E' ora della carbon tax

La tassa per ridurre l'inquinamento è in vigore da tempo in Scandinavia e Olanda, e non ha danneggiato l'economia. La Francia sta per introdurla, la Svezia la promuoverà quando avrà la presidenza di turno della Ue. In Italia è stata varata e poi disattesa: ma se non rispetteremo il Protocollo di Kyoto ci costerà caro, circa 3,5 miliardi di euro

All’Aquila i leaders del G8 hanno dichiarato di sostenere l’obiettivo, per i paesi sviluppati, di ridurre le emissioni di gas serra dell’80%, rispetto al 1990 o altro anno più recente, entro il 2050. Nonostante il carattere non vincolante e la vaghezza del proposito in merito all’anno base, tale è l’ordine di grandezza dello sforzo che le economie avanzate sarebbero disposte a produrre nel lungo periodo. Un obiettivo che oggi appare decisamente ambizioso e che necessita di obiettivi intermedi vincolanti. Questi saranno oggetto di negoziazione tra paesi sviluppati e in via di sviluppo alla conferenza di Copenhagen il dicembre prossimo.

 

Per i paesi UE, il programma di riduzione delle emissioni di gas serra nel medio periodo è già fissato dal pacchetto legislativo clima-energia, il “20-20”. Questo, laddove stabilisce obiettivi specifici per i singoli paesi, impone all’Italia di ridurre le emissioni non coperte dall’Emissions Trading Scheme dell’UE (EU ETS)(1), ovvero principalmente quelle dei settori dei trasporti, civile, manifatturiero e agricolo, del 13%, rispetto al 2005, entro il 2020 e, entro la medesima scadenza, di incrementare la produzione di energia da fonti rinnovabili fino al 17% del consumo totale di energia (nel 2005 era appena il 5.2%). Tali obiettivi sono da raggiungere con misure nazionali, anche se l’adozione di standard a livello europeo, come quello previsto dal pacchetto clima-energia sull’efficienza dei motori degli autoveicoli, possono facilitare il compito. Puo’ l’Italia sperare di centrare gli obiettivi 20-20?

 

Va detto subito che il nucleare non faciliterebbe il raggiungimento dei suddetti obiettivi perché rientrerebbe nel settore ETS e, comunque, le nuove centrali non sarebbero pronte prima del 2020.  Nel rapporto dell’ENEA “Post Kyoto e cambiamenti climatici, 2008”, le emissioni di gas serra del settore non-ETS in Italia sono previste nel 2020, in assenza di misure di riduzione delle stesse, 387 MtCO2e (milioni di tonnellate di anidride carbonica [CO2] equivalente), a fronte di un obiettivo di 306 MtCO2e. Delle 81 MtCO2e che separano il dato tendenziale dall’obiettivo, ben 44 dovrebbero essere rimosse per effetto di “misure allo studio e di cui si parla”. Tra queste, quelle che dovrebbero produrre i maggiori tagli di emissioni sono le “misure tecnologiche relative ai veicoli” e i “nuovi standards di efficienza negli edifici”, che farebbero risparmiare rispettivamente 11 e 9.6 MtCO2e.

 

Tuttavia, dal momento che importanti misure di efficienza energetica nei trasporti e nell’edilizia sono gia’ previste, è difficile immaginare che ulteriori guadagni in efficienza così consistenti possano essere ottenuti con la sola regolamentazione. In altre parole, è lecito chiedersi se le stime riportate sopra non siano troppo ottimistiche. Inoltre, benché il pacchetto clima-energia preveda dei meccansimi che garantiscono una certa flessibilità, l’obiettivo delle emissioni nel 2020 deve essere raggiunto in modo progressivo, ovvero rispettando obiettivi intermedi annuali. Per questi motivi, sarebbe ideale disporre di uno strumento per ridurre le emissioni di gas serra che sia immediatamente disponibile e facilmente manovrabile. La carbon tax presenta entrambe queste apprezzabili caratteristiche, insieme ad altre.  

 

Tipicamente la carbon tax è espressa per tonnellata di CO2 (€/tCO2, $/tCO2, etc.) e si applica ai combustibili fossili (carbone, petrolio, gas, etc.) proporzionalmente alla quantità di CO2 che si crea quando sono usati. Pertanto, quanto maggiore è il contenuto di carbonio di un combustibile, tanto maggiore è l’incremento del prezzo di quest’ultimo in seguito all’imposizione della tassa. Cambiando in questo modo i prezzi relativi dei combustibili, si da agli operatori economici un incentivo a scegliere quelli più puliti. La carbon tax di norma trova il favore degli economisti, di ogni orientamento, principalmente per il fatto di essere il modo più costo-efficiente per ridurre le emissioni. Stiglitz, Summers, Nordhaus, Mankiw, Sachs, solo per citarne alcuni, sono tutti sostenitori della tassazione delle emissioni.

 

L’ostacolo maggiore per la carbon tax è la sua presunta impopolarità, fatto che spesso dissuade i governi dall’introdurla. Ma se le ragioni della tassa e i modi di neutralizzazione dei suoi effetti avversi vengono spiegati bene al pubblico, la percezione comune della tassa può cambiare. Infatti, se è vero che la tassa da sola in qualche misura peserebbe sui redditi delle famiglie e peggiorerebbe la competitività internazionale delle imprese, se accompagnata invece da norme che ne regolano l’uso del gettito, destinandolo a favore delle famiglie e delle imprese più penalizzate, il segno degli effetti avversi potrebbe anche cambiare, fermo restando il benificio ambientale.

 

I paesi scandinavi, Finlandia, Svezia, Danimarca e Norvegia avevano la carbon tax già nei primi anni Novanta, e così pure l’Olanda. Nel 1998 il ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, che aveva firmato il Protocollo di Kyoto per l’Italia, fece introdurre nella legge Finanziaria la carbon tax. Proprio come la teoria economica suggerisce, era stato previsto che la tassa sarebbe cresciuta nel tempo con aggiornamenti annuali e che il gettito fosse utilizzato per ridurre il costo del lavoro. Purtroppo, in pratica la tassa non è mai stata implementata. Infatti, dapprima sono stati introdotti gli aumenti delle accise relativi al primo anno di operatività, ma poi emendamenti che hanno introdotto sconti, sussidi e altri meccanismi, hanno di fatto annullato anche il primo step della tassa. Quelli successivi non sono mai stati implementati.

 

Perché fu abbandonata la carbon tax? Chi era al governo nel 2000 non ha fornito spiegazioni pubbliche e nell’aprile di quello stesso anno Edo Ronchi fu sostituito al ministero dell’Ambiente e spostato a quello delle Politiche comunitarie (ma Ronchi diede le dimissioni). Oggi però rileviamo che l’Italia si trova in grande ritardo sull’obiettivo di Kyoto, cosa che ci costerà intorno ai 3.5 miliardi di euro, e sappiamo anche che la carbon tax non ha avuto effetti negativi sulla crescita economica dei paesi sopra menzionati, anzi.               

 

In Italia non si sente parlare di carbon tax ormai da anni e sorprendentemente neppure studi sull’argomento vengono prodotti da tempo. E’ invece notizia degli ultimi giorni che il governo francese sta seriamente valutando l’opportunità di introdurla. Un gruppo di esperti presieduto dall’ex primo ministro Michel Rocard è stato costituito per formulare delle raccomandazioni in merito a una eventuale carbon tax francese da applicare a partire dal 2011 o addirittura da gennaio 2010. Secondo uno studio della direction générale du Trésor et de la politique économique, la carbon tax accompagnata da un alleggerimento delle imposte sulle imprese avrebbe anche un effetto positivo sulla crescita economica.(2) Non solo, recentemente il primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt ha dichiarato che nel semestre in cui la Svezia avrà la presidenza di turno del Consiglio UE, cioè da luglio a dicembre 2009, esorterà i paesi membri a implementare e armonizzare carbon tax nazionali. 

 

L’Italia deve tagliare le emissioni di gas serra e la carbon tax è un validissimo strumento per farlo. Come in Francia e altrove in Europa, è auspicabile che il dibattito sulla carbon tax riparta in Italia. Peraltro, data la crescente necessità di tagliare le emissioni, che vediamo riflettersi in obiettivi di medio e lungo termine molto ambiziosi come quello indicato in sede G8, è difficile immaginare come ciò non possa accadere prima o poi. Meglio allora che sia prima. 

 

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Note

 

 (1) L’EU ETS è uno strumento di riduzione delle emissioni di CO2 di cui l’UE si è dotata a partire dal 2005. In un sistema “cap-and-trade”, quale è l’EU ETS, i diritti di emissione vengono distribuiti alle imprese che vi partecipano, per un totale che dipende dall’obiettivo complessivo che le autorità vogliono raggiungere. Alcune imprese avranno poi bisogno di acquistare ulteriori diritti, mentre ad altre converrà venderne: ne nascono un mercato e un prezzo delle emissioni. L’EU ETS include i settori produttivi che fanno più intenso uso di energia, ma nel periodo 2013-2020 sarà esteso a più attività e ad altri gas serra. In Italia, come pure in Europa, il settore ETS attualmente copre circa il 45% delle emissioni di CO2.

 

(2) Le Monde online, in data 2 luglio, riporta una stima della crescita del prodotto interno lordo tra 0.2 e 0.6%, ma non specifica su quale orrizzonte temporale.

Mercoledì, 22. Luglio 2009
 

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