Il giovane cronista de LOra di Palermo, gloriosa testata di battaglie quasi sempre solitarie contro mafia e scandali, man mano che il tempo passava ne aveva viste tante. Così tante da cominciare a chiedersi, ad un certo punto, se non fossero davvero troppe. E da cominciare a dibattersi nel dilemma tra il mai andarsene di quei siciliani decisi a combattere la sfida del cambiamento e unatmosfera sempre più soffocante per chi aveva scelto il mestiere di giornalista.
E troppe diventano, a un certo momento. Un momento dolorosissimo per Antonio Calabrò, che lo racconta in questo diario in pubblico: viene ucciso il commissario Ninni Cassarà, per lui assai più di un amico. Non avevo fratelli maggiori, solo una sorella minore. Ma nei momenti più difficili mero scelto come fratelli degli amici di qualche anno più grandi. Ninni era uno di loro. Ninni con cui era stato insieme a scuola, ritrovato poi alluniversità, e in seguito ancora rinsaldati i legami dal fatto di sentirsi nella stessa trincea.
Proprio in quei giorni dagosto avevo deciso che prestissimo me ne sarei andato: per stanchezza, per nausea, per impotenza. Già vissuti, quindici anni dintelligenze e damore. Gli altri, restando, li avrei spesi male, con sperpero o, peggio, con avarizia dei sentimenti e delle energie. Senza misura, insomma. E così una nuova dimensione di mestiere e di vita sono andato a cercarla altrove.
E se altrove devessere, che lo sia radicalmente: Milano, quanto di più lontano da Palermo, e non solo e non tanto in chilometri. Là Antonio lavorerà al Mondo e a Repubblica, e poi al Sole 24 Ore di cui sarà direttore editoriale. E anche direttore dellagenzia di stampa Apcom prima di arrivare al ruolo che oggi ricopre, direttore degli Affari istituzionali e culturali della Pirelli e della Fondazione Pirelli.
In questo agile libro, però, in cui Calabrò si muove tra ricordi, riflessioni e bilanci, Milano non cè quasi affatto, se non in qualche scorcio sulloggi. Cè la Sicilia, con i suoi drammatici problemi prima di tutto, ma anche con la sua bellezza e una vivacità culturale di cui forse non tutti hanno piena consapevolezza, ma che emerge piena solo a richiamare alla mente gli eventi e gli intellettuali che Calabrò puntualmente ci ricorda. E il diario in pubblico è un intreccio continuo tra storia e bilanci personali e storia e bilanci dellisola, che, lasciata un quarto di secolo fa, è ancora ben presente nella memoria e negli affetti. E su come sarà il futuro della Sicilia, se ce la farà o resterà prigioniera del suo inferno, il giudizio resta in bilico tra il pessimismo di chi si è sentito costretto ad andare altrove e la speranza di chi scruta segni di cambiamento, piccoli ma significativi, che negli ultimi anni stanno emergendo. E chissà che, in futuro, chi è partito non finisca per tornare.
Antonio Calabrò