In fabbrica una morte da Medioevo

Nei tempi feroci degli assalti ai castelli si veniva bruciati dall'olio bollente: è quello che è successo a Torino, nel terzo millennio

 

Quando si sente parlare di vite bruciate il pensiero corre a Marlon Brando che, nel film Il Selvaggio, cavalca spavaldo la sua Harley Davidson e semina violenza in assonnate cittadine della provincia americana. Nelle strade delle nostre città, dove il sogno cede il passo alla disperazione, le immagini sono meno romantiche: un senzatetto ubriaco dorme riverso sul marciapiede, un tossicodipendente s'acquatta tra due auto in sosta per iniettarsi la droga.

 

A nessuno viene in mente che nel Terzo Millennio sia ancora possibile subire la medesima, orribile sorte riservata nel Medio Evo agli assedianti di un castello. Essere inondati di olio bollente, morire tra spasmi atroci col corpo ricoperto da ustioni.

 

Ma lì, a quei tempi cupi e feroci, era in gioco la difesa della propria vita. I fatti avvenuti dentro le acciaierie ThyssenKrupp a Torino, nelle prime ore del 6 dicembre 2007, sono tutt'altra cosa. Qui era in gioco solo la spietata logica del profitto, tutto è avvenuto nel suo nome. Non ci sono scusanti a cui appigliarsi, nessun dirigente dell'azienda si sogni di sostenere che c'era una falla nella sicurezza perché le lavorazioni erano in procinto di essere trasferite a Terni.

 

Durante il turno di notte, in una di quelle giornate che sembrano non finire mai perché le ore lavorate sono troppe, una squadra di operai viene investita da un getto d'olio bollente fuoriuscito da un tubo flessibile. Il liquido s'incendia e il tubo diventa un lanciafiamme, trasformando i malcapitati in torce umane. I primi soccorritori sono i compagni di lavoro, gli stessi che poi, con la voce spezzata dall'orrore, disegneranno una scena infernale. Non avrei voluto essere lì per tutto l'oro del mondo. In casi del genere si stenta a trovare una definizione adeguata alla gravità ed insensatezza dell'accaduto. Inutile frugare nel vocabolario alla ricerca di aggettivi: dirò solo che è stata una strage inaccettabile perché chi è morto si stava guadagnando da vivere.

 

Chi sono i responsabili di questo crimine di pace? La risposta è fin troppo semplice: tutti i soggetti deputati a garantire la sicurezza di quel luogo di lavoro. I giudici che, in via cautelativa, hanno avviato le indagini ponendo gli impianti sotto sequestro non dovranno andare molto lontano per individuare i responsabili. Non credo si possa puntare l'indice contro il sindacato, ho saputo che erano stati fatti esposti e lettere d'ammonimento per denunciare un'intollerabile carenza di sicurezza. I giudici sono persone consapevoli, conoscono la Storia. Hanno lo spirito dell'archivista, cercano con pazienza finché non trovano gli scheletri negli armadi. I giudici, ne sono certo, sanno tutto su Alfred Krupp, condannato a 12 anni di carcere dal Tribunale di Norimberga come criminale di guerra, per l'uso del lavoro schiavistico nell'azienda da lui presieduta. Un'azienda che allora, quando fabbricava cannoni e carri armati per Hitler, si chiamava Krupp AG. Poi, nel 1999, la fusione con la Thyssen AG ha dato vita al grande gruppo siderurgico ThyssenKrupp AG, attuale proprietario della fabbrica di Torino. Adesso cercano di curare meglio la loro immagine, non guardano più i loro operai attraverso la lente di un monocolo. Ma la sostanza non cambia. Ne abbiamo avuto conferma pochi giorni fa, nella notte del 6 dicembre 2007.

 

Oltre al dolore per la perdita di tante, preziose vite, un sentimento si fa strada tra i tanti, s'impone alla mia attenzione. Colpisce con la violenza di un pugno, è la forte indignazione che mi ha colto fin da subito, da quando ho appreso della strage in fabbrica. Un'indignazione oltre misura, la sento rovente come il fuoco. Spero che tanti altri nella società civile provino le stesse sensazioni, credo siano molto utili per disegnare un nuovo modello di lavoro.

Lunedì, 17. Dicembre 2007
 

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