In difesa delle primarie

Luigi Viviani, autorevole esponente del Pd, interviene sui temi sollevati dall'Appello ai delegati al congresso pubblicato su E&L

Innanzitutto un vivo ringraziamento per i contenuti dell’Appello che, per l’analisi che propone e gli orientamenti che indica, costituisce certamente un significativo contributo ad un dibattito che, per quanto ho potuto sperimentare, è troppo appiattito sulle vicende interne e non sui numerosi problemi del paese, aggravati dalla crisi e dalla non-politica di questo governo. Mi permetto comunque di esprimere una precisazione ed un dissenso.

 
La precisazione riguarda il punto dell’Appello relativo alla laicità dell’etica che giustamente voi indicate come problema essenziale per una effettiva laicità della politica, risolvibile correttamente con riferimento a natura e ragione. A mio avviso, si tratta di una espressione definitoria che non da pienamente ragione delle difficoltà concrete che incontra la sua applicazione. Il concetto di natura oggi è infatti in continua evoluzione per il suo rapporto con la scienza e la storia, mentre un analogo rapporto evolutivo esiste tra ragione e storia. Ciò rende sempre non risolutivi anche gli approdi etici raggiunti, per cui siamo obbligati ad una continua ricerca di nuove risposte etiche ai problemi nuovi, o che si pongono in modo nuovo, nella società.
 
In questa ricerca è naturalmente presente anche la Chiesa, con le sue proposte che saranno tanto meno esclusive quanto più, da parte di laici credenti e non, si elaboreranno posizioni e mediazioni eticamente non neutrali e rispondenti maggiormente al sentire comune. Quindi capaci di costruire un’etica condivisa nella società. Non basta cioè proporre il metodo della laicità, ma esso deve dimostrare la sua efficacia in termini di risultati, vista anche la devastazione dell’etica pubblica determinata, tra l’altro, dal berlusconismo. Altrimenti prevarranno posizioni fondamentaliste, religiose o ideologiche.
 
Il mio dissenso verte invece sulla forma partito e sul ruolo degli iscritti nel processo decisionale. Ritengo che nel definire la forma partito occorra tener conto della crisi della politica ed in particolare della crisi del rapporto tra partiti e cittadini. Pensare di risolvere il problema restringendo le decisioni agli iscritti forse rende più trasparente il processo ma certamente non risolve il problema di una partecipazione più ampia, a mio avviso indispensabile, per rinnovare la politica. Un partito che ha meno di un milione di iscritti ed è votato da oltre 10 milioni di elettori deve porsi il problema di come avvicinare, nelle decisioni più rilevanti, queste due diverse realtà. L’utilizzo dello strumento delle primarie per scegliere il leader non significa trasferire la decisione a “componenti indistinte della società civile” ma a cittadini che, nell’esercizio del diritto costituzionale del voto, hanno operato una precisa scelta politica a favore del PD. Non si tratta quindi di un generico aggregato di cittadini ma di un gruppo politicamente qualificato in coerenza con l’identità e i valori del partito. Coinvolgerlo nelle decisioni significa incrementare la  partecipazione responsabile e creare le premesse per un rinnovamento più esteso della classe dirigente.
 
Si tratta anche di una realtà politicamente esigente per cui non vedo i pericoli di ipotetici tentativi di cattura strumentale del consenso da parte dei candidati leader. Facendo poi un riferimento sindacale, siamo in una condizione nettamente diversa da quella che si determina con l’assegnare la decisione, tramite  un referendum, alla generalità dei lavoratori di un’azienda, di una categoria o del paese. Con le primarie si estende la partecipazione e la possibilità di decisione ad una comunità di cittadini politicamente qualificati in coerenza con il partito; con un referendum sindacale, che affidi la decisione definitiva alla generalità dei lavoratori, siamo in presenza di una scelta alternativa al sindacato. Tutto ciò non vuol dire che le attuali regole dello statuto del PD non possano essere precisate e migliorate, ma ritornare a limitare le responsabilità decisionale agli iscritti, significa imboccare una strada ripetutamente già percorsa senza i risultati sperati. Per questo mi auguro che al termine dell’attuale percorso congressuale si possano esaminare serenamente  tutti gli aspetti del problema e definire meglio le regole senza tornare indietro.
 
Luigi Viviani
Domenica, 18. Ottobre 2009
 

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