Federalismo, i conti con la green economy

Come per le altre funzioni, anche nella produzione di energia verde va studiata una divisione di compiti che garantisca la massima efficienza di gestione. Alcune ipotesi in relazione ai vari tipi di energia

Del federalismo e delle riforme in corso abbiamo scritto in precedenti articoli, sottolineando che il nostro approccio è strettamente economico (e non anche politico-istituzionale, come ha recentemente fatto Andrea Manzella su Repubblica del 6 maggio). Coerentemente con questa impostazione abbiamo sostenuto l'opportunità che le funzioni operative siano imputate alle unità politico-amministrative di varie dimensioni, in rapporto alle economie di scala e di varietà. Questa molteplicità di funzioni dovrà essere coordinata da una programmazione multi-livello. Per quanto afferisce infine ai costi e benefici del federalismo, occorrerà riflettere sul fatto che i progressi dell'informatica e delle telecomunicazioni smorzano notevolmente - per le funzioni di controllo e di informazione - le tentazioni localistiche troppo vetero-campanilistiche.

 

Più complessa la definizione di green economy, con la quale il federalismo dovrà rapportarsi. Sono favorevole ad un'interpretazione la più ampia possibile, che includa l'assetto idrogeologico, l'inquinamento in tutte le sue forme, i costi degli eccessi di urbanizzazione e dei correlati fenomeni di spopolamento delle aree interne, la politica energetica, la teoria della localizzazione connessa con la razionalizzazione della logistica. Il pendolarismo delle acque minerali è un tipico esempio della presenza di irrazionalità nelle economie di mercato dal punto di vista dell'interesse collettivo. Infatti acque minerali della stessa composizione chimica e dello stesso costo iniziale migrano dal Nord al Sud e viceversa per raggiungere le tavole degli italiani a prezzi maggiorati e qualità peggiorate dal trasporto in contenitori di plastica.

 

Paradossalmente il Medioevo e buona parte del Rinascimento - periodi nei quali il termine green avrebbe tutt'al più indicato il colore del giustacuore di Robin Hood - avevano realizzato, compatibilmente con le tecnologie dell'epoca, un'economia ambientale più equilibrata di quelle attuali dei paesi industrializzati (per non parlare di quelli emergenti).

Se è vero che i pitali venivano vuotati dalle finestre sulle strade (il che non è il massimo per la gestione dei rifiuti urbani) una serie di altri elementi disegnavano un quadro ambientalistico corretto. Dalla rotazione delle colture alla concimazione biologica - che assicuravano un'agricoltura meno redditizia ma anche meno inquinata - alla manutenzione dei corsi d'acqua ed alla loro sistematica ripulitura (tipico il caso delle calli veneziane, dell'idrovia padana e del corso del Brenta), per arrivare all'impiego di forme di energia tipicamente "verdi", come quelle umana e animale, idrica ed eolica. Quest'ultima aveva dominato per migliaia di anni anche nei traffici marittimi.

 

Le domande che dobbiamo porci sono le seguenti: quali sono obiettivamente i margini di sviluppo di una politica ambientalistica nel nostro paese? Quali i suoi costi e i suoi benefici, anche occupazionali, valutabili con le moderne tecniche dell'analisi economica? Quale ruolo potranno avere in un futuro non troppo lontano le energie rinnovabili (anche se per molto tempo ancora persisterà un energy-mix), nonchè le tecnologie dei materiali e la razionalizzazione della logistica? Quali i ruoli che nell'ambito di questa politica saranno chiamati a svolgere in termini di minimizzazione dei costi i vari livelli di governo?

 

Lo stato di degrado idrogeologico del paese è evidente. Non alludo alla sismicità del territorio, eredità di ere geologiche pregresse, ma a quel degrado provocato dagli insediamenti umani. Per le risorse idriche gli interventi anti-inquinamento sono iniziati da pochi decenni con alcuni positivi risultati. Ma chi osservasse dall'aereo lo stato dell'Olona o il colore delle acque del Tevere quando si immettono nel mare a Fiumicino avrebbe qualche dubbio sulla loro efficacia globale. Esistono dunque amplissimi margini per una corretta gestione delle acque. La riprova, a contrariis, è data dalla frequenza delle alluvioni, solo in parte imputabile a mutamenti climatici "epocali" e per lo più al malgoverno del territorio.

 

Un'altra voragine ecologica si riscontra nel sistema montuoso; in particolare nella dorsale appenninica fino alla Calabria. Le strutture collinari e montane sono divenute negli ultimi due secoli particolarmente franose, per il disboscamento e lo spopolamento. Al primo fenomeno si è cercato di porre rimedio con massicce operazioni di rimboschimento, con risultati appariscenti. Ma i botanici hanno osservato che per abbreviare i tempi, la tipologia boschiva è risultata diversa da quella originaria, cosicchè le radici non esercitano la stessa azione di compattamento del terreno. Quanto allo spopolamento delle aree alto-collinari e montane, esso rende difficile la manutenzione del bosco e soprattutto del sottobosco, cosicchè gli eventi alluvionali non vengono prevenuti, ma, in qualche caso, amplificati.

 

Per quanto concerne la politica energetica, se si paragona la produzione da energie rinnovabili del nostro paese rispetto a quella di Nazioni obiettivamente meno fortunate sotto il profilo climatico, come la Germania, si riscontra un ampio divario sia nel solare che nell'eolico, per non parlare del ciclo di termovalorizzazione dei rifiuti.

 

Possiamo ora rispondere alla domanda relativa ai costi e benefici di una politica ambientale. Senza tediare il lettore con le sofisticate formule di questo tipo di analisi, ci limitiamo ad osservare che un primo rilevante beneficio consiste proprio nell'eliminazione delle somme spese annualmente per rimediare alle frane, alle interruzioni stradali, al crollo di edifici, alle perdite di raccolti e, talora, di vite umane. Quanto agli effetti economici dell'inquinamento sulla salute, essi possono ricavarsi dalle statistiche sanitarie di un paese, come il nostro, che ha un SSN, perchè esiste una stretta correlazione tra tipologie morbose e forme di inquinamento e perchè i costi delle degenze e delle terapie relative figurano nelle poste contabili dei bilanci regionali.

 

I benefici, però, non si fermano qui. Un territorio ben gestito e poco inquinato costituisce, accanto al patrimonio di bellezze artistiche, un polo di attrazione non solo per il mordi e fuggi turistico, ma anche per l'allungamento delle permanenze. Questa politica creerebbe inoltre rilevanti sbocchi occupazionali (in Germania si sono riscontrati 170.000 nuovi occupati/anno). La necessaria programmazione a lungo termine di questi interventi, inoltre, rappresenta di per sé uno stabilizzatore nelle fasi di violente oscillazioni congiunturali.

 

Per quanto concerne il peso delle energie rinnovabili rispetto al mix energetico, è difficile rispondere, in assenza di un Piano Energetico Nazionale correttamente impostato. Quel che è certo è che, in prospettiva, il loro flusso di produzione non sarà superato dall'ancora incerta soluzione nucleare. Diciamocela tutta: il federalismo sarà probabilmente la tomba del nucleare e non è difficile capire il perchè. Esso, infatti, amplifica e istituzionalizza l'effetto nimby (“non nel mio cortile”).

 

Alcuni recenti  "salti della tecnica" lasciano prevedere un ruolo più importante di quello che si immaginava anni or sono per le energie soft. Il fotovoltaico, sorretto dalla innovazione di films sottilissimi spalmabili sui muri anche di edifici vecchi, trasformati così da consumatori a produttori di energia, si sta sviluppando con incrementi intorno al 100% annuo. Altre strade promettenti sono quelle del solare termodinamico (campi specchi convergenti su una centrale termoelettrica), le pompe di calore, la geotermia e l'energia da biomasse, talora con colture batteriche che producono gas metano. Appare dunque non impossibile che in un arco temporale medio ci si avvicini ad un terzo del fabbisogno totale di energia del nostro paese: meta che alcuni anni fa era ritenuta inverosimile. Un ruolo importante potrà inoltre essere svolto dai nuovi materiali, frutto della ricerca avanzata e dalla razionalizzazione della logistica.

 

Quale potrà essere, dunque, il ruolo più funzionale dei vari livelli di governo nella gestione di questa politica ambientale? Sgombriamo subito il campo da un interrogativo preliminare: la politica ambientale deve essere interamente in mano pubblica? Certamente no. I progressi del solare sono frutto anche della iniziativa privata sostenuta da incentivi pubblici. La gestione dei parchi può essere parzialmente di tipo privatistico, così come allo spopolamento dell'Appennino si può ovviare con insediamenti di aziende private, agevolate da provvidenze pubbliche, anche comunitarie. Tuttavia uno sviluppo di tali dimensioni non si può ottenere senza una programmazione globale, settoriale e territoriale, che indichi obiettivi, valorizzi le iniziative private, controlli quelle controproducenti, potenzi la ricerca scientifica di base e applicata e ne trasferisca sollecitamente i risultati alle imprese ed alle autonomie locali. Il ruolo di tali autonomie sarà diverso, a seconda delle tipologie degli interventi. Possiamo dunque tentarne un elenco non esaustivo.

 

L'edilizia verde sia pubblica che privata ricadrà nelle responsabilità delle province, dei comuni e dello Stato, per le strutture di rispettiva pertinenza, dagli edifici pubblici alle scuole, all'edilizia abitativa, alle fabbriche. Le informazioni relative a prototipi significativi e costi standard potranno essere trasferite ai vari livelli di governo.

 

Le operazioni concernenti l'assetto idrogeologico comporteranno un rafforzamento del ruolo di organismi già esistenti, intercomunali o anche interregionali, migliorandone le dotazioni finanziarie, anche con la partecipazione dei privati, conferendo alle autorità di bacino o agli enti parco strutture analoghe a quelle degli antichi consorzi di bonifica.

 

In linea generale le autonomie locali appaiono le più adatte a governare le forme di energia diffusa, come il solare a pannelli, il fotovoltaico nell'edilizia, l'eolico, l'energia da biomasse, l'idroelettrico dei piccoli salti d'acqua con miniturbine, etc. Le macroregioni e/o lo Stato centrale dovranno occuparsi del solare termodinamico, del fotovoltaico concentrato e di altre forme di energia, come il nucleare o le grandi dighe. Un ruolo importante, preferibilmente da affidare all'amministrazione centrale, è quello del controllo della gestione delle reti di trasmissione dell'energia, soprattutto per l'adozione di criteri di tariffazione che non sfavoriscano l'accesso al cosiddetto "ultimo miglio" da parte di utilizzatori piccoli e periferici, nonchè della razionalizzazione della logistica. Il malfunzionamento del mercato in questo campo provoca non solo un aggravio di costi per i consumatori, ma anche un aumento dell'inquinamento e, quindi, un costo pubblico. La promozione delle tecnologie dei materiali, connessa con le punte della ricerca teorica e applicata, appare tendenzialmente più efficace se centralizzata.

 

Una politica ambientale globale ha costi molto alti: ci si chiede, dunque, come finanziarla. A parte il concorso dei privati (che, come già sperimentato, sotto certe condizioni non manca) per la parte pubblica suggeriamo una soluziopne apparentemente banale: si sommino gli stanziamenti erogati per far fronte alle conseguenze dirette e indirette dell'assenza di tale politica e se ne attribuisca il totale annuale al suo finanziamento. Non è un'operazione a somma zero, perchè in pochi anni gli eventi negativi ed i loro costi non scompariranno del tutto. Di conseguenza gli interventi, nelle fasi iniziali, dovranno concentrarsi sui più probabili punti di criticità.
Lunedì, 25. Maggio 2009
 

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