Il secondo rapporto dellOil. I disoccupati nel mondo sono aumentati di un terzo nel decennio 1993/2003 mentre il Pil è cresciuto del 3,2. Colpiti soprattutto giovani e donne. La popolazione attiva è sola la metà del totale della popolazione.
Lorganizzazione internazionale del lavoro (OIL) ha pubblicato in questi giorni il secondo rapporto sulle tendenze generali delloccupazione (Global Employment Trends). Il primo rapporto, pubblicato lanno scorso, presentava ed elaborava i dati del 2002, ora aggiornati con quelli del 2003, con una tempestività che non ha eguali nellambiente: basti ricordare che lIstat fa fatica a presentare, a tre anni di distanza, le prime elaborazioni dei dati rilevati nei censimenti 2001.
Il rapporto focalizza, come già il primo del 2003, il tema della disoccupazione. Occorre precisare che da tempo lOIL pubblica altri due rapporti paralleli, luno sul mercato del lavoro (Key indicators of the labour market) e laltro sulloccupazione (Wordl Employment Trends). Ma il nodo della disoccupazione, per il peso intollerabile che da tempo esso proietta sul percorso di sviluppo del sistema economico, costituisce il problema focale per chi si occupa di problemi del lavoro. E bene ricordare un fatto semplice ma regolarmente trascurato: ogni disoccupato equivale a una quantità di ricchezza virtuale, cioè possibile, non conseguita nella realtà.
Il modello di sviluppo non incide - Lincipit del rapporto presenta, utilizzando il prezioso accumulo di dati raccolti nel tempo dallOIL, il percorso del mercato mondiale negli anni 90. I disoccupati nel mondo sono aumentati nel decennio 1993/2003 da 140 a 186 milioni, cioè di un terzo. E questo in un periodo di non eccezionale espansione delleconomia, ma tuttavia con una crescita del prodotto lordo del 3,2% e delle esportazioni del 2,5% nel 2003 rispetto allanno precedente. I disoccupati sono attualmente il 6,2% delle forze del lavoro, che assommano nel mondo a 3 miliardi di individui, la metà dei 6 miliardi di abitanti del nostro pianeta. Il 6% di disoccupati costituisce certo assai più, forse il doppio, della disoccupazione frizionale che è insita in ogni sistema economico, ma la questione più importante è la staticità nel tempo e il modo nella quale essa risulta distribuita, per classi di popolazione e per distribuzione territoriale.
Le punte di disoccupazione, giovanile e femminile - Le punte della disoccupazione per grandi categorie sociali si concentrano su giovani e donne, con intensità molto diverse tra le diverse aree ed i singoli paesi del mondo. Nella media mondiale la disoccupazione giovanile è al 14%, quella femminile al 6%, meno ampia perché le donne spesso non entrano neppure nel mercato del lavoro restandone ai margini. Sia la disoccupazione giovanile sia quella femminile appaiono in crescita nel tempo.
In cifra su 186 milioni di disoccupati, 130 milioni, il 70%, sono giovani e donne; la metà della disoccupazione è costituita da giovani uomini e giovani donne. Questa distribuzione è cambiata assai poco in dieci anni. Naturalmente poi ogni Paese fa caso a se e spesso anche allinterno dei singoli paesi le differenze sono notevoli, ma la quota di disoccupazione giovanile non è mai meno del doppio di quella complessiva.
La disoccupazione giovanile ha le sue punte nellarea Medioriente/Nordafrica (oltre il 25%), in Africa ma anche nei paesi ex comunisti (intorno al 20%) mentre è bassissima nel Sudest asiatico (7%) nel quale la partecipazione al mercato del lavoro è ampia, ma la produttività del lavoro molto bassa. Tuttavia la disoccupazione giovanile è molto alta anche nellinsieme dei paesi industrializzati, con una media del 13%.
La disoccupazione femminile appare meno drammatica (dal 3% nel sudest asiatico al 10/12% nelle aree sottosviluppate, con una media del 6% nei paesi industrializzati), ma solo perché ampie fasce di donne non entrano neppure nel mercato della manodopera.
La popolazione attiva - Il fatto che la popolazione attiva costituisca solo la metà dellinsieme della popolazione è un fatto di base negativo, dovuto sia allinvecchiamento della popolazione, sia alla scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro, sia alle difficoltà dei giovani ad inserirsi nel ciclo produttivo.
La scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro assume valori drammatici nei paesi a cultura musulmana, tuttavia con notevoli differenze tra paesi di diverso orientamento e con un lento ma costante percorso di avanzamento. Le punte più basse, in termini di partecipazione percentuale allofferta di lavoro, appena più del 10%, si registrano in Algeria e Siria, mentre in Marocco e Kuwait si va oltre al 30%. Nel tempo, sia pure lentamente lentrata delle donne nel mercato del lavoro si va ampliando: ad esempio negli ultimi ventanni in Egitto la quota di partecipazione è aumentata dal 5% al 20%.
Nella media dei paesi industrializzati la partecipazione femminile al mercato del lavoro è del 50%, con ampie differenze che vanno dal 60% nei paesi del Nord-Europa al 45% nei paesi europei del Mediterraneo (Italia, Grecia, Turchia)
La produttività del lavoro in Asia e nei paesi ex comunisti Una delle caratteristiche delle economie dellAsia è la ampia partecipazione della popolazione al mercato del lavoro: 65/75%, contro la media del 50% nei paesi industrializzati. Questa tendenza si registra sia nei paesi che hanno avuto uno sviluppo consistente, quali ad esempio Singapore, Malesia, Thailandia, sia in quelli che sono rimasti nella stagnazione, quali ad esempio Bangladesh, Birmania, Cambogia. Si tratta quindi di un modello di sviluppo, ampiamente condiviso dai paesi maggiori dellarea Giappone, Cina, India che nel bene come nel male tende a coinvolgere molto ampiamente tutti gli strati della popolazione nel modello di sviluppo.
In senso opposto sono andate le tendenze nei paesi ex comunisti, nei quali, nel corso degli anni 90 la quota di popolazione in attività lavorativa è diminuita fortemente, dal 58,8% al 53,5%, con una perdita di 5,3 punti percentuali: nello stesso periodo la media dei paesi industrializzati passava dal 55,4% al 56,1, con un guadagno non esaltante ma comunque di 0,7 punti. Si è chiaramente delineato un meccanismo di radicale espulsione di forza lavoro, che ha portato a quote di disoccupazione a due cifre (media 14%), particolarmente a danno dei giovani (oltre il 20%) e delle donne, ed alla diminuzione di occupati nelle attività industriali a favore di un riflusso della manodopera occupata (precariamente) verso le campagne oltre che verso i servizi: tipico in Romania laumento percentuale delloccupazione nellagricoltura dal 30 al 40% del totale.
Limpatto delle nuove epidemie sulloccupazione Lespansione di fondo dellAIDS e quella subitanea della SARS sembrano aver avuto sulloccupazione influssi negativi pesanti, più ampi e più immediati di quelli indotti sul funzionamento del sistema economico nel suo insieme, ma anche forieri di influenze negative differite ma profonde e durevoli sul sistema economico.
Nellarea orientale asiatica la breve comparsa della Sars nel 2003 si stima abbia causato al perdita da 2 a 6 milioni di posti di lavoro (nel turismo, nel trasporto, ma anche in alcune produzioni), perdita secca nel giro di qualche settimana, mentre la ripresa richiederà mesi se non anni, che pesa dall1% al 3% sullincremento della disoccupazione a livello mondiale, quindi non poco.
Limpatto di fondo dellAIDS appare influente sulla struttura delloccupazione principalmente in Africa ma anche in alcuni paesi ex comunisti. Il tasso di rischio indotto sulla struttura delloccupazione dalla comparsa di squilibri grandi e piccoli, transitori o durevoli, comunque non previsti o imprevedibili, comincia a incidere in misura non trascurabile e crescente.
Martedì, 10. Febbraio 2004