1 - Le scelte di politica economica sono caratterizzate da un notevole grado di esoterismo: la stragrande parte della popolazione ritiene più o meno consciamente che esista una verità univocamente definita, penetrabile solo da pochi sacerdoti e non acquisibile dai profani.
L’esempio, a mio giudizio tipico, è costituito dalle manovre dei tassi di interesse attuate da Federal Reserve e Banca Centrale Europea al fine di controllare il tasso d’inflazione, riportandolo al valore obiettivo. Conviene premettere che il tasso di interesse manovrato dalle autorità monetarie è costituito dal tasso di rifinanziamento principale, ovverosia dal tasso che le banche devono corrispondere all’ECB quando prendono a prestito a breve termine.
2 - Nell’interpretazione delle manovre di politica monetaria delle banche centrali, è ricorrente nei testi di politica economica la cosiddetta regola di Taylor [Storm 2023], che ha a prima vista un aspetto non accattivante, ma è facilmente intellegibile:
i = p +r* + a(p –p*) +b (y – y*)-
i è il tasso d’interesse fissato dalle banche centrali (in Europa da settembre il 4,50, quando nel settembre 2019 era nullo). Nell’individuazione di questo tasso le banche centrali fanno riferimento al tasso d’inflazione corrente, p (quanto più elevata è l’inflazione, tanto più alto tende ad essere il tasso d’interesse).
Svolge poi un ruolo importante il cosiddetto tasso d’interesse naturale, r*, ovverosia quel tasso che, nella definizione della Banca d’Italia, è coerente con il prodotto al suo livello potenziale e l’inflazione in linea con l’obiettivo della politica monetaria.
Se esiste poi differenza fra inflazione corrente e inflazione obiettivo (negli ultimi tempi sistematicamente posto al 2%), il tasso di interesse nominale, i, dovrebbe aumentare. Posto r*all’1% e p* al 2%, un‘inflazione corrente al 3% dovrebbe comportare, ignorando l’ultimo addendo, un tasso nominale per a =0,5 pari al 4,5%. Uno scostamento del tasso d’inflazione di un punto dal valore obiettivo implica un incremento del tasso di riferimento di 1,5 punti (la derivata di i rispetto a p nella regola).
L’ultimo addendo della regola pone in relazione il tasso di crescita effettivo del prodotto interno e quello potenziale o naturale del prodotto (la crescita conseguibile in condizione di piena utilizzazione delle risorse e di allineamento della dinamica dei prezzi al tasso d‘inflazione desiderato). Quando si manifestano eccessi di domanda nel sistema economico (quando y è maggiore y*) i tassi di interesse dovrebbero aumentare; viceversa, nelle fasi recessive. Nei documenti ufficiali si fa riferimento all’output gap, positivo o negativo nei due casi considerati.
Possiamo esemplificare l’uso che vien fatto di queste stime nella NADEF del 2023 [NADEF (2023), p.83]. Nel quadriennio 2023-26 l’output gap dovrebbe essere positivo per valori compresi fra lo 0,7 el’1% (le politiche economiche non dovrebbero quindi essere espansive); il prodotto potenziale indica tassi di crescita dell’economia dell’1% in media; il prodotto nella realtà dovrebbe svilupparsi a un tasso di crescita a prezzi costanti dello 0,8 nel 2023 fino all’1,4 nel 2025 per poi diminuire nell’anno successivo.
Si può aggiungere che in alternativa alle stime del prodotto potenziale si fa spesso riferimento al tasso di disoccupazione compatibile con un’inflazione stabile (NAIRU, non accelerating inflation rate of unemployment) o al NAWRU (non accelerating wage rate of unemployment). Queste grandezze, traducendo empiricamente la curva di Phillips (che pone appunto in relazione tasso d’inflazione e tasso di disoccupazione) assumono di fatto che il tasso d’inflazione sia determinato dalla dinamica salariale.
Recentemente, in luogo del tasso di disoccupazione (non facilmente interpretabile per l’elevata incidenza di lavoratori precari o di lavoratori scoraggiati) è stato utilizzato il vacancy rate (rapporto fra posti vacanti e numero di disoccupati), al fine , non so quanto realizzato, di delineare con maggiore precisione lo stato del mercato del lavoro.
3 - Non si deve pensare che le banche centrali seguano meccanicamente la regola di Taylor, anche se dalle modalità di traduzione concreta della regola traggono origine molto spesso le critiche, spesso di segno opposto. alle scelte di politica economica [Storm 2023]. Negli Stati Uniti la Federal Reserve è stata accusata di inerzia, prima, e di interventi tardivi poi, nel contrasto all’accelerazione dell’inflazione negli anni post Covid (peraltro significativamente contrattasi nel corso del 2023). In Europa, al contrario, taluni ritengono che le scelte della Bce abbiano svolto un ruolo inappropriato nell’evoluzione dell’economia dell’UE, accentuando il rallentamento già in atto.
Anche se la regola di Taylor è ampiamente accettata per la sua derivazione dalla teoria macroeconomica dominante, nella sua applicazione concreta emergono molti rilevanti problemi. Nella formula compaiono infatti due grandezze non osservabili, il prodotto potenziale e il saggio d’interesse naturale.
Con riferimento alla prima grandezza, l’Ufficio Parlamentare del Bilancio Italiano, in una Nota di lavoro del 2020, scrive che “il prodotto potenziale e l’output gap risultano estremamente difficili da trattare empiricamente. Si tratta di variabili…che possono essere stimate solo con un grado di incertezza molto elevato per via di diversi fattori, oltre alla molteplicità ed eterogeneità degli approcci econometrici utilizzati in letteratura” [Proietti (2023) p.1]. Nonostante queste note di fondata cautela, il DEF del 2023 presenta le stime dell’output gap per il prossimo triennio prima ricordate, sulla base di una metodologia concordata in sede europea [DEF 2023 allegato alla sez. II, p-39]. Richiamando i dati prima riportati, risulta che l’economia italiana opererà nei prossimi in un quadro di sovrautilizzazione delle risorse, e quindi di potenziale eccesso d’inflazione, come è testimoniato dall’output gap positivo. Si può aggiungere che le stime del NAIRU per l’economia italiana negli anni immediatamente precedenti la pandemia collocavano il tasso di disoccupazione compatibile con la stabilizzazione dell’inflazione al 10%,
Se non sono acriticamente utilzzabili le stime del prodotto potenziale, considerazioni analoghe valgono per la quantificazione del tasso d’interesse naturale. Alla stima di questo tasso, il FMI ha dedicato un capitolo del World Economic Outlook dell’aprile 2023 [IMF (2023), cap.2]. In premessa, si riconosce che esistono ampi margini d’incertezza nella stima del tasso d’interesse snaturale. Viene poi sviluppata sia un’analisi retrospettiva, da cui emerge che il tasso d’interesse vigente in media nei paesi industrializzati, identificato di fatto con quello naturale, è diminuito nei decenni precedenti la pandemia. Il tasso d’interesse naturale è, in altri termini, quello che si è configurato in media nella realtà. Per il futuro si ritiene che si tornerà, superata l’inflazione dei primi ‘anni ’20 di questo secolo, al quadro preesistente. Anche sotto questo aspetto rimangono comunque ampi margini di incertezza nella definizione del tasso appropriato d’interesse fissato dalle banche centrali, partendo dal tasso naturale.
4 - Ulteriori problemi si manifestano nella stima del tasso di crescita potenziale del prodotto e nell’individuazione delle cause dell’inflazione.
La teoria economica neoclassica insegna che un sistema economico di mercato ottiene un esito ottimale quando prezzi e salari sono perfettamente flessibili in un contesto di concorrenza. Quando la flessibilità non è realizzata, come è certamente verificato nella realtà, i sistemi di mercato non esplicano tutte le loro potenzialità in termini di livelli produttivi e di appropriatezza degli assetti distributivi. Sulla base di questa impostazione teorica ed empirica al tempo stesso, è sistematica da parte dell’Unione europea la sollecitazione ad introdurre le cosiddette riforme strutturali. Queste riforme dovrebbero in primo luogo garantire l’adozione di regole del mercato del lavoro produttrici della massima flessibilità in termini di remunerazione e di occupazione. La riduzione della pressione fiscale rispetto ai livelli correnti dovrebbe poi indurre un aumento dell’offerta di lavoro e di risparmio con conseguenti benefici effetti sulle potenzialità di crescita di un sistema economico. Con minore enfasi, si sostiene infine che le politiche antitrust, peraltro molto poco incisive nella realtà, dovrebbero essere il presidio di mercati concorrenziali.
E’ evidente che una stima molto prudente, per via di rigidità vere o presunte, del tasso di crescita potenziale implica un output gap positivo anche in un contesto di relativa stagnazione (come peraltro dimostrano i dati contenuti nella NADEF). Si può poi aggiungere che una distribuzione primaria che comprime i redditi da lavoro influisce negativamente sulla domanda aggregata e quindi sullo sviluppo complessivo del sistema. Tutto ciò non è inquadrabile negli schemi correnti di stima del prodotto potenziale.
Esistono altre insufficienze nell’applicazione degli schemi correnti riconducibili all’interpretazione delle cause dell’inflazione. Lo schema interpretativo implicito nella regola di Taylor, fondato sulla curva di Phillips, attribuisce alla dinamica salariale, via tasso di disoccupazione al di sotto del livello ottimale, la causa fondamentale di una dinamica inflazionistica superiore al tasso obiettivo. Da questa assunzione discende che solo con la compressione dei salari si può riportare la dinamica dei prezzi nei limiti consentiti.
Non a caso in questi mesi, con un tasso d’inflazione sostenuto, si è fatto ripetutamente riferimento al pericolo di una spirale prezzi-salari, date le stime assunte come significative del NAIRU e del NAWRU o quelle continuamente riviste della pendenza della curva di Phillips (diventata improvvisamente molto elevata) [Hall (2023)]. Sulla base dell’esperienza recente, è evidente che l’inflazione può essere indotta, forse soprattutto, da fattori attinenti al lato dell’offerta: prezzi delle materie prime, problemi di approvvigionamento in un quadro geopolitico turbolento, difficoltà di funzionamento nelle supply chains sono tutti fattori che hanno inciso sul tasso d’inflazione, non avendo certamente origine in dinamiche salariali appropriate. E’ comunque sempre vero che l’inflazione comporta una diversa distribuzione del reddito in cui alcuni sono avvantaggiati e altri sono svantaggiati.
In queste circostanze appare ragionevole sostenere che meccanismi di controllo di alcuni prezzi base dovrebbero essere lo strumento essenziale di controllo dell’inflazione. Al contrario, una politica monetaria restrittiva penalizza ben precisi settori, quali le imprese dotate di scarso potere di mercato (come dimostra l’esplosione dei profitti bancari), senza avere presumibilmente effetti diretti sull’inflazione, se non attraverso il rallentamento degli investimenti e dei consumi fondati sull’indebitamento. Se a ciò si aggiunge il mancato adeguamento dei salari, si comprende come politiche fondate su basi teoriche discutibili, oltre ad essere suscettibili di ampie oscillazioni nelle loro determinazioni quantitative, riescono a conseguire l’obiettivo di controllo dell’inflazione solo attraverso stagnazione o recessione dell’economia.
5 - A mio giudizio, i limiti delle impostazioni correnti di politica economica, in particolare a livello europeo, sono sostanziali. Nel quadro teorico dominante, la determinazione quantitativa delle decisioni è soggetta ad ampi margini di discrezionalità per l’inosservabilità di molti parametri che ne dovrebbero essere la base. E’ comunque illusorio definire le scelte con il ricorso a modelli e relative stime econometriche che per la loro molteplicità e indeterminatezza non possono che far emergere nell’adozione di specifiche politiche presupposti collocabili fra l’ideologico e il prescientifico.
Dovrebbe poi far riflettere il fatto che il riferimento normativo fondamentale nei documenti ufficiali sia il modello di concorrenza perfetta, cui le politiche economiche dovrebbero in buona misura conformarsi. La mancata attenzione che ne deriva ai problemi distributivi, quali concretamente si manifestano nella sfera della distribuzione primaria e di quella secondaria, non può che produrre, come ha prodotto, effetti negativi sulla crescita economica e sociale di un sistema. Nello stesso senso il richiamo alla concorrenza in un mondo in cui i processi di concentrazione, sul piano produttivo e su quello finanziario sono sempre più pervasivi, di nuovo appare pericolosamente fuori strada. Una maggiore attenzione ai processi storici e a impostazione analitiche meno dogmatiche sarebbe quanto mai opportuno.
Si può concludere sottolineando che l’esoterismo è stata in larga misura un meccanismo di protezione di false credenze.
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BIBLIOGRAFIA
Hall R.E. e M. Kullyak, The Active Role of the Natural Rate of Unemployment during Cyclical Recoveries, NBER, Working Pater 31848, Novembre 2023
IMF (2023): World Economic Outlook, april, ch.2
MEF (2023): DEF
MEF (2023): NADEF
Proietti T. et al. (2020): Un approccio sistemico per la stima dell’output gap dell’economia italiana, Ufficio Parlamentare del Bilancio, Nota di Lavoro,1/2020
Storm S. (2023), The Art of Paradigm Maintenance: How, the” science of Minetary Policy” tries to deal with the inflation of 2021-2023, , Institurte for New Economic Thinking, Working Paper No. 214, Oct, 4 2023