Chi di globalizzazione ferisce...

Nessuno finora ha sottolineato l'aspetto più singolare della crisi. A subirne le conseguenze più dure, spesso con il fallimento, sono proprio quei protagonisti - i grandi gruppi dell'auto, le mega-banche - che dovevano essere i dominatori dell'economia globale

Mi sembra che nessun commentatore abbia sottolineato la stranezza di ciò che sta accadendo nell’economia mondiale. Negli anni novanta la globalizzazione ha portato centinaia di miliardi di dollari di investimenti a paesi che fino a qualche anno prima erano del tutto esclusi dal giro dell’economia mondiale. Essa ha spostato l’attività produttiva verso paesi a forte popolazione ed a basso reddito, e quindi a basso costo del lavoro, e, a detta di una buona parte degli osservatori della sinistra, ha rafforzato il capitalismo e diviso la classe operaia mondiale fra poveri e poverissimi.

 

La globalizzazione è stata vista, ed è vista tutt’ora da buona parte della sinistra mondiale, come il trucco più abile e più letale per aumentare i profitti del capitale a danno dei più deboli. Tanto che ha dato vita ai “no global”, uno slogan che nella sua assoluta negatività indica di per un atteggiamento di incomprensione e di rifiuto della realtà.

 

Questa diagnosi è vera? Certo, essa sembra contraria a ciò che si vede accadere ogni giorno. Un grande riallineamento mondiale dell’economia capitalista, e chi perde? Chi va fallito? Quelle imprese che erano l’epicentro del capitalismo mondiale , le grandi imprese automobilistiche americane. Le quali falliscono a causa della concorrenza sul loro mercato di costruttori che si sono fatti le ossa  lavorando su mercati molto più piccoli e poveri di quello americano. Le massime imprese del capitalismo che vedono il capo del governo licenziare il loro presidente, ridotte a considerare un concorrente europeo, e neanche il più grande, come il salvatore, e che cedono la proprietà dell’azienda ai... sindacati , a coloro che a detta dei manager erano la ragione vera della loro incapacità di competere. E siamo al punto che una banca russa si compera le filiali europee dei giganti malati, strappandole all’ultimo momento alla Fiat. Si tratta di eventi che potremmo definire storici. Ma la globalizzazione non doveva aumentare i profitti nelle tasche dei capitalisti?

 

Non solo. La finanziarizzizazione dell’economia crea un’orribile montagna di debiti non pagati e non pagabili, e chi cade per primo? La più prestigiosa delle banche d’affari americana. E chi abbandona la casa e va a vivere nella roulotte? Quei cittadini americani che hanno un debito ipotecario che vale due o tre volte il valore della casa. Ma le grandi strutture capitalistiche non erano sempre in grado di scaricare i guai sui più deboli del mondo dei poveri?

 

Oggi, un paese che fino a qualche anno fa tutti credevano immerso definitivamente nella miseria più nera detiene una gran parte del debito pubblico americano, e da esso dipende se la crisi si ferma dove è arrivata e rimane gestibile, oppure si trasforma in un vero e proprio crollo su scala mondiale. E, alla fine, le ripercussioni di questa crisi portano alla presidenza degli Stati Uniti un rappresentante di una minoranza, un uomo che inizia la sua campagna dicendo che bisogna cambiare tutto!

 

Con ciò non si vuol dire che l’Europa non sia minacciata da questa crisi. Ma è necessario chiarire bene il fatto che a cedere di fronte alla globalizzazione sono stati proprio quelli che, secondo una delle tesi più comuni nella sinistra europea, erano quelli che ci guadagnavano di più, coloro che tiravano i fili tranquilli negli uffici delle grandi banche e delle grandi aziende. Il discorso, però, non si ferma qui. Negli Stati Uniti la crisi ha avuto risposte immediate ed ha portato alla vittoria un gruppo di persone che in condizioni normali non avrebbero neanche vinto la prima primaria. Persone che hanno, o che cercano, delle risposte e che hanno fiducia nella capacità di capire, e di agire, del loro paese. In Europa non avviene niente di simile. I governi dei singoli paesi, o sono vacillanti, o sono gestiti da improvvisatori, e il nostro paese, in particolare, scende precipitosamente nella graduatoria dei paesi “moderni”.

Venerdì, 12. Giugno 2009
 

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