Dal Patto che unisce al Patto che rompe

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Quello che si è appena chiuso è un ciclo decennale, iniziato con la firma del Patto di concertazione firmato da governo e parti sociali.
Allora l'Italia era sull'orlo della bancarotta, e nessuno credeva che sarebbe riuscita a stabilizzare i conti pubblici e l'inflazione in tempo per riuscire a soddisfare i famosi parametri di Maastricht e a partecipare fin dall'inizio alla moneta unica europea.

Quel percorso, invece, fu fatto, grazie ai governi di centro-sinistra e a sindacati che, lontani da un ruolo puramente rivendicazionista, hanno accettato di partecipare al risanamento del paese, hanno accettato che sui lavoratori si caricasse una parte (e, si può dire, la parte prevalente) del peso del risanamento.

In testa alle firme a quell'accordo c'era anche quella di Sergio Cofferati, l'uomo che oggi paradossalmente si cerca di dipingere come un estremista capace solo di dire "no". La forza di quell’accordo stava nell’unità fra le confederazioni sindacali e nel merito delle scelte che consentivano un passaggio storico nel modo di gestire l’economia e la poltica del paese. Il Patto per l’Italia oggi nasce sulla base di una grave rottura sindacale, e i suoi contenuti, al di là dell’articolo 18, difficilmente passeranno alla storia.

La rottura fra i sindacati confederali ha suscitato un ampio dibattito, a cui EL partecipa (con le quattro "Opinioni" che aprono i richiami della prima pagina)e invita i suoi lettori a partecipare.

Il governo ha inoltre presentato il Dpef (Documento di programmazione economica e finanziaria) 2003-2006. Fra i provvedimenti che vi si prefigurano, particolare attenzione merita quello sulla sanità che ipotizza, anche se in modo ancora indeterminato, la parziale reintroduzione delle mutue accanto (o, si dice, "in sostituzione") al Sistema sanitario nazionale. Anche questo è sembrato a EL un tema di grande importanza: vi si dedicano due articoli nella sezione "Stato sociale".

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Venerdì, 26. Luglio 2002
 

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