Crisi Fiat: tanti piani, nessuna strategia

Finora si è discusso di alchimie finanziarie e di soluzioni-tampone, ma non c'è ancora l'onmbra di un progetto industriale in grado di rilanciare il settore dell'auto

La Fiat rimane in prognosi riservata. Perché i diversi “piani” approntati in queste settimane si limitano a suggerire soluzioni (più o meno ingegnose) per risolvere i problemi finanziari e trascurano completamente il punto cruciale: cioè come fare buone macchine e riuscire a venderle. Sembra quasi che per i terapeuti che si sono candidati a risanare la Fiat il problema della strategia industriale sia una sorta di optional. Un accessorio non indispensabile che, come l’”entendance” per Napoleone, può seguire. Può venire dopo.

Non è un caso che tutti coloro che potrebbero fare qualcosa per cercare di risolvere la crisi (governo, banche, famiglia Agnelli, finanzieri, aspiranti imprenditori e quant’altri) siano soprattutto interessati agli aggiustamenti finanziari ed alla connessa ridefinizione delle quote di proprietà, più che alle condizioni necessarie per produrre automobili competitive. Del tutto evanescente appare la strategia industriale del cosiddetto “piano di risanamento e rilancio”, proposto dai vertici del Lingotto del gruppo a sindacati e governo. In realtà, malgrado il titolo impegnativo, il “piano” non è altro che l’ennesimo programma di dimagrimento della produzione di auto. D’altra parte, la cassa integrazione straordinaria, gli ecoincentivi per incoraggiare la domanda, i contributi alla ricerca per innovare e migliorare il prodotto, sono i tradizionali ingredienti con cui, da più di tre decenni (cioè da quando anche il mercato dell'auto ha dovuto essere aperto) si è cercato di accompagnare l’inesorabile declino dell’azienda.

Di tanto in tanto, questo armamentario è stato integrato da svalutazioni competitive. Ma con l’entrata nell’euro le svalutazioni sono ormai precluse. Si è quindi ripiegato su più canoniche misure assistenziali. Però queste cure sono come il cortisone nelle crisi asmatiche. Può dare sollievo nelle fasi acute. Ma la sua azione è passeggera e, oltre tutto, non esente da inconvenienti. I sindacati, giustamente consapevoli che con simili rimedi non si sarebbe risanato l’ammalato, hanno insistito (per ora senza successo) per ottenere soluzioni più convincenti. Il governo, un po’ per cialtroneria, ed un po’ perché non poteva fare diversamente, ha invece condiviso le misure proposte dall’azienda. Si è soltanto limitato a chiedere qualche piccolo correttivo (con un occhio alle situazioni sociali e con l’altro a quelle elettorali) nella distribuzione territoriale dei tagli programmati.

La sostanza, ovviamente, non è cambiata e quindi nemmeno le prospettive dell’azienda. Dunque, nella migliore delle ipotesi, le misure adottate (assieme ad alcune cessioni per alleggerire la situazione debitoria del gruppo) potranno servire a guadagnare tempo ed arrivare al 2004, quando scatterà l’obbligo di GM ad acquistare il settore auto della Fiat. Cosa potrà avvenire da qui al 2004 e soprattutto quale potrà essere il futuro dell’auto in Italia dopo quella data resta avvolto nella nebbia.

Convinto, come molti, che il “piano di risanamento e di rilancio” non risanava e non rilanciava un bel nulla, si è fatto avanti Colaninno. Il suo “piano” è noto solo attraverso indiscrezioni di stampa, quindi dei dettagli non si conosce granché. Ma, da quel che si è capito, il primo punto della proposta Colaninno è che la Fiat dovrebbe decidere in tempi brevi se tentare di accordarsi anticipatamente con GM per l’esercizio del put, oppure se (al prezzo più alto possibile) liberare l’azienda americana dall’onere dell’acquisto. Comunque nell’uno e nell’altro caso la Fiat si dovrebbe forzatamente impegnare alla bonifica del settore auto. Anche solo per venderlo risanato.

Il secondo punto del piano Colaninno è che le risorse per gli investimenti necessari (a parte 1 milione di euro che metterebbe a disposizione lui, chiedendo in cambio la gestione dell’azienda) verrebbero reperite con la vendita di attività non legate al settore della produzione automobilistica, a cominciare dalla Toro Assicurazioni e dalla Fiat Avio. Con queste ed altre cessioni, ne potrebbe scaturire un gruppo molto più focalizzato sull’auto e quindi potenzialmente anche più in grado di competere. Questa, comunque, è l’opinione di Colaninno.

Negli ultimi giorni, al “piano” Colaninno si è aggiunta la proposta di Vitale & Associati. Si tratta di un documento di 25 pagine che da qualche giorno sarebbe sul tavolo del ministro del Tesoro e dei banchieri coinvolti nella crisi della Fiat. Come quello di Colaninno anche il “piano” Vitale si concentra soprattutto sugli aspetti finanziari e societari. Con due novità. La prima è che l’auto verrebbe scorporata dalla holding Fiat per costituire una nuova società da collocare in Borsa. La seconda è che nella nuova società viene prevista una significativa presenza di capitale pubblico nell’azionariato.

Senza entrare nei dettagli, in una prima fase l’assetto societario immaginato da Vitale prevede che al Tesoro vada il 33,7 per cento del capitale, alla General Motors (che attualmente detiene il 20 per cento di Fiat Auto) il 27 per cento, alla Fiat spa il 22,5 per cento, alle banche creditrici il 16,8 per cento. In un secondo tempo, al termine di una operazione di collocamento misto (azioni ed obbligazioni convertibili) il Tesoro risulterebbe sempre il principale azionista con il 25 per cento, seguito dalla General Motors con il 20 per cento, dalla Fiat spa con il 16,7 per cento, dalle banche con il 12,5 per cento. La quota sul mercato sarebbe pari al 25,8 per cento, ma potrebbe raggiungere il 42,5 per cento nel caso, assai probabile, che la famiglia Agnelli (e quindi la Fiat spa) dovesse decidere di uscire dall’auto.

Negli ultimi giorni, sulla scena della crisi Fiat ha infine fatto la sua comparsa (anche se per ora non ufficialmente) il finanziere bresciano Emilio Gnutti, sodale di Colaninno ai tempi della scalata a Telecom. Si dice che, contrariamente a Colaninno, il coinvolgimento di Gnutti non sarebbe alternativo al progetto del Lingotto e delle banche che, all’osso, è di fare arrivare Fiat Auto viva al 2004 . Comunque, quale che sia il progetto che Gnutti ha in testa, il suo affacciarsi nella crisi Fiat è un fatto che non può essere sottovalutato. Non può essere sottovalutato perché tra i soci della sua Hopa c’è la Fininvest (cioè Silvio Berlusconi, che non a caso si è tempestivamente incontrato con il finanziere bresciano). E non è difficile immaginare che la Fininvest sia presumibilmente più interessata al destino del Corriere della Sera e della Stampa, che a quello dell’auto.
Siamo tutti abbastanza “vecchi di questi boschi” per sapere che la soluzione della crisi Fiat comporterà un riassetto del capitalismo italiano. Quindi, a prescindere da ogni considerazione di carattere politico (ed anche da quelle relative al conflitto di interesse), nessuna sorpresa che Berlusconi si dia da fare per sostituire Agnelli nel ruolo che questi ha tradizionalmente occupato nel capitalismo italiano. L’importante però è avere ben chiaro che questa “competizione di ruolo” può essere una conseguenza, un effetto della crisi Fiat, ma non costituisce la soluzione della crisi. Non ha nulla a che fare con il rilancio del settore dell’auto. Infatti è più che probabile che il mantenimento ed il rilancio della produzione automobilistica in Italia comporti una modifica degli assetti proprietari della Fiat, ma, prima di ogni altra cosa, ha bisogno di nuove risorse (economiche ed imprenditoriali) e di nuovi progetti per fare auto migliori e più competitive.

Poiché questo è il punto, è del tutto evidente che per salvare la produzione automobilistica italiana non basta escogitare qualche soluzione alla crisi finanziaria della Fiat. Occorre soprattutto definire investimenti in nuovi modelli, strategie commerciali efficaci, rete di distribuzione e logistica efficiente. Occorre, in particolare, il management giusto. Insomma, è indispensabile una vera strategia industriale di cui, nei “piani” finora presentati, non c’è traccia.

Poiché siamo un paese senza memoria, può essere utile ricordare (agli immemori) che circa un anno fa la Fiat varò un aumento di capitale a sostegno del ricorrente “piano di risanamento e di rilancio”. Da allora sono passati tre amministratori delegati, tra piani “ufficiali” e almeno altri tre “ufficiosi” (Mediobanca, Colaninno e Vitale). L’unico risultato di tutti questi “piani” e di tutti questi avvicendamenti al vertice è stata una accelerazione nella perdita di quote di mercato da parte del gruppo Fiat.

Se questa esperienza può suggerire qualcosa è che senza un vero piano industriale non si va da nessuna parte. Di conseguenza, se questo problema non venisse finalmente e seriamente affrontato potremmo trovarci di fronte all’eventualità di vedere scomparire dall’ordine del giorno la “questione Fiat”. Non perché risolta. Ma perché si dovrà prendere atto che, nel frattempo, lentamente quanto inesorabilmente, la produzione automobilistica italiana sarà ormai diventata economicamente e socialmente irrilevante.

Flaiano, che conosceva bene l’indole degli italiani, sosteneva che : ”Ci sono molti modi per arrivare. Il migliore è di non partire”. Esattamente ciò che finora si è deciso di fare per il caso Fiat.

Giovedì, 16. Gennaio 2003
 

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