Per Milano con cautela ci si credeva, per Napoli timidamente ci si sperava. Ma la valanga che ha travolto le speranze belusconiane è andata oltre le ipotesi più azzardate, da Novara a Cagliari, a Trieste, Mantova e Pavia. E allora, se bisogna imparare dalle sconfitte, è opportuno riflettere anche su una vittoria che potrebbe davvero segnare una svolta che metta fine allanomalia italiana.
Il ritornello nei commenti a caldo degli esponente della destra è stato che il Pdl ha perso, ma il Pd non ha vinto, perché né il nuovo sindaco di Milano né quello di Napoli vengono dalle sue fila. Ha avuto buon gioco Bersani a replicare che 24 dei 29 sindaci di capoluoghi e presidenti di provincia ottenuti dal centro sinistra sono stati espressi dal Pd. Quanto a Milano, Giuliano Pisapia era il candidato vincente delle primarie, quindi il candidato di tutta lalleanza di sinistra. Egli stesso ha raccontato che il giorno dopo il risultato delle primarie il suo contendente Stefano Boeri era andato ad offrirgli tutta la sua collaborazione, e si è poi visto che non si trattava di unofferta solo formale. Solo a Napoli il Pd come partito ha incassato una pesante sconfitta, pagando gli errori amministrativi e politici, appena mitigata dal tonfo altrettanto netto del candidato berlusconiano. Ma è una caduta ben più che bilanciata dai successi spesso inaspettati raccolti altrove.
Quel che conta, comunque, è che ha vinto la sinistra nel suo complesso, a dimostrazione che quando prevale lo spirito unitario i risultati arrivano. E una lezione che il maggior partito di opposizione ha mostrato di aver capito bene: si spera, per il futuro, che altrettanto sia avvenuto per gli altri partiti dellarea.
Si apre ora una fase complessa, una fase in cui una strategia sbagliata potrebbe vanificare il risultato ottenuto. Il Pdl è sul punto di sgretolarsi. Non cè certo alcun bisogno di correre in suo aiuto, come sarebbe se si ripescasse lidea di promuovere un governo moderato senza Berlusconi. A parte il fatto che questultimo, visibilmente in apprensione per i processi a suo carico in corso, considera la poltrona di Palazzo Chigi la sua ultima difesa e ci resterà attaccato con le unghie e coi denti finché gli sarà possibile; ma se anche si verificasse un 25 luglio, accettare sotto qualsiasi forma un governo guidato da Tremonti o un personaggio analogo significherebbe solo dare corda ai dubbi del Polo centrista sulla sua collocazione.
Altrettanto delicato è il problema delle prossime alleanze elettorali. Cè ancora una parte del Pd che ritiene che unalleanza con i centristi servirebbe ad attrarre il voto moderato in fuga dal Pdl. E invece assai più plausibile che si otterrebbe un triplo risultato negativo: scoraggiare ulteriormente quella parte dellelettorato di sinistra rifluito nellastensione perché non riconosce più unidentità definita al maggior partito di opposizione; perdere i voti ex berlusconiani che possono spostarsi al centro, ma a patto che questo non sia alleato con la sinistra, e quindi ridurre lindebolimento del Pdl; danneggiare lo stesso Polo centrista, per la stessa ragione: i potenziali elettori di Fini, per esempio, non digerirebbero di certo unalleanza di quel genere.
Del resto, unalleanza elettorale è cosa diversa da unalleanza di governo. Nulla impedisce che, una volta affrontate le elezioni in formazioni compensibili dai cittadini unalleanza di sinistra guidata dai riformisti, un Polo di centro e quel che resterà della destra si possa fare unalleanza con i centristi per realizzare quel programma demergenza di cui tanto si è parlato, che dovrebbe comprendere, oltre alla gestione dei gravi problemi delleconomia e delloccupazione, una riforma elettorale che metta fine alla Seconda Repubblica, che ha dato una prova così sciagurata, e allidea di bipolarismo che si è dimostrata altrettanto dannosa.
Il voto del 29 e 30 maggio ha riaperto una situazione che sembrava disperata. Sarebbe un delitto sprecare questa occasione.