Secondo i diplomatici americani (nelle note inviate al loro governo) Berlusconi è un pirla compiacente, che può quindi risultare utile. Tanto più che per tacitarlo è sufficiente assecondare il suo smisurato narcisismo. Stando alla lettura delle intercettazioni, anche le disinibite fanciulle frequentatrici delle sue feste esprimono lo stesso giudizio. Accompagnato tuttavia da colorite invettive e volgarità quando lo giudicano non adeguatamente prodigo. Infine, persino la Lega, dove non fa certo difetto lidiozia (basti pensare a Calderoli che, non contento di avere definito folle ed incostituzionale la celebrazione della festa per i 150 anni dellItalia, per fare buon peso ha aggiunto che, se dipendesse da lui, abolirebbe pure la festa del 1 maggio) considera il premier il prosseneta per piazzare sul mercato parlamentare il cosiddetto federalismo. Sul perché un uomo simile riesca, malgrado tutto, a rimanere alla guida del governo italiano è questione che intrigherà certamente gli storici del futuro.
Non facendo parte della corporazione mi limito ad osservare che, fino a quando lattuale Parlamento riuscirà a stare in piedi, la Lega continuerà ad essere la gruccia di Berlusconi nella convinzione che questo le consenta di lucrare una favorevole spartizione del potere e soprattutto un risultato simbolico al quale annette particolare importanza: come lapprovazione del provvedimento che va sotto il nome di riforma federalista. Bandiera che sembra esaltare la maggioranza dei leghisti i quali la considerano il vessillo dietro il quale si potrebbe avvantaggiare il Nord a spese del Sud. Daltra parte, come tutte le tifoserie, anche quella leghista è prigioniera dei suoi riti e dei suoi miti che le persone normali faticano a capire. O non capiscono affatto. Tuttavia, sul punto del federalismo uno sforzo di comprensione merita di essere fatto anche da parte di chi considera il leghismo una politica essenzialmente cialtrona. Perché a differenza del tifo calcistico al quale si può rimanere anche del tutto estranei ed indifferenti, questa pastrocchio del federalismo allitaliana finirà per avere conseguenze sulla vita di tutti. E quindi opportuno cercare di capire la natura del prodotto che si vorrebbe smerciare. Facendo attenzione soprattutto agli ingredienti che non compaiono sulletichetta, ma che possono risultare decisivi per stabilire se si tratta di una vivanda commestibile, oppure no. A questo proposito le questioni fondamentali sono, a mio avviso, essenzialmente tre.
Primo. Nel mondo esistono diversi stati federali. Dalla Svizzera alla Germania, dagli Stati Uniti al Canada, dallIndia allAustralia, per fare solo alcuni esempi. Si tratta quindi di una forma di organizzazione politica e di governo ben nota. Ma la cosa altrettanto nota è che tutti gli stati federali sono nati per unire realtà politiche precedentemente divise. Non esiste invece un solo esempio al mondo di uno stato unitario che abbia successivamente adottato la struttura federale. Ci sono naturalmente stati unitari centralistici che, nel tempo, hanno deciso di attuare misure di decentramento e di autonomia, maggiore o minore a seconda dei casi e delle esigenze.
Del resto anche nella situazione italiana, sia pure con soluzioni confuse e pasticciate, sostanzialmente di questo si tratta. In effetti, liberato dalla retorica che lha sommerso, loggetto della discussione è relativo al come ed in che modo riconoscere una maggiore autonomia ai Comuni ed alle Regioni. Infatti, come avviene in tutte le politiche di decentramento, in ballo cè la decisione di trasferire poteri e risorse dallalto verso il basso. Mentre nel federalismo si compie il percorso inverso. In sostanza con il federalismo si trasferiscono verso nuove strutture che vengono costituite al di sopra poteri e risorse che avevano invece la loro origine e la loro legittimità esclusivamente in organismi autonomi e preesistenti. Si capisce quindi che il federalismo propriamente detto non centra nulla con le norme che sono in discussione in Italia.
Si dirà: è giusto, ma in fin dei conti è un problema di scarsa o nessuna importanza. Perché al più investe una questione puramente nominalistica. Non cè dubbio che in parte lo sia. Bisognerebbe comunque utilizzare sempre anche le parole con maggiore accuratezza. Perché come dice Platone (in Fedone) Le parole false sono non soltanto un male in se stesse, ma contagiano anche lanima. Con tutte le conseguenze che questo contagio può produrre. Il che, purtroppo, è sempre più evidente nel caso italiano.
Secondo. Assieme ai problemi di semantica ci sono quelli che possono rendere praticabile, o meno, un processo di maggiore autonomia locale. Teniamo presente che il caso italiano costituisce un unicum a livello europeo. Il nostro paese ha infatti ancora un assetto territoriale ad alto grado di frantumazione che risale a diversi secoli fa e che sinora non è mai stato sostanzialmente modificato. NellItalia del 1871 i Comuni erano 8382. Il fascismo ne abolì alcuni, che almeno in parte furono però ricostituiti dopo la nascita della Repubblica. Tantè vero che oggi sono ancora la bella cifra di 8101. Inoltre la debolezza del nostro localismo non dipende solo dai troppi Comuni, ma dal fatto che questi sono anche troppo piccoli. Il 70 per cento ha infatti una popolazione inferiore ai 5000 abitanti. Il che rende impossibile realizzare economie di scala ed ancora di più realizzare la necessaria efficienza nellazione pubblica.
Ben altro impatto ha avuto invece la riorganizzazione in Inghilterra. Basti pensare che tra gli anni settanta e novanta i distretti locali hanno enormemente accresciuto le loro densità abitative, essendosi ridotti da 1549 a 522. Lo stesso è accaduto in Danimarca, in Germania, in Belgio ed in diversi altri paesi europei.
A tutto questo si aggiunga che la nuova formulazione dellarticolo 114 della Costituzione è tale da rendere del tutto irrealistico il progetto di pseudo-federalismo su cui si vorrebbe decidere. Esso recita infatti: la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane e dallo Stato. Quindi tutti sullo stesso piano e con la stessa dignità istituzionale. Anche il Comune che conta appena 37 abitanti? Oppure la Provincia di Ogliastra che ne conta solo 58 mila? Anche se per raggiungere i circa nove milioni di abitanti della Lombardia è necessario mettere assieme una decina di Regioni (come: Valle dAosta; Molise; Basilicata; Umbria; Trentino; Friuli; Abruzzo; Liguria; Marche; Sardegna)? Si, tutti sullo stesso piano.
Se non bastasse si deve pure aggiungere che la contraddittorietà e debolezza dellimpianto previsto dal nuovo titolo V della Costituzione è determinata anche dal tipo di relazioni istituzionali che i Comuni possono stabilire con lo Stato e le Regioni. La questione dimensionale si intreccia quindi con quella istituzionale. Perché, a differenza con quanto accade nei modelli storici di tipo federale, da noi la struttura istituzionale non è a due, ma a tre punte. Infatti accanto a Stato e Regioni, titolari del potere legislativo, ci sono i Comuni che hanno la titolarità del potere amministrativo. Come possiamo constatare sempre più spesso, questo assetto triangolare è di problematico funzionamento. Perché, mentre il Comune è sempre lo stesso, i due regolatori si alternano tra di loro ed a volte si sovrappongono. In particolare per le materie definite concorrenziali. Con conseguenze non proprio desiderabili. Daltra parte, arrivate per ultime e non sempre adeguatamente istituzionalizzate, le Regioni non riescono a controllare sino in fondo i rispettivi territori perché non possono inserirsi tra Stato e Comuni. Tanto più che il titolo V ha ribadito che ai governi locali può essere consentito di sottrarsi alla regolazione regionale. Con gli effetti che ogni giorno si cominciano a vedere. Dal rifiuto dellAlta velocità, sino alla realizzazione delle grandi opere, oppure ai nuovi tracciati stradali e ferroviari, gli esempi di conflitti tra Stato, Regioni e Comuni, non mancano. Per la verità non manca nemmeno la tendenza opposta che, a volte, implica una vera e propria prevaricazione nei confronti dei governi locali.
Terzo. Il problema delle risorse con cui finanziare il funzionamento delle maggiori competenze che, con il nuovo ordinamento, verrebbero attribuite a Comuni e Regioni. Su questa materia siamo al raggiro, al vero e proprio imbroglio. Se qualcuno le interpellasse, tutte le persone normali non esiterebbero a rispondere che quando dei compiti vengono trasferiti dallo Stato alla Regioni ed ai Comuni, con essi dovrebbe passare la quota di personale che al centro assolveva a quegli stessi incarichi ed anche la quota di imposte necessarie a pagare il loro funzionamento. Invece nel nostro federalismo allamatriciana non sarà così. Tutto il personale rimarrà dovè. E, se come è probabile, aumenterà in periferia, non sono previste diminuzioni al centro. Mentre, per quanto riguarda il finanziamento, sono previsti nuovi balzelli, nuovi aggravi, nuove addizionali, che aumenteranno la pressione fiscale senza che, per altro, a questo debba corrispondere un miglioramento della quantità e della qualità dei servizi. E poiché al peggio non cè mai fine, alle maggiori entrate corrisponderà anche un aumento delle diseguaglianze. Nel senso che pagheranno ancora di più solo quelli che già pagano. Conoscendo la capacità di indignazione dei ricchi, Berlusconi e Tremonti si sono infatti premurati di assicurare che, con loro al governo, la patrimoniale non sarà mai introdotta. In compenso hanno invece previsto una addizionale Irpef. In modo che lavoratori e pensionati (i quali già contribuiscono alle entrate Irpef per oltre il 90 per cento) e da anni sono pure taglieggiati dalla mancata restituzione del fiscal drag possano pure farsi carico del finanziamento del federalismo.
Naturalmente la speranza è che le confederazioni sindacali riescano finalmente a trovare tempo e modo per potersene occupare.