Berlusconi, davvero tu vuò fa l'americano?

In America si può fare tutto quello che da noi è vietato, ha detto il premier, deluso perché non può cambiare la legge sulla 'par condicio'. Ma non è proprio così. E se vuole imitarla sul serio, potrebbe cominciare dalla legge sul falso in bilancio, che là è severissima e non grottesca come è diventata la nostra grazie a lui
Con il consueto eloquio tracimante, sabato 26 novembre davanti alla platea forzista del "Motore Azzurro", Silvio Berlusconi si è detto ormai rassegnato: la legge sulla par condicio rimarrà così com'è. I suoi alleati si sono infatti dichiarati contrari ai cambiamenti da lui insistentemente richiesti. "Peccato!" E' stato il suo commento. Aggiungendo l'amara constatazione che si sarebbe persa l'occasione "per rendere l'Italia una democrazia come le altre. In tutti i paesi occidentali, Stati Uniti in testa, è consentito tutto quello che da noi resta vietato".

Chissà da chi attinge le informazioni il premier? Perché non chiede al suo amico George se, ad esempio, negli Stati Uniti il titolare di diverse concessioni statali può (non dico essere eletto) anche soltanto essere candidato nella corsa alla più importante carica pubblica. Già che c'è, per accertarsi se là è davvero consentito tutto quello che da noi è invece vietato, chieda anche come è regolato il falso in bilancio. In attesa che George W. Bush gli fornisca qualche chiarimento, provo io a rinfrescargli la memoria. Soprattutto a proposito di falso in bilancio. Questione ben presente nelle sue vicende giudiziarie ed, allo stesso tempo, nel suo attivismo legislativo.

Siamo all'inizio del dicembre 2001. Quando nell'America, ancora scossa dall'attentato dell'11 settembre, va in bancarotta la società texana Enron, che è un colosso dell'energia. Il fallimento distrugge il valore delle azioni in mano anche a tanti piccoli risparmiatori ed azzera il Fondo pensioni dei dipendenti. Il bilancio delle Enron si rivela un cumulo di falsità con perdite occultate in società off-shore. La reazione è forte. Nel clima di allarme che si è generato per la facilità con cui una impresa di quelle dimensione ha potuto truccare i bilanci, gli investitori diventano più sospettosi, facendo così scoppiare altri scandali. Imprese note sui mercati internazionali, come WorldCom e Tyco, vanno a gambe all'aria.

Il fallimento della Enron ha un forte impatto economico (a cominciare dai risparmiatori), ma ha anche una dimensione politica. Il numero uno della società texana, Kenneth Lay, è un amico personale di George Bush. Per intenderci più di quanto lo sia Cesare Previti per Silvio Berlusconi. Perché Lay è stato il principale finanziatore individuale della campagna elettorale di Bush. Potrebbe quindi esserci la tentazione di insabbiare, di ammorbidire i termini della questione. Il consigliere e stratega di Bush, Karl Rove, si mette però di traverso sostenendo che: con il risparmio degli americani non si scherza; il presidente non deve mostrare imbarazzo; soprattutto la reazione deve essere durissima. E' quel che succede.

Bush denuncia immediatamente i manager disonesti dell'ex amica Enron. Contemporaneamente si muove il Congresso dove viene presentata la legge Sarbanes-Oxley. La Casa Bianca la appoggia senza indugi. All'inizio dell'estate 2002 (meno di sei mesi dopo il crak Enron) la legge viene approvata. Il Sarbanes-Oxley Act contiene un forte inasprimento delle pene per il falso in bilancio. Il minimo della pena viene infatti portato a dodici anni di carcere. Per di più le pene sono tutt'altro che spauracchi agitati semplicemente per placare l'opinione pubblica. Perché, a differenza dell'Italia, le pene detentive non sono sospese in attesa di altri gradi di giudizio. Dopo la condanna in primo grado si applicano infatti immediatamente. Così diversi protagonisti di quegli scandali finiscono dietro le sbarre. Il direttore finanziario della Enron patteggia 10 anni di carcere. Timoty Rigas di Adelphia, viene condannato a 20 anni di carcere. Jamie Olis di Dynagy a 24 anni. Bernard Ebbers di WorldCom a 25 anni di carcere. Considerato che ha 64 anni, equivale all'ergastolo.

Inoltre con la nuova legge tutti gli amministratori delegati delle società vengono obbligati a "rifirmare" i bilanci delle loro imprese per garantirne la correttezza. Questa nuova firma aggiunge un particolare peso alla responsabilità personale. Nessun capo azienda potrà dire che "non sapeva" e comunque non potrà sottrarsi alla sanzione penale e patrimoniale in caso di irregolarità dei conti.

Insomma, gli Stati Uniti non intendono essere corrivi con la frode in bilancio. Tant'è che lo considerano un reato per il quale non vengono riconosciute attenuanti. Perciò a nessun legislatore americano verrebbe mai in mente la formula grottesca (inserita nella legge italiana sulla tutela del risparmio) che trasforma il reato in "veniale" se il falso è consumato in "modica quantità". Se cioè i dati truccati rappresentano una piccola parte del fatturato aziendale. Tanto meno avrebbe mai pensato di prendere in considerazione i fantasiosi indicatori contenuti nella normativa italiana (il crak in percentuale del Pil, la quota di popolazione ingannata) per stabilire se i danni ai risparmiatori siano da considerare gravi, oppure meno gravi.

Stando così le cose mi permetto un modesto suggerimento a Berlusconi. Se non vuole limitarsi a recriminare circa il fatto che negli Stati Uniti sarebbe "consentito tutto quello che da noi resta invece vietato" non dia retta a Bondi e Cicchito, che sono talmente servizievoli da diventare fuorvianti. Ma chieda "virilmente" alla sua maggioranza di abrogare le eccentriche norme sul falso in bilancio (che "malevoli bolscevichi" hanno  pretestuosamente giudicato funzionali ad alleggerire la sua posizione giudiziaria) sostituendole con una tempestiva approvazione dell'equivalente della Sarbanes-Oxley. Così, grazie a lui, anche gli italiani incominceranno a sentirsi un po' più americani.
Venerdì, 2. Dicembre 2005
 

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