Farmaci, perché si spende tanto e male

Regioni poco responsabilizzate, aumento vertiginoso delle quantità (+ 35% in quattro anni), una politica di contenimento basata solo sul taglio dei prezzi che non risolve e danneggia l'industria e gli utenti. Un'analisi del Cerm con alcune proposte di razionalizzazione

Se si  esaminano le determinanti della crescita della spesa farmaceutica a carico del Sistema sanitario nazionale (SSN) negli ultimi anni,  si verifica che, a fronte di una crescita trainata dalle quantità e concentrata in un ristretto numero di Regioni, gli interventi di contenimento della spesa hanno fatto ricorso quasi esclusivamente ai tagli generalizzati dei prezzi dei farmaci, su tutti i prodotti e su tutto il territorio nazionale.

L'errore nella scelta del target è aggravato dall'asimmetria con cui il Patto di Stabilità Interno tratta (a) la spesa farmaceutica rispetto alla sanitaria complessiva, e (b) gli operatori pubblici rispetto ai privati:
(a) Mentre per la spesa sanitaria i programmi di finanziamento dello Stato (dedicati ai LEA, livelli essenziali di assistenza) sono stati costantemente rivisti a rialzo, per la farmaceutica il programma è rimasto quello siglato nell'agosto 2001 (periodo 2001-2004). E questa concentrazione del vincolo di bilancio sulla farmaceutica è destinato a continuare se l'AIFA (l'Agenzia per il farmaco) calcolerà i futuri sfondamenti di spesa rispetto al finanziamento a programma al SSN, anche in presenza di sue revisioni al rialzo (le Regioni lamentano già il sottodimensionamelo del FSN sia per il 2005 che il per il 2006).
(b) Inoltre, mentre gli operatori privati (le imprese farmaceutiche e, dal 2006, anche la
distribuzione) prendono automaticamente a carico il 60 per cento dello sfondamento del tetto di spesa farmaceutica, il rimanente 40 per cento a carico delle Regioni si è sinora perso nella "sofficità" dei loro bilanci, inglobato nei rifinanziamenti al complesso della sanità provenienti dal bilancio statale.

Anche se le due ultime Leggi Finanziarie hanno creato i presupposti per una piena responsabilizzazione finanziaria delle Regioni rispetto alla spesa sanitaria complessiva, il fatto che queste ultime sopportino soltanto il 40 per cento del disavanzo farmaceutico tende a minare l'attenzione con cui le riforme strutturali sono condotte all'interno di questo comparto. I "vantaggi" politici di rimandare nel tempo interventi miranti all'efficienza e alla sostenibilità del sistema farmaceutico non trovano sufficiente
compensazione negli "svantaggi" di dover reperire annualmente su base regionale le risorse per ripianare la sovraspesa.

Esistono le condizioni, quindi, perché il trend delle quantità (+35 per cento tra il 2000 e il 2004 in termini di ddd/ab die distribuite per via convenzionata) continui negli anni avvenire, con effetti negativi pervasivi:
- in primo luogo sulla sostenibilità della spesa, perché la leva dei prezzi non può compensare ad infinitum;
- poi sulle possibilità di ammettere a rimborso nuovi farmaci, che inevitabilmente si restringono se non sono preventivamente aperte le necessarie compatibilità finanziarie;
- quindi sulle imprese produttrici, per le quali gli abbattimenti generalizzati dei prezzi sono un forte disincentivo alla creazione di nuovi prodotti e al loro lancio sul mercato (non a caso il parco prodotti italiano è uno dei più vecchi in termini di molecole);
- infine, sugli utenti del sistema farmaceutico che, in veste di pazienti o di cittadini finanziatori, sopportano le conseguenze di politiche inadeguate.

Il CERM propone una scomposizione della dinamica di crescita, alternativa a quella seguita da OSMED, che rivela come persino l'attività di ammissione a rimborso di nuovi farmaci non sarebbe possibile senza gli abbattimenti generalizzati dei prezzi, perché non riuscirebbe a trovare idonee compatibilità finanziarie. Si generano, così, forti contrasti tra alcuni importanti compiti istituzionali dell'AIFA, cioè il rinnovo del parco prodotti e l'ammissione in fascia "A" di molecole innovative, e la prassi, ormai
ufficialmente demandata alla stessa AIFA, di abbattere i prezzi, che disincentiva la R&S, il lancio di farmaci nuovi sul mercato italiano e la diversificazione dei prodotti.

L'errore di politica farmaceutica che l'Italia sta compiendo è riassumibile nel collasso in un unico strumento, l'abbattimento dei prezzi, di quello che avrebbe dovuto essere un insieme di strumenti di regolazione della domanda e dell'offerta di farmaci rimborsabili, tra cui: l'applicazione di compartecipazioni proporzionali al prezzo (con abbattimenti ed esenzioni per salvaguardare le finalità distributive); la promozione dei generici e delle copie economiche di prodotti off-patent; l'applicazione del reference pricing, diffusa ma con criteri di equivalenza stringenti; la rimozione dei "colli di bottiglia" della distribuzione, che impediscono la canalizzazione al consumatore finale dei prodotti equivalenti più economici (anche in termini di solo packaging); la sensibilizzazione/responsabilizzazione dei medici prescrittori.

Prima si arriva a chiedere (in un rinnovato Patto di Stabilità) che lo Stato e Regioni coordinino su questi punti i programmi di politica economica settoriale reale, prima si riesce ad abbandonare un sentiero che, se continuato, è a rischio di destabilizzare i conti sanitari e quindi i conti pubblici, deistituzionalizzare il sistema farmaceutico e quindi il SSN e deindustrializzare l'Italia nel settore della farmaceutica.

Nel lavoro più ampio da cui questo articolo è tratto (Quaderno Cerm n. 3-06, in Appendice) sono presentate due stime del CERM utili a valutare sia le
contraddizioni della politica farmaceutica attuale che la fattibilità di un suo superamento:
- se il tetto della spesa farmaceutica territoriale fosse stato misurato rispetto alla spesa statale consuntiva per i LEA (e non quella a programma del 2001), la dimensione del suo sfondamento sarebbe stata mediamente dimezzata;
- se il ripiano dello sfondamento di spesa fosse stato attuato tramite l'applicazione di un
copayment percentuale, quest'ultimo (in equilibrio parziale, e quindi senza considerare gli effetti incentivanti il consumo cost-effective) sarebbe stato compreso tra l'8,5 e l'11 per cento, un valore allineato al lower bound con cui il copay trova applicazione in molti paesi OECD.

 

Sabato, 15. Luglio 2006
 

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