Bolkestein, una liberalizzazione pericolosa

Il Parlamento europeo sta per approvare la Direttiva sui servizi. Nonostante le modifiche ottenute grazie alle pressioni sindacali, c'è ancora il rischio che venga utilizzata per eludere le norme dei paesi in cui è migliore la protezione sociale dei lavoratori
Questa settimana il Parlamento europeo è chiamato ad esprimersi in seduta plenaria sulla direttiva per la liberalizzazione dei servizi, intesa a rimuovere gli ostacoli per la realizzazione del mercato interno anche in questo settore dell'economia europea, che è in costante espansione e il cui contributo al prodotto interno lordo e all'occupazione è già oggi di grande rilevanza e ancor più è destinato ad esserlo in futuro.
 
Si tratta della direttiva Bolkestein. Il testo sottoposto al voto del Parlamento appare sensibilmente diverso da quello originario, a seguito degli emendamenti introdotti dalle Commissioni parlamentari; non fino al punto però da annullare le ragioni delle preoccupazioni e delle critiche del movimento sindacale, a cui infatti la Confederazione europea dei sindacati darà ancora una volta voce con una grande manifestazione convocata a Strasburgo alla vigilia della decisione del Parlamento.
 
Queste ragioni riguardano da un lato il "principio del paese di origine", vero elemento ispiratore della proposta, e dall'altro l'ambito di applicazione della futura Direttiva.
Il principio del paese di origine significa che un'impresa di servizi può esercitare la sua attività in qualsiasi paese dell'Unione sottostando unicamente alle regole del suo paese e non a quelle in vigore nel paese dove i servizi vengono prestati. Ora è evidente che questo principio, in presenza di significative differenze nelle tutele sociali dei diversi paesi dell'Unione, specie a seguito del recente allargamento, è destinato ad alimentare i fenomeni di dumping sociale e una corsa al ribasso nelle protezioni delle condizioni di lavoro.
 
Il Parlamento si è fatto carico di questa fondamentale obiezione e il testo emendato esclude che l'applicazione della Direttiva possa recare pregiudizio al diritto del lavoro, all'esercizio dell'attività sindacale e alla contrattazione del paese di erogazione dei servizi mentre conferma la validità, anch'essa messa in forse dalla proposta iniziale, delle direttive europee esistenti per quanto riguarda la protezione dei lavoratori in distacco temporaneo in un altro paese.
 
Tuttavia, pur valutando positivamente i cambiamenti introdotti, e nonostante un accordo della scorsa settimana fra Socialisti e Popolari europei che dovrebbe portare all'eliminazione della formula, i sindacati europei continuano a chiedere formulazioni più stringenti, capaci di garantire che le normative sociali  - ma anche quelle relative alla qualità dei servizi e al controllo delle prestazioni - siano effettivamente sottratte al principio del paese d'origine.
 
L'altra opposizione di fondo riguarda il campo di applicazione della Direttiva. Secondo i sindacati esso non deve comprendere i servizi pubblici in senso stretto e nemmeno quelli definiti di interesse economico generale (acqua, elettricità, gas, trattamenti dei rifiuti ecc.). Gli emendamenti introdotti in sede parlamentare prevedono significative eccezioni, per esempio relative alla sanità o ai servizi audiovisivi, ma queste novità restano all'interno della logica della direttiva che prevede la liberalizzazione delle prestazioni prima che l'Unione, come i sindacati chiedono invano da tempo, si doti di una direttiva-quadro e di direttive settoriali volte a definire le caratteristiche, le condizioni di finanziamento e di esercizio dei servizi pubblici. Si tratta di una questione altamente sensibile e che va affrontata in via preliminare rispetto alla liberalizzazione, se si vogliono rispettare fondamentali diritti di cittadinanza così come garantire le condizioni indispensabili alla coesione sociale e territoriale.
 
Il voto di Strasburgo non sarà comunque risolutivo, dato che la stessa Commissione ha già annunciato di voler presentare nei prossimi mesi una nuova proposta, ma esso è ugualmente importante per le indicazioni che ne possono venire sulla via da seguire.
Le vicende della direttiva Bolkestein dovrebbero rendere evidente che le riforme strutturali di cui l'economia europea ha bisogno - e che il movimento sindacale non rifiuta in via di principio - si possono realizzare a condizione di mantenere l'equilibrio necessario tra le esigenze della concorrenza e del mercato e quelle dei diritti e delle protezioni sociali.
 
In un'altra stagione, al momento del Libro bianco per la realizzazione del mercato interno, la Commissione Delors si mostrò capace di promuovere questo equilibrio accompagnando le misure di liberalizzazione economica con una forte iniziativa per l'armonizzazione sociale e lo stabilimento di norme minime in materia di condizioni di lavoro a livello europeo per via legislativa, ma anche sollecitando le parti sociali ad esercitare la loro autonomia negoziale. Un aspetto quest'ultimo totalmente ignorato nell'iter della proposta Bolkestein, com'è oggi tardivamente riconosciuto dalla stessa presidenza austriaca dell'Unione.
 
O si riprende questo percorso o sarà sempre più difficile per l'Unione raggiungere i suoi obiettivi di riforma e di sviluppo nonché rimettersi in sintonia con i lavoratori e i cittadini europei.
 
Giovedì, 9. Febbraio 2006
 

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