Come si fanno i conti del federalismo

Le funzioni ai diversi livelli dovrebbero essere attribuite attraverso “coefficienti di localizzazione”, ossia indicatori che tengono conto delle economie di scala, della rapidità dei processi decisionali, dei meccanismi di controllo delle scelte e altri fattori. Tutto ciò è stato ignorato nel dibattito parlamentare. Si prepara un futuro fosco di debiti

Gli interventi anti-crisi del Governo procedono a pezzi e bocconi (o a coriandoli, in clima di Carnevale), sotto la pressione di singole categorie, senza un'ombra di programmazione. Frattanto le Camere sono impegnate nell'approvazione di una legge sul federalismo fiscale, da realizzare in un settennio: il compagno Stalin ride nella tomba, nel ricordo dei suoi Piani. Se e quando la diaspora fiscale entrasse in vigore senza una griglia programmatoria, ogni cittadino tenderà l'orecchio con ansia per cogliere i rintocchi della campana dei costi.

L'approvazione al Senato di questa legge quadro  ha dato la stura ad una serie di commenti discordanti: il PD si è astenuto, ma anche....; la Lega ha salutato l'ennesimo evento "epocale" (!); Casini, per un quinquennio fedele alleato di un partito secessionista, ha espresso la sua contrarietà; Luca Ricolfi, su La Stampa del 22 gennaio, paventa "rischi di flop"; la Commissione Europea, usando un termine molto gradito ai giornalisti di destra, "bacchetta" l'Italia, invitandola a non sforare ulteriormente i conti pubblici. La comica finale, come prevedibile, tocca al Ministro Tremonti, che confessa alle Camere la sua incapacità di calcolare i costi, poichè si tratta di un sistema “olistico” (come un certo tipo di massaggio termale).

 
Si ha l'impressione che la spinta al federalismo fiscale sia dettata più da una forma di campanilismo (che, per la Lega, è il puffo erede del gigante della secessione) che da una impostazione economicamente valida della scelta. La difficoltà nel calcolo dei costi deriva dal fatto che, pur trattandosi di una legge quadro, latitano i criteri economici in base ai quali vengono attribuite le funzioni e le corrispondenti coperture ai vari livelli di governo.
 

Nell'elaborazione dottrinaria della politica economica europea e, più in generale, nei dibattiti sul fisco negli Stati federali si è discusso di finanza multi-strato o multi-livello. Il principio generale adottato dalla Commissione europea è quello della “sussidiarietà”: ad ogni livello spettano le funzioni che possono essere svolte in modo più efficace e a costi più contenuti. Come rilevavo in un mio testo di alcuni anni or sono (cfr: Rosita Donnini, Strategie della Politica Economica Europea, Manni ed, 2004, pag, 14 e segg.), l'imputazione a ciascun livello delle rispettive funzioni dovrebbe essere correlata ai “coefficienti di localizzazione”. Si tratta di indicatori che tengono conto delle economie di scala, della rapidità dei processi decisionali, dei meccanismi di controllo delle scelte, dei cosiddetti effetti di spill-over (vantaggi o svantaggi proiettati al di fuori di certi confini amministrativi; in altre parole, economie e diseconomie esterne).

Nel caso italiano il coefficiente minimo, e cioè la minore localizzazione, si riscontra per la politica monetaria, la gestione del debito pubblico, gli accordi commerciali con Stati esteri, le grandi infrastrutture, le funzioni fondamentali dello Stato. A medio livello si collocano una parte della politica ambientale, di quella turistica (anche se gli operatori del settore invocano la politica del "sistema paese"), e una parte della politica industriale, e cioè quella che riguarda, appunto, la localizzazione degli stabilimenti. Anche in questo caso, però, il localismo non sempre paga, perchè potrebbe accrescere i costi della logistica. Al massimo livello di territorialità si collocano la politica urbanistica e, in parte, quella agricola, soprattutto dopo il riconoscimento dell'importanza, in termini di qualità e di costi, dell'offerta di prodotti a chilometri zero.

Di questi criteri, delle sinergie o conflittualità dei vari livelli, dei metodi di calcolo - che pure avevano dato luogo negli ultimi decenni a studi approfonditi - non troviamo traccia significativa nel dibattito parlamentare. Eppure dovrebbe esser chiaro che qualunque distorsione di livello accresce i costi. Inoltre negli anni scorsi si erano riscontrati esempi contrari al localismo campanilistico, quando ci si accorse, nella Sanità, che i costi delle stesse siringhe variavano come da 1 a 10 da una Regione all'altrai; tanto che si tende a fare sempre più ricorso a "Centrali Acquisti" a livello nazionale, come la Consip.

 
A parte il dubbio funzionamento del meccanismo perequativo, è sorprendente (ma non troppo) il fatto che la furia di acquisire funzioni dello Stato "centralista" non abbia toccato il pagamento degli interessi sui titoli pubblici che, per la quota dei sottoscrittori italiani, si concentrano tra il Veneto e la Lombardia. Per la lotta all'evasione, è risibile la tesi secondo la quale il Comune di Arcore sarebbe meglio in grado di controllare le multiformi attività di un suo illustre residente; così come gli esempi di inefficienza e corruzione diffusa recentemente forniti da enti locali, non solo meridionali, portano ben poca acqua al mulino federale.
 

Un'applicazione di puro buonsenso dei coefficienti di localizzazione, delle economie di scala e del principio di sussidiarietà (tenendo conto dell'impatto attuale e futuro delle nuove tecnologie) dovrebbe portare ad una delega di funzioni agli enti locali molto minore di quella prevista e, forse, addirittura di quella attuale, considerando anche quelle che sempre più verranno trasferite all'Unione Europea.

Se, come credo, si tratta soltanto di un'operazione di immagine, dubito che nel dibattito alla Camera emergano miglioramenti sostanziali nel senso indicato. Ma allora, continuando con il passo del gambero (l'Italia è uno dei pochi Paesi in cui il federalismo non è uno stadio aggregante di politiche economiche minori, ma si muove nella direzione opposta), a quegli amministratori che in un domani fosco di nuvole di debito e di potenziali aumenti della pressione fiscale si chiedessero “per chi suona la campana”, la risposta sarebbe: "suona anche per te".
Domenica, 15. Febbraio 2009
 

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