Federalismo fiscale, le cose ottenute e da ottenere

E' stata scongiurata un’impostazione che minava alla radice l'eguaglianza dei cittadini e rischiava di incrinare l'unità del paese, secondo il principio di “territorialità dell’imposta”. Ma permangono molte ambiguità dell’impostazione governativa

In tema di federalismo fiscale il programma di governo della coalizione di centro destra, aderendo al disegno di legge inviato in Parlamento dalla Regione Lombardia, aveva assunto come principio il radicamento sul territorio del gettito dei tributi erariali statali e, conseguentemente, aveva destinato allo Stato solo le quote non riservate alle Regioni. Per ridurre, in misura assai parziale (“di non oltre il 50 per cento le differenze di capacità fiscale per abitante”), le esigenze dei territori con “minore capacità fiscale per abitante” si ricorreva ad un fondo di perequazione (“di carattere orizzontale”) alimentato dalle Regioni più ricche e da esse governato.


Si trattava di un testo in contrasto con le norme costituzionali che prevedono la competenza esclusiva dello Stato in materia di perequazione, la commisurazione delle risorse fiscali destinate alle Regioni ed agli Enti Locali non alla titolarità “originaria” del gettito ma ai costi delle “funzioni pubbliche loro attribuite”, l’assegnazione di tutte le risorse, ivi comprese le quote del fondo perequativo, ai territori con minore capacità fiscale, “senza vincolo di destinazione” e, naturalmente, senza “comitati di vigilanza”.


Era un’impostazione che disegnava una intollerabile differenziazione di poteri tra le diverse parti dell’Italia, minava alla radice l'eguaglianza dei cittadini e rischiava di minare l'unità del paese. Nel disegno di legge governativo persistevano numerose ambiguità.


In primo luogo, nel testo compariva ancora il principio di “territorialità dell’imposta” che la discussione parlamentare ha, correttamente, trasformato in “territorialità dei tributi regionali e locali” e “riferibilità al territorio delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali” con il ripristino della titolarità statale, ulteriormente rafforzata dalla “previsione che i tributi erariali compartecipati abbiano integrale evidenza contabile nel bilancio dello Stato”.


Un ulteriore progresso è costituito dal fatto che, in sede parlamentare, tra i principi guida di coordinamento del sistema tributario è stato introdotto un richiamo al “criterio della progressività” e al “rispetto del principio della capacità contributiva ai fini del concorso alle spese pubbliche”, in riferimento all’articolo 53 della Costituzione.


Per quanto riguarda il fondo perequativo, abbandonata l’idea di un “fondo orizzontale”, gestito dalle Regioni più ricche, si è compiuta la scelta di un fondo verticale, assegnato “senza vincolo di destinazione”. Questa modificazione della disposizioni in materia di finanziamento non ha eliminato tutte le ambiguità dell’impostazione governativa.


Particolarmente negativa, anche per la difformità con il testo costituzionale, la segmentazione tra le funzioni e la decisione di garantire il finanziamento integrale solo per le funzioni di cui all’articolo 117/2/m della Costituzione (prevedibilmente assistenza, istruzione, sanità), nonché per le funzioni fondamentali degli Enti Locali.


Non sembra convincente l’argomentazione secondo la quale le Regioni e gli Enti Locali con minore capacità fiscale potrebbero realizzare il finanziamento integrale delle altre funzioni assegnate con l’uso della leva fiscale sui propri tributi. Non convince sul terreno dell’equità, perché l’uso della leva fiscale se utilizzato per aumentare l'addizionale IRPEF imporrebbe un'insopportabile penalizzazione su redditi già consistentemente più bassi di quelli medi nazionali (colonna 1 della tabella allegata) e già sottoposti ad un prelievo non coerente con i criteri di progressività previsti dalla Costituzione e espressamente indicati tra i principi della delega (colonne 3 e 9). Se utilizzata sui tributi relativi alle imprese sterilizzerebbe le eventuali ipotesi di “fiscalità di sviluppo”. Ma è ancor meno convincente se la si considera sul terreno dell’efficienza economica. Le funzioni finanziate solo parzialmente sono infatti quelle sulle quali maggiormente dovrebbe esercitarsi l’autonomia regionale e locale con il rischio che il finanziamento parziale fornisca un alibi per politiche meno efficienti e  giustifichi il permanere di logiche assistenziali e clientelari.


Ma tale scelta sembra anche in contrasto con alcuni tra i miglioramenti più rilevanti introdotti nel corso dell’esame parlamentare per realizzare un efficace coordinamento tra “autonomia di entrata e di spesa” e le più complessive politiche economiche del paese. Si tratta di articoli del tutto nuovi, come quelli relativi al patto di convergenza (articolo 18) o alla perequazione infrastrutturale (articolo 22) o significativamente rimaneggiati come mostra l’introduzione, all’articolo 1, dell’obiettivo di perseguire “lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella prospettiva del superamento del dualismo economico del paese” o la nuova formulazione dell’articolo 5 in materia di “coordinamento della finanza pubblica”.


Molto è affidato, nell’ulteriore processo di attuazione dell’articolo 119, e più in generale del Titolo V della II parte della Costituzione, al complesso iter dei decreti delegati. Le procedure individuate sia in tema di “leale cooperazione” tra i diversi livelli di governo (con la prevista intesa in sede di Conferenza unificata) sia in occasione dell’esame parlamentare (con il rinvio al voto d’Aula in caso di difformità del testo finale dal parere espresso dalle competenti Commissioni) consentono di ritenere che ulteriori progressi siano possibili se non si abbasserà la guardia rispetto all’esigenza di fare del federalismo fiscale una delle leve per una maggiore equità ed efficienza e per la modernizzazione del paese.                                                    


 (Giorgio Macciotta è Consigliere del CNEL)

Martedì, 5. Maggio 2009
 

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