi di indebitamento del gruppo, pari a 7 - 8 miliardi di euro. Decisive a riguardo saranno le decisioni delle banche creditrici  di 3 miliardi. Un esercizio del diritto - dovere a convertire in azioni modificherebbe profondamente l'assetto sociale, configurando una commistione tra banche e industria  che non ha buoni precedenti in Italia.

Servono inoltre, probabilmente, non solo risorse per pagare i debiti ma, oltre a quelle, risorse per investire in un piano industriale più ambizioso. A questo proposito è ricorrente una domanda circa l'auspicabilità dell'intervento pubblico che viene descritto come una sorta di statalizzazione della Fiat. Occorre dire che il sindacato chiede innanzitutto attenzione pubblica e quindi interessamento della politica alla questione Fiat, perché è convinto che il mantenimento del settore auto in Italia rappresenti una sorta di linea del Piave dopo le tante Caporetto subite dalla nostra industria nell'informatica, nelle  telecomunicazioni, nella chimica, nell'elettromeccanica pesante ecc. Come questo interessamento può concretizzarsi può essere discusso, ma è certo che il continuare , da parte del governo, a guardare il problema da lontano, nascondendosi  dietro un dovuto rispetto alle decisioni aziendali non è più accettabile, in particolare dopo la conclusione della vicenda GM.

Sono tante le cose che il governo può fare: dal finanziamento alla ricerca, all'aiuto nel trovare alleanze, alla facilitazione nell'accesso a finanziamenti, all'ingresso provvisorio nel capitale per accompagnare il periodo più delicato del risanamento. A sua volta Fiat, che è la principale artefice delle sue disgrazie, potrebbe abbandonare definitivamente l'arroganza di chi ha tentato di diventare una grande corporate multisettoriale senza la necessaria massa di capitali.

Segnali importanti in questa  direzione ne sono già arrivati, a partire dalla cessione delle partecipazioni in settori lontani da quello automotoristico e dalla ricapitalizzazione. Altrettanto positivo è il profondo rinnovamento del gruppo dirigente , ricostituito con manager di esperienza internazionale, che possono portare in Fiat una cultura nuova e più aperta.

Ma Fiat soffre ancora di una immagine che si è deteriorata negli ultimi anni, alienandole le simpatie degli italiani. E' stata per molto tempo un'azienda "nazionalpopolare" in cui la gente in qualche modo si riconosceva. Gli ingredienti di questo successo culturale sono stati  la provata capacità tecnico - ingegneristica al servizio di un prodotto per i ceti medio bassi. L'assetto basato sul capitalismo familiare completava il quadro, grazie al prestigio personale del capo famiglia Gianni Agnelli.

Questo assetto rischia oggi di diventare un impedimento al recupero di popolarità. Le intenzioni della "famiglia" non sono più una rassicurazione indiscutibile circa la volontà di confermare la missione di fare automobili. C'è bisogno di un rilancio credibile, prodotto dalla collaborazione di tanti diversi soggetti che, a partire dal governo, si impegnino in un progetto comune.

Per questo sarebbe utile una discontinuità col passato che esprima, a partire dall'assetto societario, una nuova logica, scegliendo l'assetto duale previsto dalla legge Vietti e aprendo il Consiglio di Sorveglianza alla presenza dei soggetti che dovrebbero impegnarsi al rilancio: sindacato, governo, enti locali, banche, fornitori di primo livello.
I dati di mercato sono in peggioramento; l'auspicato beneficio dei nuovi modelli del 2005 (nuova Marea, nuova Punto, 159 ) si sentirà, se ci sarà, nel 2006. Il 2005 sarà duro, con molta cassa integrazione e molte incognite per lo stabilimento di Termini Imerese, che chiuderà per 5 mesi, e tanti dubbi sul futuro di Mirafiori.

Per credere al miracolo ci vuole un piano che, a partire dal 2006, sia più ambizioso.
Per migliorare l'efficienza e la qualità dei prodotti ci vuole un cambio coraggioso nelle relazioni sindacali, in cui l'azienda deve investire rivitalizzando scelte partecipative, accennate nel passato, ma presto abbandonate. C'è da gestire il superamento di una logica gerarchica e fordista, che è il principale ostacolo al raggiungimento dei livelli di qualità del prodotto necessari per competere.

Al dunque la sopravvivenza si gioca sulla capacità di progettare, costruire e vendere buone auto. E per questo, oltre alle grandi scelte sugli assetti proprietari e finanziari e sulle alleanze, è fondamentale una adeguata valorizzazione del contributo dei lavoratori.

Martedì, 1. Marzo 2005
 

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