I capitoli precedenti documentano a profusione il crollo di credibilità, d'influenza e d'immagine subito dal paese nell'ultimo quinquennio. Solo gli storici diranno quanto era dovuto a cause strutturali e quanto è stato determinato dalle politiche dell'ultimo governo. Certo è che - analizzando le politiche dell'ultimo governo - traspare una sua incapacità di valutare la gravità della situazione e reagire di conseguenza. Anzi, negli ambienti governativi si respirava fin quasi al termine del Quinquennio un'aria esaltata, euforica, quasi di "sfida ideologica" e di indifferenza alle critiche di mezzo mondo. Col cambio di governo arriva anche alla Farnesina l'ora delle domande, alcune forzatamente scabrose, e delle risposte, tutte auspicabilmente costruttive.
Domanda
Ai funzionari del MAE, ai giovani in particolare, va posta una domanda difficile ma obbligata: qual è stata la corresponsabilità del ministero durante il Quinquennio?
Risposta
Negli alti gradi dell'Amministrazione si è diffuso il convincimento di essere estranei a questo plateale fallimento della nostra politica estera e comunque di aver fatto il possibile per limitare i guasti. Ebbene, se così fosse, vorrebbe dire che il MAE è diventato ininfluente nella conduzione della politica estera e che, pertanto, aveva ragione Tremonti a decurtarne il bilancio. Noi invece riteniamo che il MAE debba assumersi alcune responsabilità; proviamo ad elencarle.
Informare. I diplomatici in servizio all'estero hanno il compito di osservare e riferire. L'abbiamo fatto? Apriamo gli archivi e verifichiamo se i rapporti da noi inviati a Roma registravano fedelmente (è un nostro dovere) il pensiero critico espresso da esponenti politici, imprenditoriali, intellettuali stranieri sul nostro governo.
Consigliare. I diplomatici in servizio all'estero e a Roma hanno l'ovvio compito di consigliare e anche sconsigliare la dirigenza governativa dal dire o fare certe cose. L'abbiamo fatto? Questo nostro compito era tanto più doveroso in quanto era evidente la carenza di Weltanschauung di chi ci governava.
Eseguire. Qui il ragionamento si fa più complesso: non siamo forse lì per eseguire le direttive del governo in carica? non siamo degli "honest gentlemen who lie abroad for our Country"? Sì, ma c'è modo e modo di "mentire". Un sagace diplomatico interpreta ed applica le direttive nell'interesse e non contro l'interesse del paese. L'abbiamo fatto? Esiste inoltre, come in tutte le professioni, una linea deontologica che non dobbiamo oltrepassare: chiamiamola "linea Cook" (dal nome del ministro inglese che si dimise piuttosto che condividere la politica di Blair in Medio Oriente) o più italicamente "linea Contarini"(32). L'abbiamo per caso oltrepassata?
Domanda
Ai funzionari del MAE, ai giovani in particolare, va posta una domanda difficile ma obbligata: qual è stata la corresponsabilità del ministero durante il Quinquennio?
Risposta
Negli alti gradi dell'Amministrazione si è diffuso il convincimento di essere estranei a questo plateale fallimento della nostra politica estera e comunque di aver fatto il possibile per limitare i guasti. Ebbene, se così fosse, vorrebbe dire che il MAE è diventato ininfluente nella conduzione della politica estera e che, pertanto, aveva ragione Tremonti a decurtarne il bilancio. Noi invece riteniamo che il MAE debba assumersi alcune responsabilità; proviamo ad elencarle.
Informare. I diplomatici in servizio all'estero hanno il compito di osservare e riferire. L'abbiamo fatto? Apriamo gli archivi e verifichiamo se i rapporti da noi inviati a Roma registravano fedelmente (è un nostro dovere) il pensiero critico espresso da esponenti politici, imprenditoriali, intellettuali stranieri sul nostro governo.
Consigliare. I diplomatici in servizio all'estero e a Roma hanno l'ovvio compito di consigliare e anche sconsigliare la dirigenza governativa dal dire o fare certe cose. L'abbiamo fatto? Questo nostro compito era tanto più doveroso in quanto era evidente la carenza di Weltanschauung di chi ci governava.
Eseguire. Qui il ragionamento si fa più complesso: non siamo forse lì per eseguire le direttive del governo in carica? non siamo degli "honest gentlemen who lie abroad for our Country"? Sì, ma c'è modo e modo di "mentire". Un sagace diplomatico interpreta ed applica le direttive nell'interesse e non contro l'interesse del paese. L'abbiamo fatto? Esiste inoltre, come in tutte le professioni, una linea deontologica che non dobbiamo oltrepassare: chiamiamola "linea Cook" (dal nome del ministro inglese che si dimise piuttosto che condividere la politica di Blair in Medio Oriente) o più italicamente "linea Contarini"(32). L'abbiamo per caso oltrepassata?
Domanda
Non vi sembra di dare un giudizio eccessivamente severo e di addossare responsabilità troppo grandi sulle spalle di un'amministrazione? Molti membri del passato governo non erano forse irrefrenabili nelle loro "esternazioni"?
Non vi sembra di dare un giudizio eccessivamente severo e di addossare responsabilità troppo grandi sulle spalle di un'amministrazione? Molti membri del passato governo non erano forse irrefrenabili nelle loro "esternazioni"?
Risposta
Anzitutto il MAE è composto di diplomatici, non di impiegati del catasto. Se è vero che gran parte del governo mancava di Weltanschauung politica e culturale, a maggior ragione avremmo dovuto mettere i nostri ministri in allerta. Li abbiamo invece circondati di false attenzioni e di illusorie rassicurazioni sul prestigio del paese nel consesso internazionale. Facevamo quadrato attorno ai tre nostri ultimi ministri degli Esteri per impedire loro di vedere la realtà di un naufragio incombente. Pretoriani eravamo, non diplomatici.
Anzitutto il MAE è composto di diplomatici, non di impiegati del catasto. Se è vero che gran parte del governo mancava di Weltanschauung politica e culturale, a maggior ragione avremmo dovuto mettere i nostri ministri in allerta. Li abbiamo invece circondati di false attenzioni e di illusorie rassicurazioni sul prestigio del paese nel consesso internazionale. Facevamo quadrato attorno ai tre nostri ultimi ministri degli Esteri per impedire loro di vedere la realtà di un naufragio incombente. Pretoriani eravamo, non diplomatici.
Ora ne paghiamo le conseguenze. La Farnesina, oltre a perdere fondi e funzioni, ha smarrito l'anima. Il dicastero deputato più degli altri a presidiare il "fronte esterno" del paese nel suo tragitto verso la globalizzazione sembra ripiegato in se stesso: un organismo autoreferenziale, introflesso, quasi specchio di un paese invecchiato. Molti italiani conoscono il MAE solo attraverso la sua pur splendida Unità di Crisi.
Oggi l'errore più grave sarebbe quello di scrollarsi di dosso ogni responsabilità e far finta di niente. Verremmo confinati ad un ruolo sempre più protocollare. Urge invece un esercizio collettivo di "soul searching", sotto la guida del nuovo ministro. Sarà un esercizio doloroso, perché qualcuno dovrà pur pagare - come in ogni azienda o istituzione che si rispetti - per il fallimento diplomatico dell'ultimo quinquennio.(33) Un esercizio doloroso ma rigenerativo. Il medico pietoso - si sa - manda la piaga in cancrena e noi giovani diplomatici non vogliamo morire di setticemia.
Domanda
Parafrasando Rosmini, se doveste elencare le cinque piaghe di cui soffre la Farnesina, quali indichereste in una breve lista?
Risposta
Per rispondere in stile rosminiano, diremmo che soffriamo di cinque mortificazioni.
1. La mortificazione di funzioni proprie del MAE. Ad opera anzitutto della presidenza del Consiglio, che ci ha sottratto i principali dossier, talvolta per farne copioni da avanspettacolo da recitare sulle scene all'estero. Ma non dimentichiamo gli altri scippi: il ministero dell'Economia ci ha sottratto la facoltà di operare variazioni compensative di bilancio (che è un indispensabile strumento di flessibilità); quello delle Attività produttive si è arrogato responsabilità concorrenti nella gestione degli Sportelli Unici all'estero; quello per gli Italiani nel Mondo ci ha de facto sottratto la gestione della rete consolare.
2. La mortificazione del bilancio. L'attività ministeriale è paralizzata da tagli che hanno toccato fino al 50% dei fondi e il 60% per il capitolo delle missioni all'estero. Come se non bastasse, il ministero dell'Economia ci proibisce di impegnare gli stanziamenti approvati se non per 1/12 ogni mese, con immaginabili intoppi nei flussi di spesa. Noi saremmo pure disposti ad "amministrare la scarsità di risorse", ma non a queste condizioni.
3. La mortificazione della Cooperazione allo Sviluppo. Uno dei cardini della nostra politica estera è stato quasi azzerato, costringendo l'OCSE, la Commissione europea e lo stesso Kofi Annan a manifestare per iscritto tutto il loro sconcerto. Finiti tra gli ultimi nel novero dei paesi donatori; marginalizzati gli esperti di ruolo per far posto a ben 162 esterni reclutati mediante "convenzioni" poco "convincenti"; nessun "restyling" della Legge 49 ormai obsoleta. O meglio, un "restyling" c'è stato, è costato 6 milioni di euro, ma ne ha beneficiato solo la sede del direttore generale della Cooperazione.
4. La mortificazione dell'attività culturale all'estero. Benché amiamo definirci la "superpotenza culturale" del pianeta, alla promozione della cultura italiana all'estero devolviamo non più del 10% del bilancio del MAE (che è già di per sé uno dei più esigui dell'intero bilancio statale). Inoltre la Legge 401 è vecchia di 16 anni e non prevede la mobilitazione di tutte le risorse e le strutture pubbliche e private. Per non menzionare le degradanti nomine clientelari "di chiara fama" negli Istituti di Cultura o i fondi spesi per celebrare all'estero il 25° anniversario di un Pontificato.
5. La mortificazione delle risorse umane. Ultima nella lista ma di certo non nelle priorità è l'esigenza di valorizzare la varietà professionale di chi lavora alla Farnesina. E' una ricchezza troppo spesso trascurata - a volte umiliata - dal sistema vattaniano di cooptazione. Si sa che il sistema premiava la fedeltà al Capo, non la professionalità. "La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle ma in noi stessi, che siamo servi " - dice Cassio nel "Giulio Cesare" shakespeariano.
Domanda
Le piaghe possono essere curate. Quali terapie proporreste per risollevare la Farnesina e quali per recuperare la posizione che spetta al paese nel mondo?
2. La mortificazione del bilancio. L'attività ministeriale è paralizzata da tagli che hanno toccato fino al 50% dei fondi e il 60% per il capitolo delle missioni all'estero. Come se non bastasse, il ministero dell'Economia ci proibisce di impegnare gli stanziamenti approvati se non per 1/12 ogni mese, con immaginabili intoppi nei flussi di spesa. Noi saremmo pure disposti ad "amministrare la scarsità di risorse", ma non a queste condizioni.
3. La mortificazione della Cooperazione allo Sviluppo. Uno dei cardini della nostra politica estera è stato quasi azzerato, costringendo l'OCSE, la Commissione europea e lo stesso Kofi Annan a manifestare per iscritto tutto il loro sconcerto. Finiti tra gli ultimi nel novero dei paesi donatori; marginalizzati gli esperti di ruolo per far posto a ben 162 esterni reclutati mediante "convenzioni" poco "convincenti"; nessun "restyling" della Legge 49 ormai obsoleta. O meglio, un "restyling" c'è stato, è costato 6 milioni di euro, ma ne ha beneficiato solo la sede del direttore generale della Cooperazione.
4. La mortificazione dell'attività culturale all'estero. Benché amiamo definirci la "superpotenza culturale" del pianeta, alla promozione della cultura italiana all'estero devolviamo non più del 10% del bilancio del MAE (che è già di per sé uno dei più esigui dell'intero bilancio statale). Inoltre la Legge 401 è vecchia di 16 anni e non prevede la mobilitazione di tutte le risorse e le strutture pubbliche e private. Per non menzionare le degradanti nomine clientelari "di chiara fama" negli Istituti di Cultura o i fondi spesi per celebrare all'estero il 25° anniversario di un Pontificato.
5. La mortificazione delle risorse umane. Ultima nella lista ma di certo non nelle priorità è l'esigenza di valorizzare la varietà professionale di chi lavora alla Farnesina. E' una ricchezza troppo spesso trascurata - a volte umiliata - dal sistema vattaniano di cooptazione. Si sa che il sistema premiava la fedeltà al Capo, non la professionalità. "La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle ma in noi stessi, che siamo servi " - dice Cassio nel "Giulio Cesare" shakespeariano.
Domanda
Le piaghe possono essere curate. Quali terapie proporreste per risollevare la Farnesina e quali per recuperare la posizione che spetta al paese nel mondo?
Risposta
Ovviamente ci sono scelte politiche che non spetta a noi fare. Ma se ci è consentito esporre comunque un decalogo delle terapie, non ci tiriamo indietro.
1. La prima medicina è l'Europa. Per noi italiani e per la nostra economia "nulla salus extra Europam". A Bruxelles e in tutte le capitali della UE si è tirato un corale sospiro di sollievo a conclusione di un quinquennio vissuto all'insegna dell'euro-scetticismo. Saremo quindi accolti a braccia aperte, ma dovremmo "corrispondere" all'abbraccio dandoci da fare noi per riaccendere il motore dell'integrazione europea. Ci si offrono due scadenze propizie: il cinquantenario della firma dei Trattati di Roma (marzo 2007) e il semestre di presidenza tedesca.
2. Come seconda priorità va recuperato un rapporto più dignitoso con gli Stati Uniti. Agli americani non piace sentirsi dire: "Io sto sempre dalla parte degli Stati Uniti ancor prima di sapere come la pensano". Se in Europa conviene modellarci sulle virtù tedesche, nel rapporto transatlantico conviene modellarci sulle virtù spagnole. Tanto più che a Washington sta per spuntare l'alba di un "New Deal" democratico.
3. Va rapidamente ristabilita in Medio Oriente la nostra tradizionale "equivicinanza" con arabi e israeliani, oggi tutta squilibrata dal lato di Israele. Solo così potremo riacquistare quel ruolo - anche fuori del "Quartetto" - che abbiamo avuto fino in tempi recenti dialogando con Hezbollah, Siria e Hamas (tutti interlocutori imprescindibili se si vuole la pace in Medio Oriente). Lo stesso vale per l'Iran.
4. Dispiegare un nostro contingente militare in Iraq è stato un tragico errore, che potevamo ma non abbiamo voluto evitare. Ora sarebbe "diabolico" perseverare. Occorre evacuare completamente il campo per poi negoziare con le autorità locali i modi più idonei a contribuire con cooperanti civili alla ricostruzione dell'area.
5. La nostra ingente presenza militare nei Balcani non è adeguatamente "ricompensata" in termini politici (né forse in termini economici). Dovremmo utilizzare appieno il biennio 2007/08 in seno al Consiglio di Sicurezza per partecipare più incisivamente al riassetto politico dell'area balcanica. Ovviamente il biennio nel Consiglio di Sicurezza dovrebbe essere da noi ben speso anche per contribuire alla riforma delle Nazioni Unite e per gettare qualche nuovo seme in favore del seggio europeo nel CdS.
6. Il G8 è l'unico "direttorio" di rilievo in cui l'Italia sia ancora presente. Non andrebbe persa l'occasione per patrocinare l'ammissione al G8 di Cina e India e al contempo suggerire formule innovative che ne stemperino l'alone di "oligarchia".
7. L'Aiuto Pubblico allo Sviluppo va dotato di nuovi strumenti legislativi, finanziari e operativi affinché torni ad essere un cardine della politica estera italiana. Il dibattito è in corso da tempo nel paese ed è ricco di proposte e idee innovative: tra queste dovrebbe assumere maggiore spazio il ricorso alla leva fiscale, pur in misura ridotta, per ovviare (come in Francia) alle restrizioni del bilancio statale. Solo così saremo in grado di ottemperare agli impegni comunitari e onusiani.
8. L'export italiano e la promozione culturale all'estero sono due facce della stessa medaglia, per un paese come il nostro. In entrambi i campi difettiamo di capacità di integrazione (commerciale per conquistare mercati esteri) e di dialogo (inter-culturale). Il MAE dovrebbe diventare una fucina di nuove idee per imparare anche da altri paesi a "fare sistema".
9. Mai l'immagine dell'Italia si è così deteriorata dalla fine del fascismo in poi. Il MAE dovrebbe farsi carico di un programma di promozione dell'immagine del paese, articolato in due fasi: una prima fase di indagine curata dalle nostre rappresentanze e quindi analizzata a Roma con l'aiuto di esperti; una seconda fase, di azione promozionale lanciata da Roma e costantemente seguita da un osservatorio permanente. Non è un'idea peregrina: è un programma già realizzato in Spagna con evidente successo.
10. Sarebbe utile - almeno in questa prima fase rifondativa - nominare degli "ambasciatori itineranti" per area geografica o per settore, incaricati di illustrare le nuove "policies" di un governo necessariamente nato all'insegna della discontinuità con quello precedente. Ambasciatori o comunque missioni speciali di questo genere appaiono necessarie in Medio Oriente, nei Balcani, in America Latina e in settori come l'ambiente, i diritti umani, il terrorismo.
Per riflettere sull'insieme delle tematiche di politica estera sarebbe benvenuta una Conferenza, che segni una tappa storica come quella che organizzò lo IAI quaranta anni fa a Roma. Gli atti di quella lontana Conferenza si leggono ancora oggi con profitto.
2. Come seconda priorità va recuperato un rapporto più dignitoso con gli Stati Uniti. Agli americani non piace sentirsi dire: "Io sto sempre dalla parte degli Stati Uniti ancor prima di sapere come la pensano". Se in Europa conviene modellarci sulle virtù tedesche, nel rapporto transatlantico conviene modellarci sulle virtù spagnole. Tanto più che a Washington sta per spuntare l'alba di un "New Deal" democratico.
3. Va rapidamente ristabilita in Medio Oriente la nostra tradizionale "equivicinanza" con arabi e israeliani, oggi tutta squilibrata dal lato di Israele. Solo così potremo riacquistare quel ruolo - anche fuori del "Quartetto" - che abbiamo avuto fino in tempi recenti dialogando con Hezbollah, Siria e Hamas (tutti interlocutori imprescindibili se si vuole la pace in Medio Oriente). Lo stesso vale per l'Iran.
4. Dispiegare un nostro contingente militare in Iraq è stato un tragico errore, che potevamo ma non abbiamo voluto evitare. Ora sarebbe "diabolico" perseverare. Occorre evacuare completamente il campo per poi negoziare con le autorità locali i modi più idonei a contribuire con cooperanti civili alla ricostruzione dell'area.
5. La nostra ingente presenza militare nei Balcani non è adeguatamente "ricompensata" in termini politici (né forse in termini economici). Dovremmo utilizzare appieno il biennio 2007/08 in seno al Consiglio di Sicurezza per partecipare più incisivamente al riassetto politico dell'area balcanica. Ovviamente il biennio nel Consiglio di Sicurezza dovrebbe essere da noi ben speso anche per contribuire alla riforma delle Nazioni Unite e per gettare qualche nuovo seme in favore del seggio europeo nel CdS.
6. Il G8 è l'unico "direttorio" di rilievo in cui l'Italia sia ancora presente. Non andrebbe persa l'occasione per patrocinare l'ammissione al G8 di Cina e India e al contempo suggerire formule innovative che ne stemperino l'alone di "oligarchia".
7. L'Aiuto Pubblico allo Sviluppo va dotato di nuovi strumenti legislativi, finanziari e operativi affinché torni ad essere un cardine della politica estera italiana. Il dibattito è in corso da tempo nel paese ed è ricco di proposte e idee innovative: tra queste dovrebbe assumere maggiore spazio il ricorso alla leva fiscale, pur in misura ridotta, per ovviare (come in Francia) alle restrizioni del bilancio statale. Solo così saremo in grado di ottemperare agli impegni comunitari e onusiani.
8. L'export italiano e la promozione culturale all'estero sono due facce della stessa medaglia, per un paese come il nostro. In entrambi i campi difettiamo di capacità di integrazione (commerciale per conquistare mercati esteri) e di dialogo (inter-culturale). Il MAE dovrebbe diventare una fucina di nuove idee per imparare anche da altri paesi a "fare sistema".
9. Mai l'immagine dell'Italia si è così deteriorata dalla fine del fascismo in poi. Il MAE dovrebbe farsi carico di un programma di promozione dell'immagine del paese, articolato in due fasi: una prima fase di indagine curata dalle nostre rappresentanze e quindi analizzata a Roma con l'aiuto di esperti; una seconda fase, di azione promozionale lanciata da Roma e costantemente seguita da un osservatorio permanente. Non è un'idea peregrina: è un programma già realizzato in Spagna con evidente successo.
10. Sarebbe utile - almeno in questa prima fase rifondativa - nominare degli "ambasciatori itineranti" per area geografica o per settore, incaricati di illustrare le nuove "policies" di un governo necessariamente nato all'insegna della discontinuità con quello precedente. Ambasciatori o comunque missioni speciali di questo genere appaiono necessarie in Medio Oriente, nei Balcani, in America Latina e in settori come l'ambiente, i diritti umani, il terrorismo.
Per riflettere sull'insieme delle tematiche di politica estera sarebbe benvenuta una Conferenza, che segni una tappa storica come quella che organizzò lo IAI quaranta anni fa a Roma. Gli atti di quella lontana Conferenza si leggono ancora oggi con profitto.
Ipse dixit
"Cosa significa una politica estera etica? Significa regole che valgono per tutti, senza doppi standard. Significa una politica estera che tenga conto del rispetto dei diritti umani nell'export di armamenti. Che s'impegni per il disarmo, nucleare e convenzionale. Che penalizzi l'autoritarismo. Che cerchi di rafforzare gli organismi multilaterali. Che mantenga le promesse. Che sappia recuperare dalla tradizione occidentale, oltre al concetto di libertà, anche quello di giustizia: impegnandosi a risolvere le situazioni di sopraffazione che oggi angosciano tante coscienze e ingrossano le file degli estremisti. "
(Intervista a Romano Prodi su Limes n. 1/2006)
(Intervista a Romano Prodi su Limes n. 1/2006)
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Note
(32) Salvatore Contarini, Segretario Generale del Ministero degli Esteri dal 1919 al 1926, giganteggia tra i protagonisti della nostra storia diplomatica per aver tenuto a bada Mussolini nei suoi primi anni di spericolata conduzione della politica estera, quando Mussolini Presidente del Consiglio si era tenuto anche la delega degli Esteri. Contarini, allorché si rese conto di non poterlo più "contenere", preferì dimettersi.
(33) Vinte le elezioni il governo Zapatero non aspettò più di tre mesi per sostituire l'ambasciatore spagnolo a Washington con una personalità politico-diplomatica di grande caratura, Carlos Westendorp. Madrid intese in tal modo dare quel segno di discontinuità necessario dopo il governo Aznar. Washington concesse il gradimento rispettando in tacita ammirazione il senso dello Stato di un governo che si dichiara alleato, ma che pretende pari dignità. E l'Italia?
Giovedì, 27. Luglio 2006