Ben venga lo straniero

L'inghilterra non ha più industrie nazionali ma fa più auto dell'Italia. Il vero problema è il conservatorismo nella cultura social

Ho letto con interesse l’articolo di Clericetti e sono d'accordo che bisogna trovare una valida strategia industriale per rilanciare la Fiat. Ma ho qualche dubbio su un punto: perchè sussidiare un'impresa nazionale che da un decennio non ha la capacità di diventare competitiva?

Nella crisi Fiat giocano due fattori: calo della domanda mondiale e carenza di competitività. Il caso Inglese è emblematico: produce più auto dell'Italia, con i corollari di occupazione ed investimenti, e con un cambio della sterlina sopravvalutato, ma nessuna impresa è sotto controllo britannico. Non è meglio agevolare grossi produttori stranieri che sviluppino in Italia un'industria automobilistica competitiva? Dopo tutto all'Italia interessa creare occupazione, investimenti e competitività nel settore dell'auto, e non che ciò sia in mano alla Fiat, a meno che non ci siano scopi reconditi. Uno di essi è preservare un sistema di relazioni industriali troppo rigido e che è fuori dai tempi.
Salvatore Zecchini


Risponde Clericetti
Salvatore Zecchini è un economista di grande esperienza anche internazionale, essendo stato al Fondo monetario, poi vice segretario generale dell’Ocse, poi consigliere di vari ministri del Tesoro (ora lo è di quello delle Attività produttive). Le sue obiezioni sono dunque da prendere molto seriamente, ma tento una replica. Cominciamo dalla coda, cioè dall'Inghilterra. Sarebbe molto interessante sapere se, oltre alle fabbriche, si facciano lì anche la ricerca, lo sviluppo di nuove tecnologie e nuovi modelli, insomma la parte hi-tech della produzione. Io non credo, ricordo che si parlava di "fabbriche-cacciavite". Il problema principale mi pare appunto quello: non tanto occupazionale, quanto di non perdere un'industria trainante per lo sviluppo tecnologico.

Secondo punto: perché sussidiare chi ha dimostrato di non saper stare sul mercato? Giusto, ma io non propongo alcun sussidio. Il declino della Fiat è stato provocato in parte da un management inadeguato e da scommesse perdute (America Latina), ma anche dalla struttura proprietaria. Gli Agnelli non hanno voluto scommettere tutto sull'auto e hanno molto diversificato il gruppo; ma così facendo hanno ridotto gli investimenti, che infatti negli anni scorsi sono stati molto minori dei competitors. Si dovrebbe quindi sia cambiare la struttura proprietaria, sia "acquistare" sul mercato il miglior management disponibile. Che so, per esempio Ferdinand Piech, che ha rilanciato la VW, o Louis Schweitzer, che ha riportato all'utile la Renault (azienda a capitale pubblico, che produce lo stesso numero di auto della Fiat, ma che è in ascesa e guadagna); o Jean-Martin Folz della Psa, ecc.

Nomi di questo genere e una proprietà dichiaratamente concentrata sul rilancio sarebbero certamente in grado di attirare capitali di investitori privati.

Le alleanze, poi (con GM o con altri), resterebbero indispensabili, ma si potrebbero contrattare da ben altre posizioni, evitando che anche la Fiat diventi una "fabbrica-cacciavite".

Replica Zecchini
Vorrei replicare a mia volta. Non so se le fabbriche automobilistiche in Gran Bretagna siano "fabbriche cacciavite"; tuttavia so che la ricerca, il design e la sperimentazione, proprio per gli alti costi e per la peculiarità delle professionalità coinvolte, sono gestiti su scala mondiale. Queste attività sono impiantate nei posti in cui è più conveniente insediarsi e vengono utilizzate in stabilimenti produttivi disseminati in tutto il mondo. Non esiste più una vettura di cui tutte le parti siano sviluppate nello stesso paese. Qualsiasi vettura moderna nasce dal contributo di input sviluppati in varie parti del mondo. Le migliori vetture sono le vetture "globali", che raccolgono il meglio del mondo.

Ciò si applica anche alla Fiat: la progettazione e la sperimentazione delle Ferrari ad alta tecnologia, ossia le vetture di F1, sono effettuate in gran parte in Gran Bretagna, i tecnici provengono da tutto il mondo, il disegnatore della vettura è sudafricano, il capo progettista è un britannico. Un altro esempio: le vetture coreane e quelle della Peugeot, che hanno intaccatto la quota della Fiat, sono disegnate in Italia da tecnici italiani e stranieri.

In conclusione, l'Italia potrà conservare le attività di progettazione, disegno e sperimentazione indipendentemente dalla Fiat e solo se saprà mantenere un livello di eccellenza su scala mondiale. Ma per far ciò, occorre rinnovare la cultura del paese, premiando di più chi si impegna in R & S, favorendo la cultura scientifica e i relativi investimenti, ed allargando il ventaglio delle retribuzioni per premiare maggiormente le professionalità più avanzate, le quali hanno mercato. Il sistema attuale di relazioni industriali invece non va abbastanza in questa direzione, ma difende l'appiattimento. Il più grosso ostacolo al rilancio del nostro sistema è il conservatorismo nella cultura sociale.

Replica Clericetti
Aggiungo anch’io un’altra osservazione. Se un buon numero dei tecnici e designer di auto migliori del mondo sono italiani non credo che dipenda da qualità innate dei nostri concittadini, ma piuttosto dal fatto che da oltre un secolo esiste qui una delle maggiori imprese mondiali del settore. Abbiamo avuto un Nobel per la chimica quando c’era la Montedison. Siamo in fondo alle classifiche dei paesi più sviluppati sia per quanto riguarda il numero di grandi imprese nazionali, sia per il numero di brevetti: una coincidenza? Io credo che, se la proprietà della Fiat va all’estero, tra qualche tempo forse avremo ancora fabbriche di automobili, ma avremo molte meno persone che emergono nelle tecnologie collegate.

Venerdì, 20. Dicembre 2002
 

SOCIAL

 

CONTATTI