Crescita italiana, buio a Mezzogiorno

I modelli econometrici usati per spiegare la maggiore lentezza del nostro sviluppo rispetto a paesi simil come Francia e Germania trascurano quasi sempre una importante specificità: i gravissimi problemi del Sud, che pesa per un quarto sulla formazione del Pil
Ci sono coloro che prendono atto che il declino c'è ed è innegabile se si mettono a confronto i dati sulla crescita economica negli ultimi quattro decenni e i negazionisti, quelli che, magari in buona fede e/o per esorcizzarlo, dicono che non c'è oppure che c'è ma, essendo esso male comune di tutta l'Europa, è come se non ci fosse o si limitano ad analizzare solo le cause comuni: welfare generoso, rigidità del mercato del lavoro, sforzo di lavoro meno intenso che negli Stati Uniti, ecc.
 
Diverse e più approfondite dovrebbero essere le analisi degli economisti ma, non di rado, anche questi , anche con le migliori intenzioni, utilizzano modelli troppo aggregati che fanno vedere cose interessanti che trascurano o relegano all'orizzonte altre cause altrettanto importanti. Le cause di un fenomeno così complesso non sono mai semplici ed hanno specificità nazionali e locali.
 
Da circa 20 anni a questa parte, l'analisi degli economisti è condotta con riferimento principale al confronto tra le performance dell'Europa e degli Stati Uniti dopo la svolta europea dell'Atto unico verso il grande mercato unico e specialmente dopo che alcuni paesi si sono legati tra di loro prima con i parametri di Maastricht (1992) e poi con l'euro (2002).
 
Per spiegare la crescita più bassa dell'Europa lungo l'arco degli ultimi 10-15 anni si individuano e si discutono cause diverse: la pressione tributaria (più alta in Europa), la rigidità del mercato del lavoro, la resistenza dei sindacati ai cambiamenti, le diverse preferenze per il tempo libero degli americani e degli europei, gli effetti disincentivanti dello sforzo di lavoro di un welfare troppo generoso e, conseguentemente, il fatto che gli europei lavorano molte meno ore all'anno e  meno anni nella vita degli americani.
 
Qui non voglio analizzare e discutere la fondatezza e la rilevanza relative di tutti questi fattori. Occorrerebbe ben altro spazio. In un libro appena pubblicato ("Le radici del declino italiano. Occupazione e produttività in Italia nell'ultimo decennio")  Saltari e Travaglini considerano gli ultimi dieci anni,  analizzano offerta e domanda di lavoro, ritengono che due soli fattori  spiegano in via principale  il declino dell'Italia: la bassa produttività del lavoro e lo shock tecnologico, ossia, la caduta del tasso di crescita del progresso tecnologico di cui, invece, gli Stati Uniti hanno visto una forte espansione.
Queste due cause spiegano anche come, nonostante la moderazione salariale degli ultimi 12-13 anni e la flessibilità del lavoro introdotta più recentemente, la forte redistribuzione del reddito a favore dei profitti, l'economia italiana continua a declinare. 
 
Le cause individuate nel libro citato pesano molto ma da sole esse, a mio giudizio, non spiegano del tutto il complesso fenomeno che stiamo vivendo. Certamente, le condizioni del mercato del lavoro sono rilevanti. Dal lato dell'offerta si può tener conto della qualità delle risorse, della formazione, dei fattori organizzativi,  sindacali, della struttura del salario, delle regole e delle prassi negoziali che si riflettono subito dal lato della domanda che, a sua volta dipenderà dalla produttività, dal livello dei salari, dalle procedure di licenziamento, dalle prospettive di redditività, ecc.
 
Voglio aggiungere alcune cause specifiche che riguardano in primo luogo l'economia dell'Italia meridionale e, in parte, anche il resto del paese che, secondo me, contribuiscono a  far capire  meglio non solo il declino complessivo del nostro paese ma nella specie il differenziale di crescita rispetto agli altri paesi europei come Francia e Germania che riguardo a pressione fiscale,  caratteristiche del mercato del lavoro e del welfare sono molto simili a noi. L'Italia ha delle specificità che, secondo me, hanno un  peso differenziale non secondario.
  
- Bassa produttività del lavoro nel Sud anche se dal 1995 c'è stato un continuo recupero rispetto al Nord  arrestatosi proprio nel 2005 (Svimez, Rapporto 2006).
- Bassa competitività aggravata dal deficit infrastrutturale.
- Maggiore distanza dai mercati.
- Inefficienza della pubblica amministrazione (nazionale e locale). Le imprese corrompono per ottenere quello che serve e che altrove otterrebbero più velocemente e senza pagare. "La pubblica amministrazione nelle regioni meridionali e, in particolare, in Calabria è assolutamente inaffidabile. Non c'è un problema di infiltrazione della criminalità organizzata, ma di vera e propria sostituzione" - questo afferma Luigi De Sena  prefetto straordinario di Reggio Calabria alla presentazione dello "Studio sui pericoli di condizionamento della pubblica amministrazione da parte della criminalità organizzata" (al Cnel il 28.11.2006). E aggiunge: "l'inefficienza della pubblica amministrazione dà ampio spazio alla criminalità organizzata, all'interno di un sistema (istituzionale) assolutamente inefficiente" (Il Sole 24 Ore 29.11.2006).
 
La minore sicurezza a Sud comporta che le imprese meridionali devono pagare il pizzo alle organizzazioni criminali, la cosiddetta "tassa della mafia". Minore sicurezza in generale, in tutto il paese. Le imprese devono dotarsi di servizi di sicurezza nonostante che il nostro paese abbia 330.000 unità nelle forze dell'ordine e, su un piano strettamente numerico, si possa considerare uno Stato di polizia. "Chi chiede denaro non corre alcun rischio perché sa che nessuno lo denuncerà" afferma il Procuratore nazionale anti-mafia Pietro Grasso.
 
Nel Sud le mafie stanno sviluppando una nuova e fiorente attività, l'usura a danno delle imprese più deboli che vengono attirate in un meccanismo delinquenziale di riciclaggio di denaro sporco, false fatturazioni, emissioni di assegni a vuoto, ecc. (vedi di nuovo Rapporto Svimez 2006). Per via dei tempi lunghi delle indagini, della inefficienza del sistema giudiziario e delle recenti riduzioni dei tempi di prescrizione, il reato di usura rischia di rimanere impunito
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Il sistema bancario meridionale è meno efficiente di quello del Nord. Impone alle imprese un maggior costo del credito di quasi due punti (Svimez Rapporto 2006) . Ma fosse solo questo! Nel Sud e non solo lì, c'è l'inquinamento del sistema bancario. "In Sicilia, oltre al credito parallelo che sicuramente c'è - come a Napoli  e altrove - il problema più ricorrente è la complicità di funzionari compiacenti di istituti bancari con i malavitosi. La talpa o 'l'amico' nell'agenzia della banca più vicina garantiscono a Cosa Nostra fondi disponibili, riciclaggio più o meno garantito, operazioni senza troppi sospetti: saltano così tutte le regole". Così Domenico Bonavita, capo della DIA di Caltanissetta.
 
La fiscalità  non differenziata in realtà è penalizzante per le imprese meridionali che devono subire oneri differenziali illegittimi ed impropri. La tesi di Prescott secondo cui lo sviluppo dell'economia europea e di quella italiana è dovuta ad un'alta pressione tributaria in questi termini assume maggiore verosimiglianza. Dal 1994 è cessato l'intervento straordinario a favore del Mezzogiorno. Si sono impiegati 4-5 anni per mettere a punto le procedure della cosiddetta programmazione negoziale, per prevedere nuove forme di incentivi. Poi per motivi vari i finanziamenti sono stati bassi e in piccola parte "dirottati" sul progetto del Ponte sullo Stretto di Messina. L'operazione inversa è operata ora dal governo Prodi.
 
Le imprese meridionali utilizzano per lo più lavoro a tempo determinato. Avranno minori benefici dal provvedimento di riduzione del cuneo fiscale. Utilizzano lavoro a tempo determinato facendo di necessità virtù perché il costo del lavoro a tempo indeterminato è comunque molto più alto (pressoché doppio). Investono poco o niente nella  formazione ed aggiornamento dei lavoratori. Prolungano nel tempo l'utilizzo di personale a bassa produttività. Non riescono ad uscire da un circuito perverso di bassi salari e bassa produttività.
 
Con tale situazione di illegalità, con tali esternalità negative non è sorprendente che imprese del Nord non vadano ad investire nel Mezzogiorno e sorprende ancor meno che investimenti esteri non vadano a localizzarsi nel Sud come del resto non sono attratti dalle altre parti del paese. Una fiscalità differenziale per il Sud è condizione necessaria ma non sufficiente a compensare il maggior costo delle "diseconomie" esterne. Se a questi oneri di carattere interno si aggiungono gli effetti della globalizzazione, dell'apertura dei mercati, della maggiore concorrenza, della delocalizzazione, ci si meraviglia come il sistema economico caratterizzato da piccole e medie imprese possa ancora sopravvivere. Se si considera che, per diversi motivi, nonostante le agevolazioni fiscali (imposta di successione) si è interrotto il processo di crescita dimensionale delle imprese (da piccole a medie), si capisce come le piccole e medie imprese siano in grosso affanno in tutto il paese ed in agonia nel Sud.
 
Se il Sud  pesa sull'economia italiana poco meno di un quarto in termini di formazione del valore aggiunto, è chiaro che tutti questi fattori  possono contribuire a  spiegare il fatto che l'economia italiana cresca meno della media di quella europea (area euro) o addirittura ristagni come nel 2005. Seppure il confronto diretto Italia-USA susciti in me molte perplessità e, quindi, lo prendo con grande cautela, suddetti fattori nazionali e locali aiutano a meglio comprendere come l'economia italiana sia cresciuta meno di un quarto di quarto di quanto è cresciuta  quella americana dal 2001 a questa parte. Ci sono delle cause specifiche (nazionali e locali) che certe analisi econometriche non riescono a cogliere.
 
L'Italia è una delle quattro grandi economie dell'Europa. Cresce meno delle altre economie europee, anche per via del peso del suo Mezzogiorno. Contribuisce ad abbassare il tasso di crescita complessivo dell'Europa. Da giardino rischia di diventare il fardello dell'Unione.
(Vincenzo Russo è docente di Finanza pubblica territoriale e Scienza delle Finanze alla Sapienza di Roma)
Sabato, 16. Dicembre 2006
 

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