Candidature internazionali

Nell'ultimo mezzo secolo di storia poche sono state le personalità di spicco che il nostro paese è riuscito a portare alla testa delle grandi organizzazioni internazionali: Brosio alla NATO, Fanfani all'Assemblea generale dell'ONU, Rubbia al CERN, Giacomelli all'UNWRA, Ruggiero all'OMC, Prodi alla Commissione europea.
Il moderno multilateralismo sembra non attagliarsi ad un paese che fatica a fare sistema quando si devono ingaggiare battaglie diplomatiche per un alto incarico internazionale. Malgrado questa fragilità di fondo, negli organismi multilaterali c'è quasi sempre stato un italiano in buona posizione. Qual è la situazione oggi?

Dal 2004 - da quando Prodi si è accomiatato da Bruxelles - non esiste più una sola personalità italiana (eccetto Sonia Gandhi!) in posizione di comando in un qualsiasi centro nevralgico del pianeta. Non dico nei centri di potere fuori d'Europa (Nazioni Unite, Banche di Sviluppo, Fondo Monetario…), ma neppure in quelli europei.

La ritirata italiana dall'Europa
Mentre Prodi e Monti cedevano le loro ricche deleghe e al nostro paese veniva assegnata quella che ha oggi Frattini, gli spagnoli ottenevano non una ma quattro cariche di assoluto rispetto: Rodrigo Rato al Fondo Monetario, Borrell al Parlamento europeo, Solana alla Pesc e Almunia agli Affari economici. Come hanno fatto? Semplice: quando Aznar era al governo, Madrid sostenne la candidatura di Solana benché fosse socialista; quando al governo andò Zapatero, Madrid portò candidato al FMI Rodrigo Rato, benché ex ministro di Aznar. Al governo italiano era stata offerta l'estrema opportunità di riconfermare Monti alla Concorrenza: bastava non cederla. Ragioni di bassa cucina romana hanno deciso altrimenti. Commento di Sergio Romano sul Corriere della Sera del 24-7-04: "Le dichiarazioni e le immagini di Monti hanno fatto molto più di qualsiasi campagna propagandistica per distruggere il mito dell'Italia fannullona e pulcinellesca… Monti è un 'asset' che sarebbe assurdo lasciare al mercato". E invece chi ci ha guadagnato è Goldman Sachs, non l'Italia.

Altri casi di autolesionismo si riscontrano lungo tutto il Quinquennio: fin dal 2001, quando la candidatura di Umberto Ranieri a dirigere il Gruppo di Stabilità dei Balcani fu bloccata a Roma, perché l'on. Ranieri era un esponente dell'opposizione. Il governo di Chirac, al contrario, sostenne il socialista Pascal Lamy quando, lasciato il posto di Commissario europeo, si mise in corsa per dirigere l'OMC. Perfino il piccolo Portogallo può vantare oggi due incarichi di peso come la Presidenza della UE (Barroso) e l'Alto Commissariato per i Rifugiati dell'ONU (Guterres).

Anche nei gradi alti delle Direzioni generali della Commissione Barroso il nostro Paese ha perso le posizioni di un tempo, e non solo a causa dell'allargamento a 25. Lo ha sintetizzato benissimo Il Sole24Ore in due articoli firmati da Adriana Cerretelli: "Poltrone UE, l'Italia al palo - Se il Paese è fragile la UE non fa sconti. Sarebbe ora che dai nostri partner imparassimo a fare sistema in Europa per difendere gli interessi nazionali smettendola di regalare, con la nostra insipienza e il nostro autolesionismo, spazi e poteri che ci spetterebbero" (11-11-04). E poi un amaro riscontro il 15-3-05: "Su 43 tra istituzioni di prima classe, agenzie, fondazioni varie che operano nell'Unione, l'Italia oggi si ritrova a guidarne solo due, il Cost (Comitato di cooperazione per la ricerca scientifica e tecnologica) e l'Enisa (Agenzia per la sicurezza delle reti e dell'informazione). Due come la Grecia, che però vanta il presidente della Corte di Giustizia. Due come l'Austria, che però controlla la Corte dei Conti". In effetti, in quei pochi mesi l'Italia ha perso due Direzioni generali di peso (Affari Economici e Industria) per guadagnarne una minore (Società dell'Informazione) e una dimezzata (Cooperazione allo Sviluppo, senza la gestione dei fondi). L'unico capo gabinetto italiano è quello di Frattini. Nessun italiano negli altri posti-chiave della Commissione. Persino l'incarico che spetta per statuto all'Italia - quello di Segretario Generale dell'I.U.E. di Fiesole - abbiamo perduto: stavolta per insipienza più che per faziosità ideologica.

La ritirata italiana dal mondo
Nell'insieme delle organizzazioni internazionali (UE esclusa) i funzionari italiani erano nel 2001 poco più di 1500; oggi sono diminuiti e non c'è più nessuno ai livelli apicali eccetto Antonio Costa, direttore dell'Unodc (droga e criminalità) a Vienna. (3)

Il nostro governo ha presentato durante il Quinquennio decine di candidature a posti internazionali, non ne ha portata a casa nessuna:
1. Non siamo riusciti per ben due volte (2000 e 2005) ad imporre Emma Bonino come Alto Commissario Onu per i Rifugiati.
2. Nel 2004 abbiamo "bruciato" la candidatura di Mario Monti alla Commissione UE senza riuscire a presentarlo in alternativa al Fondo Monetario.
3. Abbiamo voluto spingere una candidatura non adeguata, prima alla successione di Moratinos quale Alto Rappresentante UE in Medio Oriente, poi alla successione di Lord Ashdown in Bosnia a capo del Peace Implementation Council (che la candidatura fosse inadeguata lo dimostra il fallimento del doppio "forcing").  
4. Ma il caso più significativo è quello del ministro della Difesa Antonio Martino, invitato da vari e influenti membri della Nato a candidarsi a ricoprire la massima carica dell'organizzazione. Aveva la vittoria in tasca; ma lui ha semplicemente rifiutato l'incarico, preclaro esempio di amor patrio.
5. L'Italia ha sostenuto fin dal principio l'idea di istituire una Fondazione Euro-Mediterranea, inserendola fra le priorità della sua presidenza UE e puntando ad ospitarne la sede. In lizza c'erano solo altri tre concorrenti: ha vinto Alessandria d'Egitto (che dal 2005 ospita la Fondazione nella Biblioteca Alessandrina).
6. Abbiamo perso la battaglia per l'Expo 2008: Trieste contro Saragoza. L'offerta di Trieste era senza dubbio eccellente, eccellente anche la presentazione a Parigi, il 16-12-04, davanti ai 94 membri del Bureau International des Expositions e alla presenza dello stesso Ministro Fini. Eppure la vittoria di Saragoza fu netta: 57 a 37. Di fronte a tale smacco e allo stupore di Fini il Corriere della Sera del 18-12-04 commentava: "Che qualcuno non abbia fornito al nuovo ministro un quadro attendibile di come si profilava la gara segnala un punto debole del MAE. Un riflesso del punto debole dell'intero sistema Italia". Il sottosegretario agli Esteri Antonione imputò la sconfitta - dato che il progetto di Trieste era ineccepibile - a "decisioni politiche", ossia al peso specifico che la Spagna si era guadagnata nelle relazioni europee ed extra-europee, rispetto ad un'Italia ondivaga e poco comunitaria. Negli ambienti parigini si racconta invece che i membri del B.I.E. furono male impressionati dalle "frizioni politiche" che trasparivano in seno alla delegazione italo-triestina.
7. E' un ripiegamento che si nota anche nei fori non governativi che contano, come il Forum di Davos: sui 2000 e più partecipanti alle recenti edizioni gli italiani erano pochissimi, nell'ultima edizione erano sotto l'1% degli invitati e nessuno incaricato di dirigere un panel. Il ripiegamento si nota anche nei numerosi comitati scientifici internazionali attivi nelle più varie discipline. Un esempio a scelta: nel gruppo di 40 scienziati che studiano per conto dell'Onu la sostenibilità ambientale (Millennium Ecosystem Assessment) non è compreso alcun italiano.
8. Dopo gli attacchi dell'11 settembre il governo turco aveva organizzato a Istanbul un incontro tra i membri della UE e quelli della Conferenza Islamica (l'Organizzazione che raggruppa 57 paesi musulmani) per "valutare la situazione attuale e promuovere la comprensione tra le rispettive civiltà". L'incontro successivo si sarebbe dovuto tenere a Doha, ma l'attacco all'Iraq impedì al Qatar di darvi seguito. Dato il ruolo di ponte tra Europa e Islam svolto spesso dall'Italia, si fece largo a Roma l'idea di costituire un Forum Euro-Islamico che riunisse esponenti influenti della società civile piuttosto che dei governi: l'iniziativa venne sottoposta al ministro Frattini affinché la promuovesse durante la presidenza italiana della UE. Non se ne fece nulla, salvo creare un Osservatorio del Mediterraneo, eretto in Fondazione dalla voce per ora assai flebile.
     
Presso la Segreteria generale del MAE esiste da molto tempo un ufficio che raccoglie le candidature ai posti internazionali e predispone le opportune strategie. Cerca insomma di "fare sistema", ma i risultati non si vedono. L'unico ad averli visti è stato l'ex segretario generale Umberto Vattani, che sul tema delle candidature internazionali dichiarò al Sole24Ore il 22 luglio 2005 (l'Italia aveva appena subìto l'ultima batosta a Bruxelles): "Non siamo affatto in ritirata sul fronte delle candidature, ma in attacco…Negli ultimi anni abbiamo registrato una sicura progressione a tutti i livelli…E nella UE la presenza italiana ai gradi apicali è superiore a quella britannica e spagnola". C'è da chiedersi se ha senso continuare a fare della disinformazione consolatoria, per giunta ai danni del proprio ministro. Ma la domanda cruciale è un'altra: c'è forse in questo paese una resistenza culturale ad accettare le sfide del mondo aperto? viviamo forse con paura la dimensione internazionale?

La vicenda iraniana
Strettamente parlando, non è un caso di candidatura andata male. E' peggio. E' la vicenda di un deliberato disimpegno.

Il 21 ottobre 2003 i Ministri degli Esteri di Francia, Germania e Gran Bretagna - giunti a Teheran in missione straordinaria - firmano una dichiarazione d'intenti col governo Khatami per tentare di disinnescare la mina del "build-up" nucleare iraniano. Siamo in pieno semestre di presidenza italiana della UE e tutti si domandano come mai si sia costituita una "troika" europea senza la presidenza di turno: tanto più che l'Italia era stata all'avanguardia nella riapertura del dialogo con l'Iran quando era Dini il ministro degli Esteri. Dalla Farnesina esce una risposta surreale: "L'Italia appoggia questa iniziativa, ma non ha ritenuto di associarsi alla luce della propria funzione di presidenza del Consiglio europeo". Dai banchi dell'opposizione l'onorevole Fassino stigmatizza l'episodio come una penosa ammissione di "irrilevanza" del nostro paese al momento in cui si mettono sul tappeto i dossier che contano. Nel frattempo la crisi si acuisce fino a diventare una delle questioni prioritarie dell'agenda internazionale.

Due anni dopo, nel marzo scorso, parla l'ambasciatore iraniano alle Nazioni Unite di Vienna (e quindi presso l'AIEA): "Da 28 mesi c'è una poltrona vuota nella trattativa sul nucleare iraniano ed è quella dell'Italia. Roma manca all'appello in un momento cruciale per i destini geopolitici dell'Iran, quando la sua presenza sarebbe stata utilissima, perché c'è una storia comune che lega i due paesi da anni con reciproca soddisfazione…L'Italia ha una conoscenza e una sensibilità diplomatica che avrebbe evitato certi errori con Teheran, ma bisogna avere più iniziativa diplomatica e non appiattirsi sulle posizioni degli altri paesi". Touché!

Si scopre che nel 2003 il governo Khatami aveva avvicinato quello italiano, sia in quanto paese amico sia in quanto titolare della presidenza UE, affinché prendesse l'iniziativa di aprire il tavolo negoziale. Ma Roma non se la sentì di mettersi alla testa di un negoziato che poteva - chissà - irritare gli americani. Peggio: la Direzione generale Affari Politici del MAE arrivò a sconsigliare il ministro Frattini dal partecipare alla missione a Teheran con Straw, de Villepin e Fischer. Si perse così una delle rarissime occasioni in cui l'Italia avrebbe potuto occupare una sedia non tanto "per esserci" quanto "per contare".
 
Allorché Fini diventò Ministro degli Esteri, si lasciò sfuggire una frase di comprensibile irritazione: "L'Italia non fa parte del gruppo con Francia, Germania e Gran Bretagna semplicemente perché non lo chiese; è stata secondo me una scelta sbagliata perché noi, come interlocutori credibili dell'Iran, avremmo avuto un ruolo da svolgere". Soprattutto dopo che in questi ultimi mesi, sul dossier iraniano si sono tenute ben due riunioni extra-moenia del Consiglio di Sicurezza dell'Onu - una a Londra il 30 gennaio e l'altra a Berlino a marzo - con l'eccezionale partecipazione della Germania. Con quella Germania che, non potendo entrare nel CdS dalla porta grande, viene invitata a entrarvi dalla finestra per contribuire a mediare su una delle crisi più serie del nostro tempo.
 
Come reagire a questa serie di sconfitte? Come riscattare questa Caporetto lunga cinque anni?

Anzitutto riconoscendola. Al ministero è parso invece predominare l'ottimismo di facciata o - peggio - l'uso di nascondere al ministro la gravità della situazione. Ne fa fede lo stupore che si è dipinto sul volto di Fini il 16 dicembre scorso al B.I.E. di Parigi, dove aveva accettato di presenziare alla cerimonia che avrebbe segnato la vittoria di Trieste su Saragoza per l'Expo 2008 (ciò che lo ha lasciato senza parole è stato, più che la sconfitta, l'entità dello spareggio: 57 contro 37).

Occorre poi non cedere alla tentazione faziosa di penalizzare - solo perché oppositori in politica interna - i candidati a posti internazionali che appaiano come i migliori.
Occorre infine imparare da spagnoli, francesi, scandinavi e altri a "fare sistema" davvero: concertandosi lealmente tra i diversi dicasteri competenti, decidendo le necessarie strategie di "do ut des", mettendo in azione per tempo la nostra estesa rete diplomatica. 
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Note
(3) Il solo settore dove l'Italia ha una temporanea posizione di spicco è quello dei contingenti militari di pace. Oltre al notevole numero di soldati impegnati (circa 10.000), alcuni dei contingenti internazionali sono comandati - o lo sono stati fini a poco tempo fa - da generali italiani: le forze Nato in Afghanistan, le forze Nato in Kosovo, la Eufor (che ha rimpiazzato la Nato) in Bosnia, la MFO (Forza Multinazionale di Osservatori) nel Sinai. 
(4) Fondazione istituita nel 2005 con atto firmato nello studio romano di Ubaldo Livolsi, banchiere d'affari, già membro del CdA di Fininvest e consulente di Stefano Ricucci. Intanto Frattini, diventato Commissario europeo, ha traslocato l'iniziativa del Forum a Bruxelles, rilasciando anche un'intervista a Le Monde il 31 luglio 2005: "Col forte appoggio del governo austriaco spero di poter organizzare nel primo semestre 2006 una conferenza europea sul dialogo con l'Islam".
Giovedì, 27. Luglio 2006
 

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