Energia, una strategia all'idrogeno per l'Europa

E' incredibile che l'Unione, massicciamente dipendente dalle importazioni, non sia ancora riuscita a varare una politica unitaria. Che potrebbe non solo aumentare il suo potere contrattuale, ma indirizzarsi verso le fonti alternative, per alcune delle quali alcuni paesi membri sono tra i leader mondiali. I parametri economici del problema

1-PREMESSA

 

Anche in materia di energia emergono i limiti d’integrazione dell’Unione Europea e la sua incapacità di mettere in campo e sostenere iniziative forti, perché condivise da tutti i suoi membri. I 25, in tema di politica energetica, infatti, operano sui mercati internazionali in ordine sparso e sostanzialmente non fanno nulla per creare quella massa politica critica, in grado di condizionare i mercati. Ciò è tanto più grave perché in questi anni si stanno creando nuove alleanze e cartelli internazionali (altre all’OPEC, ricordiamo gli accordi Russia –Algeria per il gas; la politica “globale” cinese, il nuovo asse “Shanghai Five” tra Cina, Russia, Repubbliche dell’Asia Centrale e, significativamente, l’Iran ); tutte oggettive minacce per l’Unione.  

Le domande da porsi sono allora le seguenti:

- qual è oggi la politica energetica dell’EU, se ne esiste una?

- quale dovrebbe essere e su quali tecnologie dovrebbe basarsi?

 

2-FRAMMENTI DI POLITICA ENERGETICA DELL’EU

 

In tema di energia, la situazione dell’EU è un bicchiere più vuoto che pieno, anzi quasi del tutto vuoto.

Pieno sarebbe se esistesse un’unica e condivisa politica di un’EU unanime, che governasse con rigore ed autorevolezza il suo ciclo energetico. In realtà siamo più vicini ad una totale assenza di politica concertata e perfino il mercato interno non è affatto armonico e solidale. 

Gli interventi da parte delle istituzioni EU sono risultati difficili da varare, ancorché non incisivi; sia le Direttive esplicitamente energetiche, sia quelle ambientali-energetiche, di promozione delle fonti primarie rinnovabili e dell’efficienza energetica e del Protocollo di Kyoto.

Su questo tema, l’EU ha dovuto misurarsi con un sostanziale veto della Gran Bretagna (e l’opposizione ancor più evidente delle lobby petrolifere e multinazionali), ostili al varo di una politica energetica comune. La riunione plenaria dei Ministri dell’Energia e dell’Ambiente del 1990 identificò i tre strumenti che l’EU riteneva determinanti per tracciare un percorso comune vincente:

- la definizione di una normativa unificata e condivisa

- il varo di una politica fiscale armonizzata

- la messa in campo di una politica unificata di ricerca tecnologica nel comparto energetico.

Il perseguimento dei tre obiettivi non ha avuto fin qui successo.

Oggi non esiste nemmeno un Piano Energetico Europeo; in 10 anni, l’EU si è data ben 3 Libri Verdi (LV), l’ultimo dei quali, “Una strategia europea per una energia sostenibile, competitiva e sicura”, è stato presentato l’8 marzo 2006, con una cerimonia quasi imbarazzante ed emblematica.

Barroso e Piebalgs, Commissario all’energia, hanno sottolineato con enfasi l’indispensabilità di una strategia unitaria (che quindi ad oggi non c’é): l’EU importa il 50% dell’energia primaria che utilizza e con l’attuale trend raggiungerà il 70% di importazioni al 2020 (l’Italia già oggi è all’82%). Hanno fatto proprio l’autorevole parere dell’Intergovernamental Panel for Climate Change (IPCC) e le sue catastrofiche previsioni, sottolineando che gli impegni del Protocollo di Kyoto sono addirittura inadeguati.

 

Tutto questo considerato, e tenuto conto che per l’industria europea la sfida è oggi quella di tener dietro ad investimenti colossali (1000 miliardi di euro all’anno in Europa; 13.000 nel mondo), il LV, tenta di avviare una politica energetica condivisa (voluta, secondo i sondaggi, dal 48% degli europei, contro un 37 % che la vogliono nazionale ed un 8% addirittura solo a scala locale), con tre principali obiettivi:

 

            -sviluppo sostenibile

            -crescita della competitività

            -massima sicurezza degli approvvigionamenti.

 

Le priorità sono:

            -rendere totalmente competitivo il mercato interno dell’energia

-concordare un mix delle varie fonti primarie da utilizzare (assicurando la sussidiarietà tra i 25 Stati membri)

-assicurare la massima sicurezza di approvvigionamento di energia primaria

-creare una Strategic European Energy Review, che sovrintenda al controllo sui contributi delle diverse fonti, anche interne, e del low carbon

-rispettare gli impegni di Kyoto, assicurando competitività e sicurezza degli approvvigionamenti.

 

 

3-LA POLITICA CHE L’EU DOVREBBE PROMUOVERE

 

La politica che l’EU dovrebbe adottare subito deve partire da dove il suo ultimo LV intende arrivare tra 5 anni.Lo scenario di riferimento è infatti il seguente:

 

-i paesi OCSE, le “tigri asiatiche”, ma soprattutto i paesi effettivamente e rapidissimamente in via di sviluppo (la Cina, l’India, il Brasile, il Sud Africa, il Messico, l’Indonesia e così via) basano i loro consumi energetici, a parte l’idroelettrico, sostanzialmente sui combustibili fossili e sul nucleare. Queste fonti sono geopoliticamente mal distribuite e non sono rinnovabili, sono pertanto soggette ad esaurimento; a cominciare dal petrolio, che ha solo pochi lustri davanti, ai ritmi e con le riserve attuali;

-l’uso massiccio e crescente di fonti fossili è una ormai evidente e già oggi insostenibile minaccia per l’ambiente;

-si vanno consolidando velocemente nuove lobby e cartelli politico-commerciali che vedono protagonisti aggressivi e determinati (quali la Cina, la Russia, l’India e vari altri soggetti), con l’esclusione dell’EU e perfino degli USA, ed un ruolo non più decisivo delle multinazionali;

-il mercato del petrolio, fonte primaria di riferimento perché rimane insostituibile per il comparto dei trasporti, è “drogato” dalle speculazioni finanziarie (addirittura i 2/3 delle transazioni sarebbero solo finanziarie!);

-alcune tra le principali risposte tecnologiche cercate in alternativa alla soluzione fossili/nucleare (l’auto elettrica; la fissione nucleare intrinsecamente sicura o di quarta generazione; la fusione nucleare) hanno fallito o sono ancora lontane. Il nucleare da fissione di quarta generazione è ancora lontano;

-le fonti rinnovabili (solare, eolico, idroelettrico, biomasse, geotermico, etc.) sono ritenute non competitive. Ma è noto che la convenienza delle fonti commerciali è opinabile, se si tengono in conto anche le esternalità, cioè i costi legati agli effetti indiretti del ciclo dell’energia (inquinamento, salute, sicurezza).

 

La strada intrapresa è dunque insostenibile. Ed infatti è in atto una lunga fase di trasformazione dell’intero scenario energetico. Oggi non si può dire con certezza verso quale soluzione andiamo, né quale sarà il modello energetico del 2050. Ma l’EU nel suo insieme avrebbe i mezzi ed il peso per orientare questa transizione verso una soluzione socialmente e politicamente sostenibile, vicina ai suoi principi ispiratori.

 

Oggi un governo del ciclo dell’energia, deve proporsi, nell’ordine:

 

-la creazione di una filiera tecnologica dell’efficienza energetica e dell’uso razionale dell’energia. E’ questa una prospettiva industriale di grande consistenza: si devono produrre utilizzatori, specie di tipo elettrico (lampadine a basso consumo, elettrodomestici, motori elettrici) per almeno 200-250  miliardi di euro in pochi anni; e poi si devono distribuire, installare, manutenere, sostituire. Sono prodotti tipicamente adatti alla media-piccola impresa (in cui l’Italia è tradizionalmente all’avanguardia, con la Germania). E la microimpresa diffusa dovrà assicurare l’assistenza locale. Le Direttive su fonti rinnovabili ed efficienza, emanate dall’EU nella seconda metà del 2006 ed in questo primo semestre del 2007, vanno certamente nella giusta direzione, ma occorre più convinzione;

 

-la creazione, a scala europea, di un nuovo comparto industriale delle tecnologie e degli impianti basati su fonti energetiche rinnovabili.

 

Esaminiamone le tre principali filiere:

 

a)la filiera eolica: la Germania, sotto la spinta dei Verdi, rimasti al governo per un tempo sufficientemente lungo, e grazie a forme efficaci di incentivo ai propri imprenditori ed agli stessi utenti, è diventata la principale produttrice (ed esportatrice) mondiale di impianti eolici. In 10 anni la sua industria eolica ha installato in patria o esportato impianti per una potenza elettrica superiore ad 1/3 dell’intero parco elettrogeneratore italiano; ha 70-80 mila addetti, compreso tutto l’indotto, ed un fatturato di 5 miliardi di euro.

In Europa sono installati oltre 40.000 MW di eolico; di questi 19.000 in Germania, 10.000 in Spagna; al terzo posto la Danimarca, anch’essa molto attiva. In tutto il mondo, poi, sono installati solo 62.000 MW: tre quarti del totale è in Europa. Il vento è già una filiera europea. Oggi il giro d’affari mondiali è stimato in 10 miliardi di euro l’anno. Le previsioni, sia pure troppo ottimistiche, è che al 2020 saranno “installabili” 1.250.000 MW, cioè 20 volte l’attuale potenza. Anche usando prudenza, per non aggredire il paesaggio, vale o no la pena di scommettere a scala europea?

 

b)la filiera solare, le cui potenzialità sono enormi. Nel solare termico (produzione di calore a bassa e media temperatura, a parte il termodinamico), ancora la Germania, con l’Austria e la Grecia e la Spagna, è leader in Europa; nel fotovoltaico, con il Giappone e gli Usa, nel mondo. Il limite è la scarsa densità e l’aleatorietà della fonte; i pregi: la quantità, la diffusione, la “democraticità”, per dirla con Rifkin. Le prospettive sono più che promettenti, ma subordinate ad una convinta, costante e duratura azione di “pilotaggio” (con mano pubblica) del mercato, d’incentivazione, di standardizzazione e di semplificazione dell’iter autorizzativo;

 

c)la filiera delle biomasse: qui parlare di filiera è particolarmente opportuno. Produrre oli vegetali da trasformare in biocarburanti o coltivare biomasse legnose da destinare alla combustione o alla gassificazione (fino all’idrogeno) significa coinvolgere un comparto, quello agricolo delle aree dismesse o delle colture non competitive da convertire, puntando alla produzione di surrogati dei derivati del petrolio e la sostituzione nell’autotrazione, dove il petrolio è ancora praticamente indispensabile.

C’è poi l’indotto nella distribuzione dei nuovi carburanti. Infine, gli attuali motori andranno modificati ed alcune trasformazioni possono essere realizzate da piccole e medie imprese, diffuse su tutto il continente e “complementari” alle grandi case automobilistiche;

 

-          la microcogenerazione diffusa, con piccoli impianti che producano calore (d’estate anche freddo) ed elettricità a scala di distretto, di quartiere e perfino di edificio. I mini e micro-impianti sono un’alternativa concreta alle megacentrali ed una risposta al pericolo di collasso delle reti continentali di distribuzione dell’energia (elettrica, del gas, del petrolio) che cominciano a scricchiolare, come dimostrano i black out o le crisi politiche che si manifestano nella distribuzione (le recenti, impreviste crisi del gas russo costituiscono un segnale d’allarme ben chiaro).

-         

 

Gli oppositori osservano che l’insieme delle azioni ipotizzate comporta investimenti immensi e tempi di realizzazione troppo lunghi: la concorrenza dei sistemi esistenti, economici e disponibili ovunque, scoraggerebbe qualsiasi investitore o politico.

Ma la forza di tali proposte è che esse sono necessarie e indifferibili e che degli investimenti e delle azioni qui auspicate vanno visti gli aspetti positivi: l’opportunità per una nuova economia sostenibile ed un rilancio, previa riconversione tecnologica, delle economie europee, stagnanti o in recessione.

Ecco perché i primi entusiasti fautori chiamano già questa strategia la Rivoluzione Energetica Europea e ne evidenziano pregi “etici” e politico-economici di prospettiva,:

            -assicura la protezione dell’ambiente

            -è “democratica” e guarda anche alla piccola scala ed alle realtà e comunità “locali”

            -è ad alta intensità di manodopera

            -va nella direzione dell’energia diffusa e dell’idrogeno.

 

 

4-LA VERA RIVOLUZIONE.

 

Un discorso a parte merita l’idrogeno. Di esso si parla molto oggi, come della soluzione globale: non sarebbe completa una analisi delle possibili strategie dell’EU che non inquadrasse, sia pur sommariamente, la questione “idrogeno”.

L’idrogeno NON è una fonte primaria di energia; mentre è il migliore combustibile che conosciamo, perché ad altissima densità di energia e totalmente pulito nella combustione. E’l’elemento più diffuso, ma ciò non risolve, direttamente, il problema della penuria di fonti primarie nuove (“pulite” e rinnovabili), perchè in natura esso è presente nell’acqua (H2O) o negli idrocarburi (CXHY), ma sempre “legato” ad altri elementi.

Il primo problema strategico che l’H2 comporta è dunque la sua “produzione”: partendo da una materia prima (acqua o idrocarburi), occorre energia primaria per separare l’idrogeno dall’ossigeno con cui è legato nella molecola d’acqua, o dal carbonio negli idrocarburi.

Oggi si producono nel mondo 60 Mt all’anno di H2 (per scopi industriali, non energetici) e lo si fa partendo dal metano, aggravando quindi il problema dei carichi ambientali e della limitatezza delle risorse fossili.

La soluzione strategica che molti di noi vedono è invece la produzione massiccia d’idrogeno con impiego esclusivo di fonti rinnovabili, quando esse non possono essere usate direttamente.

Poi, certamente, si deve affrontare il problema di creare nuove infrastrutture di distribuzione e impianti di utilizzazione dell’idrogeno (motori a combustione modificati, ma, soprattutto, celle a combustibile, la grande promessa tecnologica del prossimo futuro).

 

Tutte le tecnologie per la produzione, distribuzione ed utilizzo dell’idrogeno sono già disponibili nei nostri laboratori e a un passo dalla commercializzazione. Non sono, ovviamente, già competitive, visto l’enorme divario di diffusione; nulla fa però escludere che possano diventarlo.

Non c’è spazio qui per discutere delle riserve di molti strateghi energetici, sostenuti da lobby avverse a questa innovazione, i quali contestano l’opportunità e la plausibilità della scelta di puntare sull’idrogeno e sulle celle a combustibile (i loro utilizzatori). Noi riteniamo che le complicazioni, innegabili, di questa scommessa sull’“era dell’idrogeno”, gli enormi investimenti necessari, le incertezze che ogni cambiamento rivoluzionario e radicale porta con sé, gli stessi costi energetici aggiuntivi che comporta il passaggio dalle fonti rinnovabili all’idrogeno con il quale alimentare le utenze, siano tutti giustificati dall’obiettivo di accumulare le enormi quantità di energie naturali rinnovabili, altrimenti inutilizzabili, nel nuovo “vettore energetico”, l’idrogeno.

Esso ci consente, sia pure con rendimenti bassi e costi oggi assai elevati, di impiegarle in modo assolutamente pulito e con un ciclo “chiuso”. Utilizzando energie rinnovabili, si può produrre idrogeno dall’acqua e quando questo alimenterà le celle a combustibile di un autobus o di un’autovettura consentirà una mobilità del tutto sostenibile, restituendo piccoli spruzzi di gocce o di vapor d’acqua e chiudendo il ciclo naturale. In questo caso, allora, l’energia primaria impiegata sarà rinnovabile e la materia prima di part

Giovedì, 6. Settembre 2007
 

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