Lintervento del governo Monti sul sistema pensionistico è stato lennesimo degli ultimi 7 anni. Tra il 2004 e lagosto del 2011, la legge 243/2004 di Maroni (modificata dalla l. 247/2007), il D.L. 78/2010, il D.L. 98/2011, il D.L. 138/2011, hanno successivamente innalzato i requisiti minimi di accesso al pensionamento anticipato, portato a 65 anni letà di pensionamento delle donne nel pubblico impiego, gradualmente allineato ai 65 anni il requisito per la pensione di vecchiaia delle donne nel settore privato, introdotto una finestra di un anno tra il diritto al pensionamento e leffettiva decorrenza della pensione (18 mesi per gli autonomi e gli iscritti alla gestione dei parasubordinati), introdotto e via via anticipato ladeguamento dei requisiti anagrafici allaumento della speranza di vita..
Complessivamente, afferma la Nota di aggiornamento al DEF (Documento di economia e finanza) 2011, gli interventi adottati hanno comportato una significativa riduzione dellincidenza della spesa pensionistica in rapporto al Pil, che raggiunge in media 1,4 punti percentuali nellintero periodo 2015-2040. Linsieme degli interventi hanno contribuito al miglioramento della sostenibilità di medio-lungo periodo della finanza pubblica favorendo il percorso di rientro dei livelli di debito pubblico.
In termini quantitativi la riduzione operata da questi interventi sulla spesa pensionistica vale nel 2012 circa 11 mld di euro, che salgono a 15 mld nel 2013 e superano i 20 mld nel 2015.
I principali punti critici del sistema pensionistico dopo questi interventi erano indicati principalmente nel permanere delle pensioni di anzianità e nella perdita di flessibilità nel sistema contributivo operata dalla legge 243/2004. Un ulteriore punto di critica era (ed è) lincapacità del sistema contributivo di assicurare pensioni adeguate in caso di carriere contributive irregolari.
Le pensioni di anzianità sono sempre state il punto più complesso di tutte le riforme pensionistiche e il punto di maggior resistenza dei sindacati. Sulletà di vecchiaia, invece, la resistenza è stata molto minore fin dalla riforma Amato del 1993. La pensione di vecchiaia non riguardava i lavoratori forti del privato e i lavoratori del settore pubblico, ma solo quelli che possiamo definire gli sfigati, persone, donne soprattutto, che, per vari motivi, non raggiungevano i 35 anni di contribuzione e che dovevano aspettare letà di vecchiaia. Su loro si scaricò allora buona parte del peso della riforma. E una costante questa della sottovalutazione degli effetti del peggioramento dei requisiti per la vecchiaia che ha caratterizzato tutte le riforme, compresa quella Fornero.
Le modifiche allanzianità toccavano invece il cuore della rappresentanza sindacale e quindi erano molto più complesse. In ogni caso si è passati da unanzianità indipendente dalletà anagrafica ad un requisito minimo, inclusa la finestra, nel 2011 di 61 anni con 35 anni di contribuzione sia nel settore pubblico che in quello privato, requisito che sarebbe salito a 62 anni a partire dal 2013. Questa situazione non ci differenziava molto dagli altri paesi europei in termini di possibilità di anticipazione delle pensioni, mentre gli interventi sulla vecchiaia ci avevano portato ad essere non solo in linea, ma spesso oltre i limiti medi europei. La stessa graduazione della parificazione delletà di vecchiaia per le donne nel settore privato non era molto differente dalla gradualità in atto nel Regno Unito. Il nodo era semmai quello del requisito dei 40 anni di contribuzione, a prescindere dalletà anagrafica. Era questa forma di uscita che abbassava sensibilmente, 59 anni e qualche mese, letà media dei pensionati di anzianità rispetto al requisito normale dei 61. La cosiddetta anomalia italiana stava in questo punto.
La riforma Dini introdusse nel contributivo una flessibilità in uscita tra i 57 e i 65 anni, sulla base dellindifferenza dal punto di vista dei costi delletà di pensionamento dato il collegamento tra limporto della prima rata di pensione e la speranza residua di vita. Questa flessibilità fu quasi del tutto annullata dalla riforma Maroni nel 2004 che fissò a 65 anni letà di uscita nel contributivo limitando al raggiungimento dei requisiti previsti per lanzianità unuscita anticipata. La limitazione, ingiustificata sotto laspetto del sistema contributivo, era dovuta alla convinzione della Ragioneria generale dello Stato (Rgs) che solo una indicazione tassativa dei limiti di età poteva garantire i risparmi ricercati. Da allora questa convinzione della Rgs ha caratterizzato, e limitato, tutti gli interventi effettuati sulle pensioni compreso quello della Fornero, come vedremo in seguito.
Per anni molti studiosi del sistema del welfare hanno evidenziato come il sistema contributivo non avrebbe garantito una pensione adeguata ai lavoratori precari. In particolare anche il ministro Fornero riconosceva, come studiosa, che il problema delladeguatezza delle pensioni per i lavoratori con carriere precarie esisteva ma attribuiva la causa dellinadeguatezza al mercato del lavoro ed era lì, secondo la sua opinione che bisognava intervenire.
A partire dal 2010, con ladeguamento progressivo dei requisiti anagrafici allaumento della speranza di vita, nuovi studi hanno messo, almeno parzialmente, in discussione questa inadeguatezza, basandosi principalmente sul fatto che spostando in alto letà di pensionamento di vecchiaia il lavoratore godrebbe di una maggiore contribuzione complessiva e di coefficienti di trasformazione più elevati. Va notato, peraltro, che questi studi si rivolgono unicamente al tasso di sostituzione, ignorando totalmente limporto effettivo della pensione: avere un tasso di sostituzione elevato rispetto ad una retribuzione inferiore ai 1.000 euro non assicura una pensione adeguata.
E in questo contesto che va giudicata in primo luogo la necessità di un ulteriore intervento sul sistema pensionistico e poi il contenuto dellintervento. Dal punto di vista della sostenibilità di medio-lungo periodo non vi era in realtà alcuna necessità di intervento (vedi Nota di aggiornamento del Def) e nello stesso provvedimento si afferma che le disposizioni sono volte a rafforzare la sostenibilità di lungo periodo del sistema pensionistico. Nel caso questo poteva essere limitato al requisito dei 40 anni e ad una reintroduzione della flessibilità nel contributivo.
La ragione di un intervento più massiccio sta tutta nella necessità da un lato di mandare messaggi allEuropa e ai mercati finanziari, dallaltro dalla necessità di far cassa. Sono dirette a garantire il rispetto degli impegni internazionali con lUnione europea, dei vincoli di bilancio.
Le indicazioni delle autorità europee, spesso sollecitate dallinterno, non riguardano solo le quantità di correzione dei conti pubblici, ma anche i settori nei quali intervenire. Una patrimoniale ordinaria o un intervento sulle pensioni, o sul mercato del lavoro, non sono giudicate alla stessa stregua anche se producono gli stessi effetti sul bilancio. A prescindere da ciò che pensano Monti e Fornero, lintervento sulle pensioni, in primis sullanzianità, sarebbe stato ineluttabile per qualsiasi governo. Su questo scontiamo il nostro debito pubblico e scontiamo i tre anni di governo Berlusconi che hanno ridotto a zero la nostra credibilità in Europa.
Nella tabella seguente sono riportati gli importi dellintervento sul sistema pensionistico nei tre anni di manovra e negli anni fino al 2020 sulla base di quanto indicato nella Relazione Tecnica.
Lintervento sulle pensioni nella manovra Monti (milioni di euro)
|
2012 |
2013 |
2014 |
2015 |
2016 |
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
Minori spese |
-2.202 |
-5.003 |
-7.170 |
-9.964 |
-12.580 |
-15.354 |
-17.579 |
-19.300 |
-19.889 |
maggiori entrate contributive |
1.184 |
1.593 |
2.009 |
2.416 |
2.839 |
3.294 |
3.808 |
3.896 |
3.982 |
Saldo |
3.386 |
6.596 |
9.179 |
12.380 |
15.419 |
18.648 |
21.387 |
23.196 |
23.871 |
Minori entrate fiscali |
- 668 |
-1.547 |
-1.593 |
-1.793 |
-1.931 |
- 2.096 |
-2.263 |