Disoccupati in Italia

"Tra Stato, Regioni e cacciatori di teste", recita il sottotitolo. Un saggio di Salvatore Pirrone e Paolo Sestito sui nuovi problemi del collocamento
Pubblichiamo le parti essenziali dell'introduzione
 
I vecchi e polverosi uffici di collocamento ed il loro monopolio sull’intermediazione nel mercato del lavoro sono stati oggetto di una profonda rivoluzione negli ultimi dieci anni. Se la pars construens dei mutamenti è a volte poco visibile (non sono pochi coloro che credono che il collocamento pubblico sia stato semplicemente abolito)…. Le questioni che vi sono connesse vanno ben al di là della vicenda degli uffici di collocamento, che ben poche passioni sembrano poter suscitare. Esse sono per molti aspetti emblematiche, e ci consentiranno di parlare del federalismo (o devolution), della
tendenza a «privatizzare» il sistema di welfare e degli assetti più complessivi della regolazione e delle politiche del lavoro, inclusa la c.d. legge Biagi….
 
La natura spesso puramente polemica e ideologica del confronto politico ed istituzionale, da cui l’implementazione di quelle riforme dipende, e per taluni aspetti la scarsità o comunque l’incertezza sulle risorse dedicate alla riforma spiegano in parte perché, nonostante la sostanziale continuità dell’approccio normativo, il passaggio dal vecchio collocamento ai nuovi servizi per l’impiego sia ancora per molti aspetti incompiuto….
 
L’operatore pubblico, spogliato della tradizionale funzione allocativa, non ha ancora ben identificato il proprio specifico ruolo. Continua a mancare una funzione di attivazione nei confronti dei beneficiari di ammortizzatori sociali e lo stesso ruolo degli operatori privati viene spesso frainteso, immaginando che questi siano dei possibili sostituti dell’operatore pubblico, dimenticando la diversa logica operativa che intrinsecamente anima gli intermediari privati.
 
Il nostro non è un punto di vista nostalgico del precedente assetto Stato-centrico né tanto meno della funzione «collocativa» – di razionamento dei posti di lavoro disponibili – risalente all’immediato dopoguerra e addirittura all’epoca fascista. Il risalto e la piena legittimazione che ormai hanno le agenzie per il lavoro, che possono configurarsi come agenzie polifunzionali e operare su tutti o quasi i servizi ipotizzabili, debbono certamente essere visti con favore. La convergenza tra agenzie di fornitura di lavoro interinale (ora somministrazione di lavoro) e di intermediazione fornirà al sistema una spinta decisiva per far definitivamente decollare l’intermediazione professionale.
 
Non può non essere vista con favore anche la modernizzazione delle strutture pubbliche, con l’enfasi sull’erogazione di servizi. L’articolazione del sistema sul territorio appare anche una direttrice condivisibile, perché in linea con le profonde differenziazioni del mercato del lavoro sul territorio e con l’esigenza di pensare in loco, ed in maniera integrata, politiche del lavoro e di sviluppo territoriale.
 
Pur tuttavia, tutte e tre le enunciate caratteristiche presentano lati critici. La struttura organizzativa fortemente decentrata sacrifica il livello nazionale. Le istanze di unitarietà gestionale sembrano essere lasciate al solo sistema informativo. Questo si sostanzia
in una forte enfasi sulla c.d. borsa lavoro come strumento tecnologico, di cui peraltro non è ben definito il valore aggiunto – rispetto all’uso del web che comunque già sussiste da parte di aziende, lavoratori ed intermediari, senza che vi sia necessità
di impiegarvi risorse pubbliche – e che presenta il rischio di essere adoperata come una clava contro il mercato dell’intermediazione.
 
Inadeguata appare invece la definizione di livelli minimi di servizio. Vi è perciò un forte rischio di dualità, tra regioni più dinamiche, che sono poi quelle in cui comunque più
bassa è la disoccupazione, e regioni meno attive, tipicamente quelle del Mezzogiorno. Di per sé tutto ciò potrebbe essere affrontato anche con assetti fortemente decentrati e anzi questi potrebbero essere coniugati con azioni di supporto da parte del livello nazionale che, operando in una logica di premialità, siano di stimolo al ben operare nelle diverse realtà. Questa è del resto la direttrice ormai intrapresa dalle politiche regionali di sviluppo a partire dalla c.d. nuova programmazione lanciata sul finire degli anni ’ 90….
 
Nonostante lo sviluppo delle agenzie private, la cooperazione tra pubblico e privati resta ancora allo stato embrionale. L’auspicio alla collaborazione, insito nelle previsioni sulla borsa-lavoro o nel meccanismo di «presa in carico» dei disoccupati previsto dalla legge Biagi (e già immaginato anche da norme precedenti), è condivisibile. Ci pare però che manchi la necessaria attenzione alla costituzione di interazioni tra sistema
pubblico e operatori privati che rafforzino la contendibilità del mercato e non si limitino a demandare funzioni pubbliche a questo o quell’operatore privato magari scelto in base a logiche di affiliazione politica. Rafforzare la contendibilità del mercato richiede una piena trasparenza (e l’uso di meccanismi di mercato) nella scelta degli operatori privati cui affidare azioni aventi finalità prettamente pubbliche (che non si può
immaginare vengano perseguite incidentalmente), e una chiara distinzione tra intervento pubblico e regolazione. La questione di sostanza è perciò quella della contendibilità del mercato dei servizi e non tanto quella del livello nazionale o regionale di competenze, ma è senz’altro vero che interazioni pubblico-privati poco trasparenti rischiano di essere accresciute dagli attuali assetti istituzionali decentrati.
 
L’altra grande questione, per certi aspetti la principale – dando comunque per sostanzialmente acquisito un sistema in cui gli operatori privati siano a tutti gli effetti legittimamente operanti e quindi senz’altro attivi laddove la cosa sia per essi profittevole –, è l’individuazione della specifica mission dell’intervento pubblico. Il rischio che vediamo è che gli assetti fortemente decentrati confondano tra loro regolazione, interventi di infrastrutturazione e interventi diretti.
 
Vediamo in particolare il rischio che gli assetti decentrati – orientati come spesso sono alla ricerca d’una vana primazia del pubblico o, all’opposto, a delegare in toto le funzioni pubbliche ad un elenco prestabilito di operatori accreditati – perdano di vista le due funzioni essenziali dell’intervento pubblico diretto: quella di «ultima istanza» rispetto ai soggetti ed in quelle situazioni in cui i privati non agiscano perché non profittevole; e quella di controllo sul funzionamento degli ammortizzatori sociali.
Quest’ultima funzione, in particolare, deve a nostro avviso essere esercitata tenendo conto della necessaria natura «nazionale» di un efficace sistema di ammortizzatori. La sua importanza sarà inoltre accresciuta laddove, come auspicabile, il sistema degli ammortizzatori venisse potenziato, essendo la riforma ed il potenziamento di questi e la precisazione delle politiche di attivazione due facce della stessa medaglia.
 
Queste sono le questioni centrali tuttora aperte. Senza voler sminuire i problemi di implementazione e quelli relativi alle risorse ci pare infatti difficile, senza aver prima affrontato questi nodi strategici, discutere ad esempio di come superare la discrasia tra risorse ordinarie – trasferite dieci anni fa in relazione all’esistente e commisurate alla gestione di un sistema che aveva compiti essenzialmente burocratici – e risorse straordinarie – provenienti soprattutto dal Fondo sociale europeo e con una finalità di potenziamento del sistema. In effetti, se si guarda a quanto realmente accaduto negli anni passati, le prime sono senz’altro poche, ma le seconde rischiano di dover essere
giudicate eccessive e troppo spesso adoperate per stendere una patina di modernità sul vecchio collocamento pubblico.
 
Salvatore Pirrone - Paolo Sestito
Disoccupati in Italia. Tra Stato, Regioni e cacciatori di teste
Il Mulino - 2006
pp 280 - euro 21
Mercoledì, 14. Giugno 2006
 

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